All'ultimo stadio
Il blitz della Guardia di finanza contro il mondo dei pallone ha nel mirino bilanci truccati e affari sospetti. E una figura centrale: quella dei procuratore
Stato di polizia, come dice il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi o stato di pulizia, come precisa il vicepremier Gianfranco Fini? Il futuro dei calcio italiano sta tutto in un gioco di parole.
Tra chi teme di sfasciare tutto e grida al complotto dei giustizialisti e chi, invece, vorrebbe fare chiarezza sul passato per ripartire con regole nuove. Di certo la montagna di carte. decine e decine di faldoni, sequestrate dalla Guardia di finanza nello spettacolare (forse troppo) blitz di fine febbraio, potrebbe rivelarsi molto utile per alzare il velo sulla storia segreta dei pallone nostrano. Quella che di solito non viene raccontata nei commenti dei dopo partita e nemmeno nelle dispute televisive e da bar sport. Li, su quelle carte, sono descritti gli affari miliardari (in vecchie lire) di un gruppetto di persone che ai tempi del boom hanno tenuto in pugno il grande circo del calcio italiano. Affari segreti. Affari che a volte portano a società e conti bancari aperti all'ombra di paradisi fiscali.
Un filone decisivo delle indagini ruota intorno ai procuratori. Cioè i professionisti che di norma assistono i giocatori, ma anche le squadre, guadagnandosi un compenso calcolato in percentuale, si può arrivare fino al 5-6 per cento, sull'ingaggio spuntato dal calciatore o sul valore della transazione. Fin qui nessun problema. Figure professionali analoghe esistono nel calcio di mezzo mondo. Solo che in Italia, mentre il valore delle transazioni si gonfiava a dismisura di pari passo con la bolla speculativa che accompagnava il business del pallone, anche molti procuratori sono diventati il crocevia di affari ciamorosi, giocando spesso un ruolo decisivo. Fonti che hanno frequentato a lungo i palazzi dei calcio raccontano che nei formidabili anni Novanta non era raro che il pagamento della parcella professionale agli intermediari delle operazioni di calciomercato avvenisse a finanziarie con base all'estero. Molto spesso in località off-shore. Uno degli obiettivi delle indagini è quello di ricostruire il percorso del denaro. Capire se i soldi usciti dalle casse delle società calcistiche, una volta approdati ai conti degli intermediari, sono stati interamente incassati da loro, oppure no.
L'interesse dei magistrati per il momento si concentra sugli scambi di mercato tra la Lazio di Sergio Cragnotti e il Parma di Calisto Tanzi. Ovvero i due club coinvolti nei crack di Cirio e Parmalat. Veron, Sensini, Crespo, Alrmeyda: sull'asse tra Roma e l'Emilia, in un senso o nell'altro, hanno viaggiato molti calciatori. A volte con operazioni clamorose, come il passaggio di Crespo dal Parma alla Lazio, concluso nell'estate del 2000 sulla base di una valutazione per il giocatore argentino di 110 miliardi di lire, di cui però solo 35 miliardi in contanti. E' questo l'affare simbolo di un mondo che per anni si è retto su bilanci gonfiati e plusvalenze puramente contabili. Ai fini dell'inchiesta penale, però, risulta difficile mettere sotto accusa le supervalutazioni dei calciatori. In qualche modo erano il risultato di un mercato drogato. Un po' come le quotazioni delle aziende della cosiddetta New Economy ai tempi della bolla speculativa di Internet. Quei mega-affari, però, hanno alimentato flussi di denaro contante in varie direzioni. Prima fra tutte i costi per intermediazioni e consulenze sostenuti dalle squadre. E' proprio su queste che si potrebbe concentrare l'attenzione degli investigatori. Una prima traccia concreta emerge già dai bilanci dalle squadre. A ben guardare, infatti, si scopre che il Parma di Tanzi nell'esercizio chiuso al 30 giugno 2000 ha sostenuto "costi per attività sportive" pari a 15,9 milioni di curo, pari a oltre 30 miliardi di vecchie lire. Nel 2001 questa voce è scesa a 5,5 milioni di curo e nell'esercizio successivo a 4,4 milioni, per un totale di 25,8 milioni di curo. Si tratta di somme molto consistenti, anche perché nella quasi totalità risultano pagate per lo più a procuratori e consulenti di mercato. Secondo quanto recita il bilancio, i costi per attività sportiva comprendono le spese per i "ritiri, le osservazioni prove giocatori, i costi accessori campagna trasferimenti e la gestione rapporto calciatori". Considerando che difficilmente il Parma può aver speso più di qualche centinaio di milioni di vecchie lire per pagare gli allenamenti o i ritiri, tutto il resto dovrebbe essere finito ai procuratori. Sono proprio loro che rappresentano i "costi accessori campagna trasferimenti" e si occupano della "gestione rapporto calciatori". Anche la Lazio di Cragnotti ha sostenuto spese rilevanti nel campo intermediazioni e affini. La squadra biancoceleste, alla "voce costi specifici tecnici" ha iscritto in bilancio 8,4 milioni di curo nel 2000, 5,5 milioni nel 2001 e 5,9 milioni nel 2002. Totale: 19,8 milioni in tre anni, quasi 40 miliardi di vecchie lire.
