Spunti di riflessione

I colossi di Dakar
Sono i campioni del laamb, la lotta-pugilato che in Senegal è lo sport nazionale e riempie gli stadi. Guadagnano fino a 250 mila euro a incontro: vincere significa sconfiggere la miseria. E tra vudù e sangue, sono pronti a tutto

In Africa la grande festa dello sport diventa la cerimonia del denaro. Non sono i Mondiali di calcio. In Senegal non è il calcio lo sport nazionale. La prima passione è il laamb, la lotta-pugilato che riempie le arene del Paese da nord a sud. La lotta coi pugni nasce nelle zone rurali e si pratica su cerchi coperti di sabbia. Il vincitore del mbaapat, il torneo del villaggio che un tempo chiudeva la stagione del raccolto, si porta a casa una capra, una mucca o un sacco di cereali. Ma i campioni di livello nazionale si affrontano sul prato dello stadio Léopold Sédar Senghor a Dakar davanti a tribune da 60 mila posti, con riprese in diretta seguite da milioni di appassionati. Le stelle del laamb incassano decine di milioni di franchi Cfa, la valuta unica della Françafrique. In euro, sono cachet fra 100 e 250 mila euro. 
Soldi, tantissimi soldi in una nazione che ha un reddito medio pro capite annuo intorno ai 1500 euro. E con i soldi arriva il prestigio. I mbeurkatt (lottatori in wolof, la lingua più parlata in Senegal), sono allevati fin da adolescenti in una delle circa 80 scuderie del Senegal, come accade con il sumo in Giappone. Gli aspiranti vengono reclutati nelle città, nelle campagne e messi a pensione nelle scuole di laamb. Prima imparano la lotta tradizionale africana, quella che non prevede l'uso dei pugni e che si pratica anche in altri paesi dell'area occidentale del continente come il Burkina, la Costa d'Avorio o la Nigeria. Poi assorbono i rudimenti della boxe. Insieme alle tecniche di combattimento, sviluppano l'apprendimento iniziatico che è parte integrante, necessaria e talvolta decisiva dell'educazione di un combattente. 
Quando l'ex lottatore Balla Gaye 1 ha dispensato i suoi consigli al giovane Bombardier per la sfida con il supercampione imbattuto Yekini, ecco che cosa gli ha detto: "Ti serviranno molte conoscenze mistiche per venire a capo del tuo avversario". Questo sapere non è bastato perché Yakhya Diop detto Yekini, 192 centimetri per oltre 130 chili che deve il suo soprannome a un calciatore nigeriano degli anni Novanta, ha schiantato anche Bombardier. Ma che ci si creda o no, la lotta senegalese si nutre tanto di vudù, sortilegi, amuleti e abluzioni rituali nel latte quanto vive di sponsor, allenamenti in palestra e, con le migliori probabilità, doping incontrollato. 
Gli incontri di alto livello, previsti su tre round di un quarto d'ora l'uno, superano di rado i pochi minuti e, come nel sumo, il vivo dell'azione si brucia nel giro di secondi. Vince chi butta fuori dal cerchio l'avversario o lo mette a terra con i quattro appoggi, con il sedere o con la testa. Lo spettacolo è altrove. È nelle lunghe sfilate precedenti l'incontro, nelle coreografie ideate per i mbeurkatt, nei canti dei griot, i cantastorie-poeti dell'Africa occidentale, nelle danze che accompagnano i combattimenti e nella truppa di marabù, gli stregoni che assistono gli atleti. Sono loro che insegnano ai lottatori quale talismano indossare e quale sortilegio lanciare sul nemico. In cambio, vengono pagati a peso d'oro con fette consistenti della borsa offerta ai duellanti. Spesso sono i mbeurkatt la parte debole degli accordi commerciali. Procuratori, agenti, sponsor, organizzatori, capi delle scuole ripetono la storia di sfruttamento vista tante volte negli sport da combattimento.
Le concessioni alla modernità emergono soprattutto nelle scuderie di laamb dei centri urbani. Mohamed Ndao detto Tyson, un gigante vicino ai 2 metri che ha dominato la lotta senegalese finché è stato detronizzato da Yekini, si presenta nell'arena avvolto da un lenzuolo-accappatoio a stelle e strisce. Nella sua scuola di Dakar, la Bull Falé (ribellione, in wolof), ci si veste come rapper, si ascolta musica hip-hop e si gira per la metropoli a bordo di Suv 4x4 in stile South Central Los Angeles. Ma nessuno, a cominciare dal Tyson di Dakar che è un fervente musulmano, si distacca troppo dalla tradizione. E il massimo dell'offesa per un lottatore locale sarebbe il paragone con i wrestler americani della Wwe, entertainer da circo ed esecutori di coreografie provate con cura. Nel laamb i colpi e il sangue sono veri. "A volte", racconta Denis Rouvre, il fotografo francese autore di questi ritratti, "qualche match rischia di trasformarsi in un macello. Ma gli arbitri possono intervenire per fermare l'incontro. In ogni caso, la dimensione sportiva della lotta mi interessava meno della volontà di ascesa sociale dei mbeurkatt. Chi ha successo conquista il rispetto di tutti, molto più di un calciatore. Nulla è lasciato al caso nell'organizzazione. Ogni foto che ho scattato è stata negoziata". I boss delle scuderie non sono solo ex campioni. Il laamb è un business che attira chiunque voglia scalare la piramide del successo.

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