L'ultras pensa solo a
mamma
Il loro innato istinto di protezione è filtrato
dalla civiltà
Tra la via Aurelia e il Bronx. Sospettando l'esistenza
di una trama tesa a detronizzarlo, il leader della curva del Genoa,
Pietro Bottino detto "lo squalo", irrompe nella sede degli
Ultras, estrae una pistola e scarica cinque colpi contro il presunto
usurpatore. Poi esce, sale in macchina, e si dirige verso casa di mammà,
a Sassello. La squadra rossoblù è in testa al girone A della C1 ed ha
buone probabilità di promozione. Disgraziatamente, "lo
squalo" appena imboccata l'autostrada, tampona una Jaguar, e si sa
come sono permalosi i proprietari delle Jaguar quando si sfiora la
scocca metallizzata del loro ego: lo sa anche lo squalo, che china la
testa e si dichiara, obtorto collo, responsabile dell'incidente.
Senonché, una volta risalito in vettura, coi nervi ancora a fior di
pelle per la congiura ai suoi danni, e alquanto seccato per essersi
dovuto umiliare di fronte al bellimbusto jaguardotato, decide di
vendicarsi. Così si lancia nuovamente sulla vettura del rivale, la
affianca, tira fuori il revolver e vuota il caricatore, fornito di altre
cinque pallottole, sui finestrini, prima di ripartire per Piampaludo.
Bilancio della giornata: tre feriti, di cui uno grave, e tante morali,
tutte molto, troppo italiane.
La prima, tornata d'attualità proprio in questi giorni con l'arresto
del "pastore" Bernardo Provenzano in una spelonca invivibile,
è: migghiu cumannari ca futtiri. Meglio comandare che fottere. Il
codice d'onore del tifo è in effetti quanto di più simile alla logica
e soprattutto alla mistica mafiosa del potere: la squadra come la
famiglia, la curva come il territorio su cui esercitare l'egemonia.
Un'egemonia quasi sovrannaturale che si ottiene non coi soldi, ma con la
pratica spregiudicata e calcolata della violenza e della magnanimità.
Gli eredi si scelgono e si incoronano, i traditori vanno eliminati.
Semplice come premere un grilletto.
La seconda morale è che tutti gli italiani, ivi compreso lo squalo,
quando ne fanno una si rifugiano sotto la gonna della mamma. Si comincia
da piccoli quando si picchia il compagno all'asilo e si ottiene una
carezza comprensiva anziché un ceffone; si continua da ragazzini quando
si viene bocciati in terza media e sul banco d'accusa ci capita il
professore insensibile, si finisce da grandi quando si raccontano un
fracco di bugie agli italiani e mamma Rosa se le beve tutte. Sicuro che
anche il mostro di Firenze trovava conforto presso il focolare domestico
dopo ogni marachella.
Le mamme sono fatte così dappertutto. Ma altrove , che consiglia di
abdicare al loro ruolo non appena i figli raggiungono la maturità. Gli
italiani, invece, non solo tendono a procrastinare sine die l'ingresso
nell'età adulta, ma sono gli unici ad essere così cinici da sfruttare
la debolezza delle loro madri cercando di fregare anche loro.
Sempre questa settimana, e sempre parlando di curve, è uscita
un'intervista ai famigliari del tifoso interista arrestato per aver
aggredito Cristiano Zanetti all'aeroporto. Ebbene, il papà del reo
sosteneva che suo figlio non avrebbe mai fatto una cosa simile, che
sicuramente era stato tirato dentro da altri, che al massimo gli era
potuto scappare uno spintone e che comunque i calciatori erano gente
viziata e strapagata, lasciando intendere che quand'anche il rampollo
avesse menato le mani, non avrebbe fatto altro che il suo dovere.
L'ultima morale è che in Italia le constatazioni amichevoli di danno
non sono mai del tutto amichevoli. Perché in macchina siamo tutti un
po' ultras. Non solo lo squalo. di Andrea De
Benedetti
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