Spunti di riflessioneIl lungo tramonto della curva estrema 
I capi in carcere con l'accusa di estorsione nel grande bluff targato Chinaglia. La sede presa di mira da un attentato dinamitardo. Gli affari in declino. Gli Irriducibili della Lazio affondano in una crisi politica che viene da lontano

La nuova bufera che si è abbattuta nelle ultime settimane sull'ambiente della Lazio ha riportato sotto i riflettori la sua tifoseria ultras. Protagonisti di un percorso originale e contraddittorio, gli Irriducibili Lazio rischiano oggi di naufragare tra vicende giudiziarie clamorose ed episodi inquietanti, come il recente attentato dinamitardo alla loro sede. Nati nell'87, di matrice ideologica di estrema destra, come tanta parte del tifo ultras, essi raggiungono il loro apogeo negli anni novanta, durante la presidenza Cragnotti. Data ad allora l'apertura di una serie di negozi in franchising (gli Original Fans) per vendere, insieme a quelli ufficiali della Lazio, una propria linea di prodotti. Gli Irriducibili, con una accorta politica dei prezzi, destinano il loro marchio soprattutto ai più giovani e a chi ha meno disponibilità economica. Riuscendo così insieme a produrre ricchezza e a rafforzare tra i tifosi i processi di identificazione tra squadra e Curva nord. Il "direttivo" (un triunvirato) che guida il gruppo e che ora è in custodia cautelare con l'accusa di estorsione, ha avuto l'abilità di tradurre i meriti conquistati sul campo del tifo in una impresa commerciale. Tre dei quattro arrestati sono gli unici proprietari e i maggiori beneficiari di tutte le attività economiche del gruppo.
Il secondo elemento che permise un salto di qualità senza precedenti in Italia fu l'invenzione nel 2001 della trasmissione radiofonica La voce della Nord, inizialmente sottovalutata dallo stesso "triunvirato", ma vero vettore della espansione egemonica (economica, culturale, politica) del gruppo. Ideata con acume e condotta abilmente, essa divenne la trasmissione più seguita nella giungla affollatissima dell'etere romano. L'incontro con un pubblico ampio e variegato era reso possibile da più fattori: l'indebolimento, pur senza abiure, del tradizionale messaggio ideologico di estrema destra; un impegno nel sociale capace di mobilitazioni aggreganti; i messaggi radiofonici di pacificazione lanciati verso i tifosi orientati su sponde politicamente diverse; la capacità di rappresentare una parte grande del tifo. Il gruppo iniziava a essere davvero un sindacato potenziale di tutti i tifosi, fuori dalla logica minoritaria ed estremista della prima stagione ultras. Molta gente vi si riconosceva, gli affari nei negozi Original Fans andavano a gonfie vele.
Il processo si reggeva su equilibri precari. La parte più militante del gruppo, che mal sopportava la depoliticizzazione strisciante, determinò l'allontanamento dell'inventore e del conduttore della trasmissione, rei di non aver voluto fare una puntata a favore di Priebke. La primavera degli Irriducibili era finita. La radio tornò ad avere un taglio politico forte, e ancora di più la fanzina venduta allo stadio, ormai veicolo di propaganda di estrema destra più che pubblicazione legata al tifo ultras. Nonostante l'appoggio ricevuto dalla gestione Baraldi (succeduto a Cragnotti nel pilotare la società per conto di Capitalia), con questi presupposti il target degli Irriducibili si restrinse radicalmente. Più la militanza politica di estrema destra riprendeva il suo spazio, più calavano gli affari e il consenso di massa.
Con l'arrivo di Lotito sembrò iniziata un'epoca di rinnovato slancio. Il neopresidente riportò a Roma Paolo Di Canio, ripagando così la curva dell'appoggio avuto durante la trattativa. E salvò la società dilazionando il debito col fisco, in virtù delle leggi esistenti, dei buoni rapporti col potere politico e del sostegno concorde del tifo biancoceleste. Ma subito nacquero diversi motivi di contrasto. Per carattere o per necessità il nuovo presidente iniziò a risparmiare ovunque fosse possibile, dagli stipendi dei calciatori alle modeste entrate di chi lavora all'ingresso dello stadio. Pose fine alle regalie dei biglietti, decise di nulla concedere in termini di organizzazione del merchandising. Non particolarmente simpatico, decisionista, pieno di sé, spesso discutibile (come nella vicenda di Calciopoli), Lotito ha saputo farsi interprete e battistrada, per forza di cose e per scelta, del momento reale attraversato dal pianeta-calcio, imboccando la strada della drastica riduzione dei costi e del ripristino di un governo forte delle società di calcio, senza cui il giocattolo non era più in grado di funzionare.
