Di Canio, l'esibizionista dell'antica Roma Troppo severa o troppo poco? Il giorno dopo, la squalifica di un turno comminata a Paolo Di Canio per l'ennesimo saluto fascista esibito sabato sera all'Olimpico divide i tifosi, solletica i politici e fa arrabbiare la Lazio. Lui, incazzatissimo, questa sera si guarderà la partita col Lecce davanti alla tv, appiedato dal giudice sportivo per un inequivocabile saluto romano mostrato
«con piena consapevolezza della sua illiceità». Questa volta, la storia del simbolo dell'antica Roma e del suo apolitico valore di appartenenza non se l'è bevuta nemmeno il giudice Laudi (il grande Thuram pare di sì, dopo un colloquio ravvicinato al termine della sfida con la Juve). Sul significato di quel gesto, Di Canio ha alternato spesso due versioni. Quella del saluto agli amici della curva con cui condivide i valori dell'Urbe (niente nazismo e niente razzismo, solo un po' di storia) e quella del gesto ribelle di uno che non accetta due pesi e due misure dentro uno stadio (il pugno chiuso sì, il braccio teso no) e dunque sta con gli ultras discriminati della curva Nord, alla cui trasmissione radiofonica si concede sovente per disquisire amabilmente del Duce, della comunità ebraica e delle ingiustizie sociali che affliggono questo porco mondo. Il suo club (presidente, compagni, allenatore) l'ha difeso a spada tratta su questo versante, sposando appieno la prima tesi e definendo
«assurdo e aberrante» (Delio Rossi) il turno di stop imposto al giocatore per un semplice ciao ciao. Gli Irriducibili hanno organizzato un sit-in di protesta, venerdì, sotto gli uffici della Federcalcio. Lotito ha calato uno dei suo mirabolanti paragoni:
«Se quello di Di Canio è un saluto fascista, allora anche il saluto del Papa può essere interpretato allo stesso modo». La comprensione per il numero nove non è comune a tutti i tifosi biancocelesti. Molti non ne possono più delle scenate fasciste di Di Canio e avrebbero voluto una squalifica più dura anche perché chi era allo stadio, sabato sera, ha notato come ormai anche le altre tifoserie di destra inneggino all'attaccante laziale come a un simbolo trasversale: gli striscioni dei tifosi della Juve in trasferta («Onore a Di Canio») fanno il paio con quelli esibiti nel campionato scorso dagli ultras dell'Inter dopo il saluto romano nel derby. Un risultato politico rilevante e pericoloso che non può sfuggire a chi voglia guardare la vicenda senza paraocchi. Una punizione più severa potrebbe comunque arrivare a gennaio quando la Commissione disciplinare prenderà in esame il lavoro dell'Ufficio indagini sulla partita col Livorno e sulle farneticanti dichiarazioni rese da Di Canio sulla sua domenica speciale in terra rossa. Chi ha ribadito di non voler fare sconti è il colonnelo della Fifa, Sepp Blatter, che dopo aver chiesto l'allontanamento del giocatore dalla granda famiglia del calcio, ieri ha rincarato la dose assicurando che
«presto ci saranno misure per intervenire in maniera rapida e più severa» contro i razzisti della pedata. |