Irriducibili, non solo ultras Il rifiuto della globalizzazione, la crisi della Fiat, la guerra all'America e il mito della vecchia Europa. Seconda puntata della nostra inchiesta sulla curva nord della Lazio e sulla ripoliticizzazione del suo gruppo egemone. Dopo la radio, anche la fanzina degli ultrà biancocelesti conferma che l'ideologia politica è tornata allo stadio.
Letture da stadio La «Voce della Nord» è distribuita all'Olimpico in occasione delle partite interne al prezzo di 2 euro e trova numerosi acquirenti in tutti i settori.
Critiche da destra «Nell'era squallida della globalizzazione, solo nella curva c'è il ritorno della piazza». Tra le firme della fanzina, il neofascista Paolo Signorelli
La crescente politicizzazione della Voce radiofonica - di cui abbiamo parlato nella
prima puntata di questa inchiesta - trova un riscontro preciso (e anche più documentabile: carta canta!) nella crescente politicizzazione della Voce della Nord cartacea, la fanzina degli Irriducibili, venduta allo stadio in occasione delle partite interne al prezzo di due euro e che trova numerosi acquirenti non solo in Curva. Limitandoci alla lettura dei fascicoli della stagione da poco conclusa, osserviamo inizialmente posizioni solo indirettamente politiche. Lo spazio veniva riservato, come è ovvio, alle posizioni del gruppo e alla riflessione sui primi episodi controversi della stagione: i fatti di Vigo di Fassa e dell'Ostiense, derubricati troppo comodamente a «risse» con giornalisti e con extracomunitari. Sono numerosi inoltre gli spunti di riflessione sul mondo ultras, dalle considerazioni di un lettore sull'intima contraddittorietà tra gli ideali del gruppo e la pesante ipoteca culturale rappresentata dalla pubblicità nella Voce radiofonica (n. 2), agli interrogativi (autocritici?) sui processi di «normalizzazione» di tutto il movimento ultras (n. 6). In questo stesso numero compare uno scritto (non firmato) che dà inizio al processo di politicizzazione crescente del foglio. L'arresto di venti no global su iniziativa della Procura di Cosenza viene raccontato come l'ennesimo sopruso degli apparati repressivi dello Stato, una autentica ingiustizia, analoga a quella subita dagli ultras. Anche i no global sono stati colpiti perché «scesi in piazza solo per gridare le idee alla base dell'ideale che li anima». Con un'unica differenza: che essi, essendo di sinistra, hanno ricevuto «l'appoggio incondizionato di molte testate». Comunque «i soprusi esistono. E vanno contro tutti quelli che si schierano e danno fastidio. Perché non omologati. E noi siamo fieri di esserlo». Una posizione nella quale sembravano cadere antiche barriere in nome di una comune solidarietà anti-sistema. È però proprio questo articolo a dare (per reazione, viene da dire) il via alla «svolta a destra» della fanzina. Sul numero successivo (n. 7, del 7 dicembre 2002) compare un articolo (anch'esso non firmato: una costante degli articoli più politici) che rappresenta una brusca correzione di rotta. Significativamente il pezzo si intitola Altro che analogie... due pesi e due misure. La solidarietà rispetto agli arrestati di Cosenza - si argomenta - è da respingere perché i no global sono falsi ribelli, omogenei ai processi di globalizzazione che solo apparentemente combattono. «Interpreti di una visione del mondo cosmopolita e figli legittimi dell'internazionalismo, essi rappresentano piuttosto l'altra faccia di essa. La globalizzazione, in linea generale, consiste in un processo di omologazione e di erosione di ogni identità nazionale territoriale. Nemica fisiologica di essa, pertanto, possono essere solo le forze di ispirazione nazionale o, comunque, di carattere visceralmente territoriale... È impossibile formulare reali analogie tra i no global e i ribelli delle curve, quelli che portano un intero stadio a cantare l'inno d'Italia e che fanno della romanità un mito fondativo dell'identità nazionale».
Si è di fronte - come si vede - a un salto di qualità, concettuale e linguistico. Un abisso separa questo ragionamento da quelli generalmente ospitati dalla fanzina. È un discorso prettamente politico-ideologico che solo in modo posticcio trova un collegamento col mondo dello stadio. L'«apertura» dei mesi precedenti si è spinta troppo oltre, siamo di fronte a un brusco richiamo all'ordine. Che non viene discusso né contraddetto. Anzi, a partire dal n. 8 la fanzina vede la nascita di una nuova rubrica, Non solo ultras (Riflessioni sul mondo occidentale), che sarà da quel momento in avanti luogo di intervento politico e di orientamento ideologico. Il primo «numero» è sulla crisi Fiat, «cresciuta già all'ombra del compromesso storico». La stessa rubrica è dedicata, nel n. 9, all'Iraq: «Le ragioni della guerra, in fondo, sono semplici da comprendere in quanto le lobbies del petrolio che sostengono Bush considerano la conquista di Baghdad un presupposto indispensabile per la propria salvezza». Ma non si tratta solo di Bush, poiché i democratici stelle e strisce non sono migliori, sono «gli invasori di Anzio, quelli che hanno ordinato il bombardamento atomico del Giappone, quelli che hanno inaugurato la guerra al Viet-Nam». Alla barbarie americana «si può e si deve opporre, magari domani l'altro, un'unica cosa. La Civiltà o, in altre parole, la vecchia amata Europa». Siamo all'esaltazione piena dei motivi ideologici di fondo della destra anti-sistema: anti-americana, non più nazionalistica in senso vecchio perché approdata a una nuova patria chiamata Europa (Europa e civiltà: ricorda nulla?), crogiolo di civiltà diverse (da quella greco-latina a quella cristiana a quella celtica: di sincretismo in sincretismo!). «Ma cosa manca all'Europa per essere autodeterminata e padrona di se stessa?? La ribellione!! ... siamo l'Europa, siamo centro di cultura e tradizione! E basta con questo fumo negli occhi della destra e della sinistra, credete veramente che Fini o Bertinotti potrebbero ribellarsi a Bush?» (n. 12). Nel n. 16, la necessità di contrapporsi agli Stati Uniti distinguendosi al contempo rispetto al movimento no war diviene totale e radicale, diviene opzione esplicitamente anti-democratica e piena di retorica vetero-fascista: «Personalmente sono antidemocratico... non credo sia un criterio giusto far scegliere alla maggioranza... la maggioranza che si schiera sempre dove gli conviene... la maggioranza che non rischia mai... la maggioranza che cambia idea con facilità [...]. Ho nel cuore il ricordo di chi alla fine della seconda guerra mondiale scelse la strada consapevole della morte [...]. Ho sempre considerato americani e inglesi come degli invasori... Ho sempre onorato chi li ha combattuti. All'epoca gente con le stesse bandiere, che vedo oggi sfilare per la pace, li ha acclamati... li ha abbracciati... gli ha indicato i fratelli italiani da colpire [...]. Io non sono pacifista! Io sono antidemocratico e antiamericano!» (Io non sono pacifista, n. 16).
