Il Subbuteo estinto? No, lotta insieme a noi
Sì, il vecchio gioco con gli omini e i tiri con l'unghia. La multinazionale che lo produceva lo ha soppresso: meglio i videogames. Ma in Italia si è organizzata la "resistenza". E a Cesena anche la Chiesa benedice...
Appena passato il ponte sul Savio c'è una chiesa moderna che sembra il bunker di Goldrake. Sotto la chiesa, un teatro a cui sono state tolte le sedie. Qui ogni settimana si rivive una scena che farebbe venire i lucciconi a Peter Adolph, l'eccentrico ornitologo inglese che nel 1947 prese in mano un vecchio e polveroso gioco da tavolo trasformandolo in un successo mondiale. Il gioco venne battezzato dal suo creatore Subbuteo, nome latino del falco lodolaio, ed è stato dichiarato ufficialmente estinto nel 2000, per volere della multinazionale che ne aveva comprato i diritti. Ma, a dispetto della multinazionale, il gioco è sopravvissuto.
Gli Irriducibili del Subbuteo, oggi, in Italia, sono una setta che ha le sue regole e i suoi tempi. Sono riuniti in una federazione che ha la Serie A, B e C, come il calcio vero, ma che in tutto conta poche migliaia di iscritti. Per capire lo spirito degli appassionati bisogna affidarsi alle strade che portano nel cuore della provincia. E arrivare qui, nel teatro parrocchiale della chiesa di San Paolo, quartiere di San Mauro in Valle, dove ogni lunedì sera si celebra il rito degli omini con le casacche dei campioni. Con la benedizione del parroco, don Tarcisio. Che quando ha visto per la prima volta quei matti che si affannavano intorno a un tavolo verde, ha trovato che il gioco avesse una straordinaria affinità con il biliardo. Risultato: poiché don Tarcisio è un cultore di biliardo, ha deciso di spalancare le porte del suo teatro ai patiti del calcio da tavolo.
Calcio da tavolo o, più brevemente, calciotavolo: gli appassionati adesso lo chiamano così, nel tentativo di affrancarsi da un marchio glorioso ma ingombrante quale il Subbuteo. Un tentativo che mal nasconde la rabbia dell'innamorato tradito, del ragazzino cresciuto su quel metro e mezzo di stoffa verde a imitare con l'unghia dell'indice le discese di Vastola e gli appoggi di Cordova, cui un bel giorno il padrone del giocattolo ha detto: basta, non si gioca più. Milioni di appassionati del Subbuteo hanno eseguito l'ordine della multinazionale, spedendo le scatole con gli omini e i palIoni ad ammuffire in soffitta e convertendosi disciplinatamente alla nuova religione dei game boy e delle playstation. Ma c'è chi ha detto: col cavolo. Noi andiamo avanti a giocare così: «Perché ci piace la manualità, ci piace guardare in faccia il nostro avversario. E perché ci piace fare casino».
La comunità è sopravvissuta in tutto il mondo, chiazze di resistenza sparse qua e là e collegate dal tam tam di Internet. Le isole più robuste nel Vecchio continente: in Inghilterra, dove il gioco è nato, si celebrano tornei con i minuscoli giocatori dipinti a mano con le casacche delle squadre di football dell'ottocento, e la federazione si chiama «Lega degli straordinari gentiluomini di plastica».
«Folclore, pataccate» liquida con schiettezza romagnola Vincenzo Chiesa, anima del Cesena Calciotavolo. «Certo, si puó giocare a questo gioco anche per fare un po' di teatro, un po' di coreografia, una volta uno finì sulla Gazzetta per avere inserito tra i personaggi del Subbuteo anche due invasori di campo nudi e i poliziotti che li inseguivano. A noi piace stare più sul concreto. Per dirla in soldoni, ci piace giocare».
Eccome, se gli piace giocare. Tutti i lunedì pomeriggio, Chiesa va in parrocchia, sbaracca le sedie dalla platea del teatro, e comincia a montare i tavoli da Subbuteo (pardon, da calciotavolo). Dieci, tutti in fila, col panno verde ben tirato, le porte montate. Alle cinque e mezza arrivano i «babè», i ragazzini del vivaio. A chi non possiede la sua squadra, provvede il club. Ma la maggior parte raggiunge il teatro con la scatola personale sotto braccio, dentro ci sono i giocatori con la maglietta della squadra del cuore, quella del calcio vero. E via con le partite indiavolate, con Chiesa e gli altri vecchi che girano tra i tavoli a correggere e a impostare i «fondamentali» dei ragazzini.
