Il decreto bipartisan che svuota le curve
Emendato con norme ancora più repressive, il ddl Amato corre spedito al Senato nel tripudio di maggioranza e opposizione. Gli ultras restano nell'angolo
Tra applausi bipartisan e soddisfazione generale, è iniziato ieri il cammino del decreto legge anti-violenza al Senato. Si temevano intoppi e invece tutto sta filando liscio. Dal fronte ultras, al di là di qualche sciopero e presa di posizione nel turno infrasettimanale, nessuna nuova. Una fase di stallo in termini di elaborazione - che già di per sé evidenzia un momento nero, in quasi tutti i sensi, per il movimento ultrà italiano - iniziata ben prima degli eventi che hanno portato alla morte dell'ispettore Raciti e alle disposizioni varate dal governo dopo i fatti di Catania.
Il presidente della Commissione Affari costituzionali, Enzo Bianco (Ulivo), ha sottolineato fin da subito lo spirito con cui il decreto è giunto al Senato:
«Le modifiche apportate non solo non si sono tradotte in un annacquamento del decreto, ma lo hanno reso più rigido». L'esame del decreto in Senato continuerà la prossima settimana, ma i toni sono da celebrazione solenne. Il bigino del provvedimento, in 12 articoli, numero magico del Governo Prodi, è fornito da Felice Casson, dell'Ulivo:
«Bene le nuove norme: l'arresto in flagranza, il rito per direttissima, un sistema di sanzioni anche molto gravi. Questa normativa interviene su una materia già repressiva, quella del decreto Pisanu, con correzioni, integrazioni e ritocchi, trasformando il divieto di accesso negli stadi in divieto preventivo».
A impersonare invece "la morale" del decreto legge, è stato senza dubbio il vice ministro degli Interni, Marco Minniti. Nel suo intervento ha sottolineato i risultati che già rendono mitico il pacchetto:
«In queste poche settimane di applicazione del decreto abbiamo avuto un abbattimento della presenza dei tifosi in trasferta del 90%». Minniti snocciola numeri importanti:
«Se nelle settimane precedenti i tifosi in trasferta che si muovevano lungo il territorio nazionale erano 20.000, nelle settimane successive sono diventati 2.000. Questo comporta un problema di controllo dell'ordine pubblico radicalmente differente e anche, ovviamente, un impiego minore di forze dell'ordine». E' una questione di inclinazione, di punti di vista, evidentemente: gli stadi si svuotano e va bene così, anzi meglio. Del resto le iniziative dei tifosi latitano o quelle che ci sono fanno acqua. Un esempio: la Nord dell'Inter aveva invitato i propri tifosi ad andare comunque a Cesena, per la gara contro il Catania, lanciando l'idea della sagra della piadina. I Boys Sun ammettono sul web il fallimento: «Vuoi il blocco del traffico, vuoi che la partita era a porte chiuse, vuoi la pioggia battente del mattino, vuoi Sky», insomma non si è vista anima viva. Vuoi anche che il rischiare di ritrovarsi in mezzo a tante teste rasate e saluti romani grondanti formaggio, non è un divertimento conclamato nel paese? Anche questo, forse, spiega la disaffezione allo stadio e la poca solidarietà che la stragrande percentuale del pubblico ha mostrato nei confronti degli ultras.
Qualche tifoseria ha azzardato, tentando di smuovere le acque. I tifosi del Brescia 1911 sono in
"pausa di riflessione", la curva Costa di Bologna, prima di Rimini-Bologna, aveva deciso che fosse giunto il momento di fermarsi. Gli Ultras Tito sampdoriani mercoledì hanno inscenato uno sciopero spiegando che
«a farla da padrone sono stati il business e l'esigenza di portare avanti uno squallido teatrino chiamato calcio», introducendo un elemento non di poco conto, quello economico. I parmensi già più di un anno fa avevano issato uno striscione,
«Decreto Pisanu: per gli ultras immediato per le società rimandato» (ieri è stata anche istituita un'apposita commissione, per definire i criteri per consentire l'ingresso di striscioni negli stadi).
Gli ultras sono all'angolo: anche il calcio concepito dalle società, fatto di mischioni economici e grandi interessi finanziari, sembra infatti avere trovato risposte positive dal decreto. Ancora Minniti:
«Saremo in grado di affrontare in modo più severo tutta la questione del rapporto all'interno delle tifoserie e nel rapporto tra tifoserie e società sportive». Saranno interrotti i
«canali di collegamento economico tra le società sportive e le tifoserie che spesso ha prodotto rapporti non limpidi, in qualche caso rapporti incresciosi». Inoltre, ha aggiunto,
«con il decreto-legge viene vietato qualunque tipo di rapporto economico anche nel campo del merchandising e sappiamo quanto questo sia importante». I soldi finalmente vengono alla luce. Fingendo di colpire i violenti si avvisano le società: stiano tranquille, continueranno ad avere pieno potere sulla gestione dei propri introiti, guadagnati e giostrati tra prestiti, plusvalenze e borsa. Il Governo perde invece un'occasione per tentare di introdurre qualcosa di più significativo - che non le attività nei servizi sociali per i tifosi - in tema di compartecipazione di tifosi e club nel mondo del calcio, come ad esempio uno studio sulle società ad azionariato popolare.
Divisioni infine nel mondo dei sindacati di polizia: il Coisp, esprime soddisfazione al provvedimento, mentre è negativa la reazione del Sap. «Il provvedimento rischia di servire a molto poco», ha scritto il sindacato, lamentando l'impossibilità
«di potere arrestare in flagranza chi partecipa alle violenze durante le manifestazioni col volto coperto e che non può essere identificato con l'inutile numerazione del biglietto». Repressione, prevenzione, soldi: la nuova, ma forse è sempre esistita, Triade del calcio italiano.
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