L'inspiegabile mistero del calcio Come può un'esplosione di gioia collettiva angosciare a tal punto l'individuo? Da lunedì questa non è una domanda, è un rovello. La felicità di domenica sera l'ho condivisa con decine di milioni di italiani, proprio come prima avevo con-sofferto per 120 minuti i patemi di una partita che l'Italia ha ("noi abbiamo") così spesso rischiato di perdere. Domenica era allegro e giusto non solo il parruccone azzurro sulla testa di Garibaldi, ma anche la bandiera tricolore che, con la scritta «Sei uno di noi», drappeggiava il suo busto al di sopra del maxischermo nella piazza dove insieme a metà del paese assistevo alla finale mondiale. Domenica erano commoventi sconosciuti e sconosciute che si abbracciavano, osti e baristi che pur taccagni offrivano da bere. Era spensierato, anche se inquinante, persino il carosello di auto e motorini. Tanto che ho timidamente provato anch'io - invano - a modulare una clacsonata. Ma lunedì! Quei tele-radiocronisti che all'aeroporto di Düsseldorf precisavano: «La coppa per ora sta in un sedile della 14esima fila dell'aereo». Quel pullman che da Fiumicino incedeva portatore di reliquia, di Graal, in una sorta di processione. E poi l'esultanza smodata. Una felicità così eccessiva da disperare. Tra le centinaia di migliaia di donne e uomini (nonché infanti) che rombavano e si sgolavano su e giù per Roma, guardavi le espressioni, tentavi di sottrarre quei volti e quei gesti all'anonimità della "massa". Ma invano: resta un mistero il vuoto che era colmato da questo eccesso di pieno, l'infelicità placata dall'ebbrezza momentanea. Quanto devono essere abissali le umiliazioni se per compensarle ci vuole una rivalsa così eccessiva? Cosa c'è dietro quell'urlo che saliva dalle viscere, così spesso ascoltato: «Spezziamo il mondo»? Entriamo qui in un'area enigmatica, in una zona d'ombra che né l'analisi sociale,né il pensiero filosofico sono stati finora capaci di portare alla luce. Che il calcio fosse importantissimo nella nostra modernità lo sapevamo da tempo. Nemmeno il fondamentalismo degli ayatollah è riuscito a impedire alle donne iraniane di entrare allo stadio, nonostante i divieti. Era altresì noto che le classi dirigenti fossero da lungi consce di tanta rilevanza: non a caso un uomo attento al marketing, politico e non, come Silvio Berlusconi, ha chiamato il suo partito "Forza Italia" (termine che George Orwell avrebbe inserito nella sua "neolingua" come esempio di "bipensiero", visto che il suo governo si apprestava a disintegrare l'Italia con la devolution). Ma l'ultima prova è venuta con "moggiopoli": se come commissario straordinario della Federcalcio è stato indicato il guru del capitalismo italiano Guido Rossi, se a dirigere le indagini è stato chiamato l'ex capo del pool milanese di Mani pulite, Francesco Saverio Borrelli, e cioè l'inquirente più autorevole d'Italia, se a presiedere la giuria nel processo è stato chiamato Cesare Ruperto, ex presidente della Corte Costituzionale, e se nessuno di questi tre insigni personaggi ha esitato un nanosecondo ad accettare, allora tutti siamo chiamati a riflettere sul pallone, come Marx rifletteva su argomenti volgari quali le "merci" e il loro feticismo. Eppure se si esce dalla spocchia francofortese verso tutto ciò che è "cultura di massa", la sociologia del calciononci offre granché, a parte trite ovvietà sui riti identitari, sui gruppi primari («noi contro voi»), sul teatro della guerra. Come per la pubblicità, altro aspetto nevralgico del moderno, ogni discorso sul calcio è sfasato, piscia fuori dal vaso: se lo prende sul serio, diventa serioso e non incorpora la dimensione ludica, se al contrario assapora il gioco e la festa, non riesce a tesserlo insieme alla trama dell'ordito sociale. Di fronte al feticismo collettivo di lunedì, cosa direbbe oggi Marx del calcio? Non penso che si limiterebbe a un inarticolato «Il calcio è l'oppio dei popoli». Ma se anche così fosse, dovrebbe spiegarci perché e come il pallone è stato in grado di sostituire dio in questa funzione narcotica. La religione è più semplice da spiegare: il suo ruolo (ricatto?) coinvolge l'infelicità umana, la malattia, il dolore, e infine, certo, il perire. Ma il calcio? Quali lividi dell'ego lenisce, quali disperazioni seda? E perché sempre più nei cimiteri, sulle tombe si vedono gagliardetti e stendardi di club di calcio, a ricordare una fedeltà più forte della morte? di Marco D'Eramo |