Spunti di riflessione

Il calciatore diventa cattivo
Sesso, droga e scommesse in tv. Una nuova fiction conferma l'ultima tendenza: raccontare il lato più oscuro di questo sport

In Tv li avevamo lasciati, i calciatori, alle prese con storiacce multiple di droga e sesso e sviluppi incontrollabili. Era la fiction "Ho sposato un calciatore", in onda con relativo successo su Canale 5 due mesi fa. Li ritroveremo, i calciatori in tv, a settembre, su Raidue, in un'altra fiction, dove sesso e droga sono appena accennati, ma in compenso abbondano partite vendute e comprate, malavita organizzata, omicidi di presidenti di società, fidejussoni e plusvalenze false per riciclare danaro sporco, carabinieri in azione, direttori sportivi cialtroni e ladri, false urine all'antidoping per coprire la cocaina. E così via. 

Dimenticate il calcio di Osvaldo Soriano e Montalban, dimenticate anche Pelè di "Fuga dalla vittoria", dimenticate l'esempio edificante e il modello per i giovani. Ormai se il cinema, la tv di racconto, la letteratura vanno a cercare il calcio, è per dipingerlo come un abisso di perdizione, con l'intero codice penale fatto a pezzi, pieno di personaggi squallidi ed eroi negativi perfetti. Che informazioni avranno, sceneggiatori e registi? 

Il nuovo caso è appunto la fiction di Raidue in onda a settembre, "L'ultimo rigore". È la seconda serie, la prima era andata in onda quattro anni fa e il protagonista (Enzo Decaro) era un allenatore che, schifato da storie di doping e malversazioni denunciate in prima persona decideva di ritirarsi e rimaneva disoccupato. Un po' alla Zeman, ma non si può dire. In questa nuova serie, l'allenatore Carlo Corsi ritorna, la squadra si chiama Juliana e gioca in serie B, nell'alto Nord Est. Ma subito qualcosa non va: la squadra perde partite inspiegabilmente, il portiere e i difensori prendono gol incredibili e si scopre che c'è del marcio: quattro giocatori si vendono, ma questo è il meno. Lo fanno come burattini nelle mani del general manager della squadra, in combutta con il legale di fiducia (Toni Garrani) del presidente (Ray Lovelock!). Il legale è un malavitoso vero ed è in contatto con mafie assortite per riciclare danaro sporco tramite fideiussioni false e - ahi ahi - plusvalenze gonfiate. Il presidente ("Ci siamo ispirati a Moratti" dicono quelli della fiction) non ne sa nulla, appena inizia a sospettare qualcosa, gli sabotano l'aereo personale e lo fanno schiantare sulle Alpi. 

Intanto in squadra arriva un giovane virgulto, fenomenale, tocca il pallone da dio, ma ha una storia famigliare disastrata, parla un italiano approssimativo ed è ribelle e rissoso. Un po' alla Cassano, ma non si può dire. Il general manager gli scaraventa tra le braccia - diciamo così - una valletta tv che lo introduce alle gioie della polvere bianca inalata attraverso biglietti da cinquanta euro arrotolati. L'allenatore è un bravo tipo e non ci sta? Nessun problema, il virgulto viene convinto in nome dei soldi, della coca e della valletta - diciamo così - a denunciarlo con losche accuse di parapedofilia. Intanto la squadra se deve perdere 3-1 perde davvero 3-1, e i soldi delle scommesse corrono, ma solo in poche tasche. 

Il regista de "L'ultimo rigore" si chiama Sergio Martino ed è un benemerito assoluto del settore. Oltre vent'anni fa girò un film sul calcio, ma era di tutt'altro genere. Era "L'allenatore nel pallone", con Lino Banfi, mitica farsaccia rimasta nel cuore di tutti gli sportivi veri (altre benemerenze di Martino: "Giovannona Coscialunga"). Altri tempi: oggi, con disincanto assoluto, Martino e gli sceneggiatori (tra cui, consulente, quel Carlo Petrini grande accusatore del calcio marcio moderno) trattano così il pallone, aspettando qualcuno in grado di dargli torto. Va da sé che la fiction, in due puntate, è avvincente, ultrapopolare, e molto edificante. Alla fine si redimono quasi tutti, il virgulto segna il gol decisivo della salvezza e le lacrime scorrono, la favola trionfa, ma è appunto favola. Prima bisogna passare, via pallone, per tutti gli inferni possibili. di Antonio Dipollina

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