Curva Nord, un anno dopo A poco più di dodici mesi dalla nostra prima inchiesta sugli «Irriducibili» della Lazio, molto è cambiato nel mondo degli ultras biancocelesti: sembra essersi chiusa la stagione del dialogo e del pluralismo per lasciar spazio alla ripoliticizzazione del gruppo. Riemerge la «destra antisistema»?
La voce degli ultrà Un programma radiofonico, ma anche una fanzina e un sito web. Il «nuovo corso» degli Irriducibili spiegato attraverso i «loro» media
Una ricognizione L'impegno sociale c'è ancora e si sa accettare la sconfitta sul campo. Ma la fede politica è tornata a dettare i suoi diktat
La Voce della Nord, un anno dopo. Più in generale il «pianeta Irriducibili» (Lazio), così come appare attraverso i propri media: radio, fanzina, sito web. Scrivemmo un anno fa sulla trasmissione radiofonica del gruppo, senza nascondere critiche e perplessità, ma anche segnalandone gli elementi positivi, o potenzialmente positivi, che ci sembrava di cogliere: dall'impegno di solidarietà alla volontà di dialogo con spicchi di società e di tifoseria non omogenei al tradizionale imprinting di destra del gruppo. Un'azione condotta con intelligenza e duttilità, che decidemmo di sottolineare perché ritenevamo positivo lo sforzo in atto di uscire da una cultura da «giapponesi nella giungla». Cosa rimane, un anno dopo, della «fotografia» di allora? Cerchiamo di rispondere allargando lo sguardo dalla radio alla fanzina al sito web. Materiali che possono anche aiutare a capire come si sia giunti alla recente bufera che ha investito gli Irriducibili (arresti e diffide a pioggia tra gli ultras) e quali prospettive abbia o possa avere il gruppo. Dei fatti più gravi e recenti parleremo poco: perché non sono l'oggetto di questo lavoro e perché su queste pagine se ne è già parlato. Ma ovviamente «tutto si tiene». Capire il mondo degli Irriducibili può essere anche utile per capire come si sia giunti a questo punto e quali siano le prospettive.
Cosa è cambiato in quest'anno nell'esperienza della Voce radiofonica? Tutto, o quasi. In primo luogo, la conduzione. Il mitico Stefanino è uscito di scena (e con lui il suo alter ego, Paolo Arcivieri), con motivazioni - minacce di morte da parte di fantomatici servizi - francamente incredibili. La nuova conduzione - affidata ai «due Gianluca» -, pur dignitosa, ha perso in vivacità ed è molto meno efficace dal punto di vista radiofonico. Soprattutto, però, appare più caratterizzata politicamente.
Iniziamo dalle note positive. La radio viene ancora usata per iniziative di solidarietà, ad esempio per raccogliere i fondi per donare un macchinario a un ospedale pediatrico o per aiutare un canile «dal volto umano». In secondo luogo - e questo sorprenderà alcuni - gli Irriducibili, recependo il meglio della cultura ultras, si sono fatti propagatori di una visione del calcio che non guarda solo al risultato e alla vittoria. La famosa «cultura della sconfitta», da tanti invocata, è stata quasi quotidianamente diffusa dagli ultras biancocelesti: «non ci interessa vincere a ogni costo, saremo sempre e comunque accanto ai "ragazzi" se essi dimostreranno di "mettercela tutta", di uscire dal campo "con la maglietta sudata"». Le contestazioni dello scorso anno - non era difficile capirlo - erano legate non tanto all'andamento negativo della squadra, quanto al modo in cui esso veniva maturando. Quest'anno la musica è diversa e anche la curva si comporta diversamente: appoggio incondizionato, anche e soprattutto dopo la cessione di Nesta e Crespo, dopo i troppi pareggi, dopo le rimonte subite e i derby persi e l'eliminazione dalla Coppa Uefa. Terzo segnale positivo, l'abbraccio a Liverani. Anche qui occorre dissipare i soliti equivoci: più volte i media hanno parlato di razzismo, a sproposito (bastano due persone a fare una scritta sul muro). In realtà il giocatore era contestato perché (ex?) tifoso romanista. Ma non dagli Irriducibili, che per radio hanno sempre chiesto di non fischiare il coloured, che è stato anche chiamato sotto la curva e abbracciato dai capi ultras. Se a ciò si aggiungono gli incoraggiamenti a Manfredini (finché era alla Lazio) e il fatto che Cesar è un idolo dei tifosi, è chiaro che ancora una volta il «razzismo» della Nord viene trattato con troppa superficialità.