Chi ha incassato questo fiume di denaro? Le carte sequestrate nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza potrebbero consentire di ricostruire il percorso esatto dei pagamenti. E di capire se almeno una parte di questi soldi siano approdati a società off-shore. Di certo, fin d'ora non si può fare a meno di notare che negli anni del boom tra i procuratori erano pochi nomi a farla da padrone. Anzi, risale proprio a quel periodo una sorta di spartizione dei mercato. Nel caso dei calciatori stranieri, per esempio, ciascun Paese poteva avere un «procuratore di riferimento". Nel senso che i migliori calciatori di una singola nazionalità finivano per farsi assistere da un solo professionista. Eclatante il caso dell'argentino Gustavo Mascardi, in ottimi rapporti sia con Cragnotti sia con Tanzi, che ha rappresentato calciatori del calibro di Veron, Crespo, Sensini, Ayala. Molto attivo anche Paco Casal, forte soprattutto sul mercato uruguavano (Recoba). E in Romania ha costruito un impero Giovanni Becali che ha trattato tutti i più forti giocatori di quel Paese. A cominciare da Hagi, e poi Mutu e Chivu, giusto per citare i più famosi in Italia.
Questi procuratori arrivavano a disporre di una sorta di potere di veto su singole operazioni. A volte hanno saputo sfruttare alla grande la loro posizione. Vale per tutti il caso di Casal, il procuratore di Recoba, che riuscì a convincere l'Inter a comprare per oltre 9 milioni di euro lo sconosciuto uruguaiano Pacheco. In due campionati l'attaccante sudamericano ha collezionato una sola presenza in serie A nella squadra nerazzurra ed è poi stato ceduto per 185 mila curo.
Anche le squadre possono avere i loro procuratori di riferimento. Professionisti amici da cui passano una buona parte degli affari di mercato. Giusto per restare alla Lazio di Cragnotti, nel mondo del calcio tutti ricordano lo stretto rapporto tra il finanziere romano, suo figlio Massimo e il procuratore Vinicio Fioranelli. Quest'ultimo aveva costituito insieme al socio Vincenzo Morabito la società svizzera Fimo con sede a San Gallo. Di recente i due si sono separati, ma restano in piena attività.
Fioranelli in particolare è stato protagonista anche dei recente trasferimento di Stankovic dalla Lazio a ll'Inter.
Un nome che ricorreva spesso nelle operazioni concluse dal Parma di Tanzi era invece quello di Federico Pastorello, che guida la P&P sport management con base nel Principato di Monaco. Pastorello, in un certo senso, è un figlio d'arte. Suo padre Giambattista fino al 1996 è stato direttore generale del Parma calcio. Attualmente siede sulla poltrona di presidente del Verona, ma fino a qualche anno fa faceva capo a lui anche una partecipazione importante nel Siena.
Le indagini a tappeto sul mondo del calcio sono arrivate nel momento peggiore per la categoria dei procuratori. Dopo gli anni del boom in cui i guadagni erano relativamente facili anche per le seconde schiere, il crollo dei valori di mercato ha ridotto la torta. E nel frattempo il numero dei concorrenti alla ricerca di un posto al sole è molto aumentato. Al momento sono oltre 300 i professionisti che si fregiano della qualifica ufficiale di agenti di calciatori. Logico allora che a qualcuno finiscano per restare solo le briciole. E a peggiorare la
situazione è arrivato il ciclone Gea, meglio nota come la società dei rampolli celebri: Chiara Geronzi, figlia di Cesare, il presidente di Capitalia, Andrea Cragnotti, figlio dell'ex patron della Lazio, Francesca Tanzi, figlia di Calisto e Alessandro Moggi, erede di Luciano, il direttore generale della Juventus. Tutti azionisti, in forma diretta o indiretta, della Gea World con base a Roma. Per questa società lavora anche Davide Lippi. E proprio il figlio dell'allenatore della Juventus si è messo in affari con Moggi junior. I due rampolli della brillante coppia di vertice bianconera risultano azionisti di due società torinesi: Licom e Insieme.
Negli ultimi anni i professionisti legati alla Gea hanno fatto man bassa di procure tra calciatori e allenatori. Se ne contano almeno 200, tra le proteste di buona parte della categoria dei procuratori, che grida al conflitto d'interesse. Altri paesi, come l'Inghilterra, vietano espressamente l'attività di procuratore ai parenti di tesserati o di manager di società sportive. Ed è in via di applicazione anche una nuova norma che impone alle squadre di rendere noti i compensi destinati agli intermediari dei calciomercato. In Italia tanta trasparenza resta una chimera. Il codice di comportamento degli agenti non pone alcun limite in tema di rapporti di parentela. Basta che il procuratore avverta il suo assistito della posizione di potenziale conflitto d'interesse.
Come dire: se, per ipotesi, il figlio di Moggi si trova a ad assistere professionalmente un giocatore in predicato di trasferirsi alla juventus, basta che lo avverta che papà Luciano è direttore generale dei bianconeri. Immaginiamo lo stupore dei calciatore in questione. E non è neppure da escludere crisi di coscienza che lo portino a tagliare immediatamente i ponti con i Moggi padre e figlio.
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