«All'inizio" racconta don Tarcisio «questa scuola di calciotavolo ora nata per i giovani del quartiere, poi un po' alla volta hanno iniziato ad arrivare da tutta Cesena e anche da fuori, figli di padri con la stessa passione, o portati da questo o quell'amico... Ci sono dei pomeriggi che mi affaccio e trovo un chiasso da non capire niente...».
Poca cosa, comunque, a confronto con quel che accade quando cala la sera, i «babè» se ne vanno a casa, e nel teatro parrocchiale sbarcano i vecchi dei Subbuteo, gli irriducibili, quelli forti.
Anche questo appuntamento era nato come interno al Cesena Calciotavolo, torneo di club per mantenersi in forma in vista dei campionati. Ma poi la voce si è sparsa in tutta la regione: perchè il Cesena é un piccolo club senza pretese, ma c'è un bel clima e il clima in certe cose è tutto. Così il teatro della chiesa di San Paolo è diventato un punto di riferimento per i «subbuteodipendenti» di mezza Italia.
Al centro di tutto c'è il tiro, il «cricco» come lo chiamano qui (ma altrove viene detto cicchetto, cicco, ciccotto): che deve essere fatto solo con il dorso dell'unghia, proibito il polpastrello, proibito toccare con mano o braccio altri omini mentre si tira. E siccome non ci sono arbitri né moviola né quarto uomo, si finisce col darsi sul tono. Due tempi da quindici minuti, in caso di parità golden gol e tiri piazzati, una variante più difficile del rigore. Ad affrontarsi, calciotavolisti di ogni gusto e di ogni livello. C'è quello che si è fatto una squadra di talebani, attaccanti e difensori tutti con il loro turbantino e la casacchina di montone. C'è quello che, invece, bada all'hi-tech: omini comprati in Svizzera, orrendi a vedersi ma di grande efficienza.
Il segreto, spiegano, sta tutto nelle basi, il calciatore che c'è sopra è lì solo per bellezza. Così nelle basi la tecnologia fa passi da gigante, la fine del monopolio Subbuteo ha aperto spazi a piccoli produttori che programmano al computer le prestazioni: «Certi tiri» racconta Chiesa «una volta erano patrimonio dei grandi campioni, oggi anche un giocatore di medio livello può imbroccare una punizione a foglia morta degna di Totti»,
Nel teatro parrocchiale arrivano Il brocco e il campione, un calciotavolista alle prime armi può incontrare davanti al panno verde leggende come il Giulianini di Faenza o il Frignani di Reggio. Si tira la mezza, l'una. Poi si attraversa il Savio, ci si infila da Michiletta - che è l'osteria più antica di Cesena - e vai con l'Albana: alla salute di quelli che questo gioco l'avevano proclamato morto.
Gli omini fatti fuori dal falco Wolfowitz
Oggi alla Difesa con Bush, era amministratore della Hasbro, I 'azienda produttrice
Il Subbuteo è stato inventato nel 1947 in Inghilterra dall'ornitologo Peter Adolph, che riprese un gioco esistente già dagli anni Trenta, il Newfooty, creato dal connazionale W.L. Keelings. Le innovazioni principali di Adolph riguardarono i materiali utilizzati per le basi e l'introduzione degli omini a impersonare i calciatori. Il successo fu travolgente, in Europa e in Nord America. Negli anni Settanta si vendono milioni di confezioni. Negli anni Novanta la Subbuteo viene rilevata dal colosso Hasbro. Ed è Hasbro che nel 2000 decide di sopprimere la produzione: l'azienda considera il gioco perdente davanti
al videogame di tema calcistico. Per due anni in Italia il gioco sopravvive grazie alla licenza concessa da Hasbro all'importatore, la ditta Parodi di Genova, poi la licenza viene ritirata e il gioco scompare per sempre dagli scaffali. Particolare curioso: a decretare la fine dei Subbuteo fu Paul Wolfowitz, allora amministratore della Nasbro, divenuto poi il viceministro della Difesa di George W. Bush, e uno degli ideatori dell'operazione "Iraqi Freedom".
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