Possono essere considerati, ancora, elementi positivi le «campagne d'opinione» contro la vivisezione e contro la guerra? Solo in parte. Su queste due «parole d'ordine» non si può che essere d'accordo. Ma il modo in cui sono state presentate contiene elementi che ne inficiano la portata. Sull'opposizione alla guerra (all'Iraq) e sui suoi limiti torneremo più avanti. Sull'altro punto viene da chiedere: ha senso condannare la vivisezione, invocando contro chi la pratica la «pena di morte»? Siamo, certo, di fronte a una provocazione. Essa però non solo è contraddittoria (la pietas per gli animali non umani viene negata a quelli umani), ma supporta un messaggio inaccettabile. E che non è isolato: più volte (ad esempio contro i pedofili) gli Irriducibili hanno invocato la pena capitale. Essa dunque non è altro che la proiezione di una cultura e di un mondo ideologico ben determinati.
Venendo agli elementi negativi e involutivi colti rispetto a un anno fa, lasciamo da parte l'«eccesso di solidarietà» del gruppo verso gli ultras coinvolti nei fatti dell'Ostiense, su cui abbiamo già scritto. Chiediamo solo: se dal processo dovesse scaturire non tanto una condanna, quanto una ammissione di colpa dei protagonisti (il patteggiamento questo è e in questa direzione sembra che vada il risarcimento di 35.000 euro che gli imputati hanno voluto dare al giovane marocchino) o uno sgonfiarsi delle presunte testimonianze delle ragazze del gruppo che sarebbero state «molestate» dagli extracomunitari, sentiremo dai microfoni della Voce una reale autocritica rispetto alla campagna condotta sulla vicenda? Chiediamo questo perché noi temiamo che lo spirito «corporativo» del gruppo, la difesa ad oltranza degli «amici», anche se e quando sbagliano in modo grave e imperdonabile, minando la stessa immagine e credibilità collettiva, sia un limite che la logica ultras sembra non saper (e non voler) superare.
Resta impressa la violenza con cui la trasmissione (nella vecchia e nella nuova conduzione) ha condotto sul caso la propria «controffensiva mediatica» rispetto a giornali e giornalisti. È vero che da parte di questi nei confronti del gruppo vi è spesso superficialità o pregiudizio: non ci stancheremo mai di denunciare questo aspetto e anche i «due pesi e due misure» con cui sono trattati dall'informazione i tifosi delle due squadre capitoline (vedi lo striscione nazista e razzista in Curva Sud durante Roma-Ajax, praticamente ignorato dalla stampa). Tuttavia la «criminalizzazione» di questo o quel cronista è stata intollerabile. Perché se è vero che si può essere violenti anche scrivendo un articolo, lo si può essere ancora di più conducendo una trasmissione radio (o tv). Non va poi dimenticata la violenza della scorsa estate contro un paio di giornalisti al seguito della Lazio: comportamenti che non possono avere giustificazione. E che sono sempre perdenti. Se si dice di volere il bene della propria squadra e di volerla difendere contro la «diffamazione a mezzo stampa», la via dell'aggressione verbale e dell'intimidazione fisica raggiunge tra l'altro sicuramente l'effetto opposto.