Certo, queste prese di posizione che sottolineiamo non coprono l'intera fanzina. Nelle stesse pagine si può trovare la cronaca (compiaciuta!) della pace fatta tra Irriducibili e sindaco Veltroni, che li ha incontrati per chiarire i motivi della contestazione di cui era vittima: accusato di filoromanismo, dal momento della riappacificazione i cori allo stadio contro di lui sono cessati (uguale trattamento ha ricevuto il presidente della Regione Storace); o l'incoraggiamento e l'apprezzamento per il giocatore di colore ex delle giovanili biancocelesti Daniel Ola.
Accanto a ciò, costante è la critica alla società contemporanea in molti suoi risvolti, ma sempre con un segno di fondo ben preciso. Un articolo non banale (anche se pieno della solita infantile retorica imperiale) del n. 9, Una piazza chiamata Curva Nord, partendo dall'amara constatazione per cui «viviamo in una società profondamente individualista che... ha lacerato i residui tessuti comunitari», vede nella Curva Nord il «ritorno della "piazza" in una società che vorrebbe offrire alla gente solo lunghe e mortificanti autostrade». La curva è il luogo dove nascono amicizie «senza distinzione di classe e di cultura», è scuola di «lealtà, coraggio, onore e fedeltà», amore per «l'Urbe eterna», la cui identità va difesa «nell'era squallida della globalizzazione». Accanto a questa visione comunitarista compare la critica alla tecnocrazia e alla turbo-scienza (n. 10); al teleindottrinamento, contro Domenica In e Buona Domenica, ma anche contro Mtv, «che, facendo leva sul linguaggio universale della musica, ha ormai subdolamente divulgato modelli culturali assolutamente negativi». Questa emittente, vista soprattutto dai giovanissimi, è accusata dal solito Non solo ultras di proporre un modello come quello «rappresentato dallo sradicato, dall'apolide coi capelli rasta che si ammazza di canne, possibilmente omosessuale e soprattutto tollerante e aperto verso tutto e tutti... All'opposto, il modello negativo, il nemico da sconfiggere, è identificato con il ragazzo maschio, eterosessuale, bianco che magari non si droga...» (n. 12). Si potrebbe proseguire, parlando di articoli contro la faziosità dei libri di storia che non parlano delle foibe, o sulla storia pseudocomica di un poliziotto napoletano, nato l'8 settembre 1943 (congiunzione astrale che più negativa non si potrebbe, secondo l'autore), militare presso la caserma Pietro Badoglio, ecc. ecc.
Resta la solita domanda: perché una fanzina che dovrebbe parlare di calcio e sostenere una squadra e una tifoseria, o al più parlare di problemi del sociale, o anche sostenere issues politici tendenzialmente aggreganti (no alla vivisezione, no alle lapidazioni, ecc.) viene usata per fare propaganda politica? Non c'è giustificazione, se non nel fatto che gli autori, e dunque almeno una parte dei leader del gruppo, sono tornati a fare esplicitamente politica o hanno permesso che altri usassero i loro canali massmediologici per farlo. Nell'ultimo numero della stagione (La Voce della Nord n. 19 del 17 maggio) due paginette poste quasi alla fine, dedicate alle imminenti tornate elettorali (Una battaglia di libertà. Facciamo fronte: è tempo di rilanciare e di cogliere l'occasione per mandare a casa i nemici del popolo) sembrano fornire una risposta esplicita a tali dubbi. Non solo e tanto per il testo, quanto per la firma: Paolo Signorelli, ideologo della destra antisistema, già dirigente negli anni settanta del gruppo neofascista Ordine Nuovo, intellettuale (e dirigente politico?) che cronache recenti hanno accostato a manifestazioni di ultras in generale e degli Irriducibili in particolare.
Tutto questo - ed è un fattore non secondario, visto la «ragione sociale» degli Irriducibili - senza badare al fatto che tanta parzialità non può che tradursi in un limite per la loro rappresentatività, per la loro capacità espansiva, per gli stessi interessi della squadra che dicono di amare e che spesso in passato è stata anche penalizzata per simili comportamenti.
(continua)
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