In difficoltà sul fronte dei negozi per gli errori politici commessi e per l'oggettiva fase di declino della società, assillati dalle strategie al risparmio del presidente, gli Irriducibili reagirono con una campagna di contestazione senza precedenti. Una contrapposizione sorprendente per radicalità e senza possibilità di mediazioni sembrò rivitalizzare il gruppo, ma si trattava di un'illusione. Alcune azzeccate mosse di mercato, il buon andamento della squadra, la permanenza in fasce importanti del tifo di una contrapposizione tenace alle volontà egemoniche degli Irriducibili, non permisero alla contestazione di generalizzarsi. Molta gente disorientata da tanto odio iniziò a disertare lo stadio, scegliendo di sedersi davanti alla tv (la Lazio è una delle società meglio retribuite da Sky, che certo non regala i soldi).
La carta Chinaglia per scalzare Lotito - la prospettiva cioè di un presidente-amico con cui cogestire la società - era solo un abbaglio. Per il bluff evidente di cui era portatore l'ex-calciatore, per la sua connivenza non solo recente con personaggi equivoci (l'identica operazione fallita ora con la Lazio era già stata tentata altre volte dagli stessi protagonisti, Chinaglia compreso, con due o tre squadre minori), per i modi incredibilmente pacchiani di gestire la vicenda da parte di faccendieri impresentabili. Soltanto una profonda ignoranza dei meccanismi del mercato e del calcio europeo poteva far pensare che fosse possibile impossessarsi in questo modo di una società di calcio di livello mondiale e quotata in Borsa. La vicenda presenta aspetti che sarebbero comici (tanto i protagonisti sono al di sotto della bisogna) se non fossero anche drammatici. Che il movente fosse affaristico-camorristico o ideologico-politico, la Lazio ha rischiato di pagare a caro prezzo la scorribanda. Se le cose fossero andate avanti, si sarebbe imboccata la via del fallimento, non appena si fosse acclarata l'origine malavitosa degli "investimenti".
Comunque andrà l'attuale vicenda giudiziaria (le responsabilità penali vanno provate in tribunale, per tutti i non condannati vige la presunzione di innocenza), risalire la china non sarà facile per gli Irriducibili. Troppi gli errori fatti nel recente passato, troppe le verità proclamate ai quattro venti e mai seguite dalla riprova dei fatti. Più in generale, il futuro della Curva nord biancocelste e dei gruppi ultras che la animano sembra legato alla capacità di guardare avanti tornando al passato: tornando cioè a fare semplicemente i tifosi, senza pretendere di eterodirigere le scelte societarie, senza sognare di sedere in qualche consiglio di amministrazione. E per di più tenendo basso il profilo politico. Allora forse anche i negozi potranno di nuovo dare qualche guadagno. Nel neocalcio non c'è per gli ultras un posto più grande di questo.
Anche Lotito non ha un futuro facile. Ha fatto quadrare i conti, ma di laziali che lo amano ce ne sono pochi. Ha capito che doveva ridurre la sovraesposizione tv, ma non cede all'idea di trovare qualcuno che faccia l'immagine della Lazio: come Dino Zoff nell'era Cragnotti o Mancini ai tempi di Capitalia. È sciocco fare raffronti con gli stadi pieni degli anni settanta, quando la partita non andava in diretta tv, ma uno stadio dignitosamente affollato è necessario per lo stesso "spettacolo" televisivo. Gli introiti vengono soprattutto da quest'ultimo, allo stadio si dovrebbe poter andare a prezzi stracciati, evitando anche la rapina dei bar interni o del parcheggio. Purtroppo anche le istituzioni non aiutano: non si vuol capire che uno stadio di proprietà, piccolo, comodo, sicuro e funzionale - su questo Lotito ha ragione, a prescindere dai suoi appetiti da costruttore edile - è indispensabile per «riportare la gente allo stadio». di Guido Liguori e Antonio Smargiasse

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