Un altro aspetto negativo va considerata la perdurante contrapposizione, dura e frontale, con le forze dell'ordine. Le quali, da parte loro, hanno non poche colpe: spesso la gestione dell'ordine pubblico negli stadi sembra affidata (a voler essere buoni) a sprovveduti o inetti. Troppo spesso si spara nel mucchio o si negano diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini: è ingiusto, ad esempio, limitare la possibilità di spostamento dei tifosi da una città all'altra o il reperimento del biglietto nel giorno della partita. Sotto l'etichetta dell'ordine pubblico spesso si compiono abusi ingiustificabili e anticostituzionali. Detto questo, il vero e proprio odio seminato contro polizia e carabinieri ogni domenica negli stadi italiani non solo non può che fomentare e provocare la ritorsione delle forze dell'ordine, ma sembra assumere - non solo nel caso degli Irriducibili - significati ulteriori, probabilmente politici.
E veniamo così ad affrontare il terzo aspetto negativo, e preoccupante, emerso dalla nostra ricognizione: il ritorno in primo piano - nella Voce della Nord radiofonica, ma anche (come vedremo) in quella cartacea - della propaganda di idee e posizioni politico-culturali estremamente definite. Abbiamo già accennato al cambio di conduzione, oggi molto più politicizzata. Conseguentemente è venuto meno il dialogo a tutto campo con il pubblico, si sono spente le voci politico-culturali non omogenee all'orientamento tradizionale: le telefonate, gli sms e le email ora sono quasi esclusivamente di militanti del gruppo. Sembra finita la stagione del pluralismo e del dialogo su cui avevamo scritto un anno fa, con una radio attenta a comunicare anche con chi aveva una diversa collocazione politica. La nuova trasmissione è invece infarcita di interventi schierati in maniera esplicita su posizioni inequivocabilmente di «destra antisistema», come quelli di uno dei capi del gruppo, che tra l'altro quasi mai parla di calcio. Due i leit-motiv: l'opposizione alla guerra come lotta agli Stati Uniti e l'opposizione alla società multiculturale.
L'antiamericanismo è quello tradizionale della destra fascista: gli americani sono quelli che «cinquant'anni fa hanno occupato l'Italia e l'Europa e si sono macchiati dell'orrore di Iroshima e Nakasaki» (mai una parola contro l'orrore dei campi di concentramento nazisti). Gli americani sono i «barbari» a cui solo la civiltà europea può opporsi. Su quest'onda, si «aderisce» alle manifestazioni per la pace, per poi lamentarsi delle bandiere rosse e della sinistra «che strumentalizza tutto». Facendo finta di dimenticare che in Italia il movimento contro la guerra è stato promosso soprattutto dalle forze cattoliche e dalle forze di sinistra.
Ma il cavallo di battaglia della «nuova radio» è l'opposizione alla società multiculturale. Non si tratta del razzismo biologista di vecchio stampo - che invece paradossalmente è presente nelle trasmissioni radio di alcuni gruppi ultras della Roma, dove ci è capitato di udire che «i negri fino a poco tempo fa vivevano sugli alberi», tra un «salutiamo i camerati di El Alamein» e altre squisitezze simili - ma piuttosto di un razzismo differenzialista: ogni cultura è degna, purché stia a casa sua, purché non si rischi il contagio, la perdita della nostra tradizione e della nostra cultura. Come se queste fossero sempre esistite come le conosciamo oggi (a Roma la cultura da stadio di entrambe le tifoserie - forse in maggior misura quella giallorossa - si nutre di una infantile e insopportabile retorica dell'Impero... quello romano!) e non fossero il frutto del mischiarsi continuo di popoli e culture, dai barbari provenienti dal nord Europa e dall'Asia ai mori del nord Africa (ma prima ancora i greci, ecc.).
Occorre interrogarsi sui motivi del nuovo corso impresso alla Voce radiofonica. Intanto la base di ascolto sembra destinata a restringersi e non è difficile prevedere un allontanamento progressivo degli sponsor e una ricaduta negativa sulla vendita dei gadget prodotti dal gruppo. Una operazione culturale ed economica vincente è stata decapitata. Perché? Per fare posto agli editoriali contro la società multirazziale? Una scelta miope da ogni punto di vista autenticamente ultras. Una scelta che fa sorgere la domanda se nella linea che ha prevalso conti più l'amore per la Lazio o quello per una fede politica tornata prepotentemente a dare i suoi diktat.
(continua)
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