Spunti di riflessionePalloni sgonfiati 
La Uefa fissa l'ultimatum. Bilanci in ordine entro la fine di marzo altrimenti le squadre resteranno fuori dalle Coppe europee. Chi ha le carte in regola? 

colloquio con Lars Christer Olsson

Deroghe? E perché mai?... Perfino uno svedese dall'aria glaciale come Lars Christer Olsson fatica a trattenere un moto di stizza di fronte all'ennesima domanda sulla crisi finanziaria del calcio all'italiana. L'amministratore delegato dell'Uefa, la Federazione europea di calcio, recupera in fretta il suo aplomb nordico, alza il sopracciglio sinistro e sibila: "Gli italiani devono rispettare le regole come tutti gli altri. Senza sconti".

Da poco più di un mese il manager scandinavo, 54 anni, già calciatore e allenatore di buon livello, ex segretario generale della Federcalcio di Stoccolma, è il numero uno operativo del massimo organo direttivo del calcio europeo. Il comitato esecutivo dell'Uefa conta 14 membri. Ci sono rappresentanti di Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Olanda. Perfino un islandese, un cipriota, un maltese, uno svizzero e un lussemburghese. Di italiani, però, neppure l'ombra. E questo fatto rende l'idea dello scarso peso politico del pallone nostrano. A Franco Carraro, il presidente della Federcalcio, è stato riservato un posto da 'special advisor', una sorta di membro esterno senza diritto di voto.
Sulla carta, quindi, la situazione non appare granché rassicurante per i club italiani. Soprattutto in vista delle importanti decisioni che la Federazione europea sarà presto chiamata a prendere. Toccherà infatti a Olsson, che ha preso il posto del tedesco Gerhard Aigner (in pensione da gennaio), gestire l'applicazione del nuovo sistema delle cosiddette licenze Uefa. Un corposo manuale di 130 pagine che fissa i requisiti minimi per le squadre di club. Chi li rispetta può partecipare alle competizioni continentali. Altrimenti è fuori: niente Champions League, niente coppa Uefa. Al bando perfino dall'Intertoto, il torneo di consolazione. Le nuove regole riguardano un po' tutta l'organizzazione delle società calcistiche. Si va dalle caratteristiche degli stadi all'organizzazione manageriale, ma è sui bilanci che molte squadre italiane rischiano grosso.

Al momento, delle prime sei del campionato se ne salvano solo tre: Milan, Juventus e Inter. Le altre, Roma, Lazio e Parma, devono mettere ordine nei loro bilanci. Altrimenti sono fuori dall'Europa del calcio. Le tre squadre italiane hanno debiti scaduti con il Fisco per una somma complessiva che supera i 200 milioni di euro. La Roma non ha neppure ottenuto il via libera dei revisori ai conti al 30 giugno 2003. Una situazione che risulta in palese violazione delle nuove regole fissate nel manuale Uefa.
Ormai il tempo stringe. Il 28 febbraio scade il termine per mettersi in regola. Poi ci sarà un altro mese di tempo per inoltrare eventuali ricorsi contro le decisioni della Federazione europea. Proprio in vista di queste scadenze, nelle ultime settimane Olsson è stato sottoposto a un discreto pressing diplomatico da parte dei rappresentanti dei club italiani. L'amministratore delegato dell'Uefa però insiste: "Non faremo sconti".

Signor Olsson, molti osservatori ritengono che alla fine l'Uefa non escluderà le squadre italiane. Se non altro per non far perdere pubblico e incassi televisivi alle competizioni europee. Andrà a finire così?
"Non vedo proprio perché dovremmo favorire qualcuno. I club italiani, così come tutte le altre squadre del Continente, sapevano da anni che l'Uefa avrebbe introdotto nuovi requisiti per la partecipazione alle competizioni continentali. Hanno avuto tutto il tempo per prepararsi a queste novità e mettere ordine nei loro bilanci".

Si tratterebbe di concedere qualche mese di tempo...
"Abbiamo già posticipato di un anno l'applicazione delle regole che erano state fissate fin dalla primavera del 2002. Adesso il tempo sta per scadere. A questo punto le norme vanno applicate".

Quindi il 28 febbraio resta il termine ultimo per mettersi in regola? 
"Non c'è ragione per concedere delle proroghe. Il nuovo sistema delle licenze per i club serve a garantire che il calcio europeo sia gestito in modo professionale e corretto. Ci siamo arrivati con un lavoro preparatorio lungo e complesso. Adesso le norme vanno applicate".

Per evitare il tracollo di molte squadre il Parlamento italiano ha varato la cosiddetta legge spalmadebiti. Qual è il giudizio dell'Uefa su questa norma? 
"È un giudizio che non ci compete. La nostra normativa è ovviamente sottoposta alle leggi dei singoli Paesi. Se una norma nazionale consente di redigere i bilanci in un modo piuttosto che in un altro noi non posiamo eccepire".

Sì, ma molti club parlano di concorrenza sleale, di competizioni falsate. La faccenda vi riguarda, o no? 
"Le novità introdotte di recente in Italia sono all'esame dell'Unione europea proprio sotto il profilo del rispetto delle regole sulla concorrenza. Quando la Commissione di Bruxelles avrà preso una decisione, l'Uefa non potrà fare altro che prenderne atto".

In Europa il giocatore di una grande squadra arriva a disputare fino a 80-90 partite a stagione. Non sono troppe? 
"Sono d'accordo. Anche perché un impegno agonistico eccessivo può teoricamente favorire il ricorso a pratiche di doping per far fronte allo stress. Senza contare l'aumento dei costi per le squadre costrette ad ampliare gli organici dei calciatori per restare competitive su tutti i fronti".

Intanto, decine di calciatori sono costretti a sostenere ritmi di lavoro forsennati. E qualcuno ricorre all'aiutino... 
"Proprio per questo motivo l'Uefa da questa stagione ha introdotto una nuova formula della Champions League che riduce il numero delle partite. Anche le federazioni dei singoli Paesi, però, devono fare la loro parte, eventualmente ripensando i calendari delle competizioni nazionali". 

A proposito di doping. L'Italia ha introdotto i nuovi controlli incrociati sangue-urine, accolti con poco entusiasmo dai calciatori. L'Uefa che cosa sta facendo in questo campo?
"L'Italia è una delle nazioni con la normativa più severa in campo antidoping e quindi non è una sorpresa che vengano scoperti un maggior numero di casi di positività rispetto ad altri Paesi. La Fifa, la Federazione mondiale, sta discutendo nuove procedure di controllo con la Wada, l'Agenzia antidoping internazionale".

Finora ogni Paese si è mosso per conto suo... 
"Ritengo auspicabile che si arrivi a regole comuni tra le diverse federazioni nazionali. Comunque, in base al parere dei nostri esperti, gli esami del sangue non sono indispensabili. L'Epo, cioè il farmaco che aumenta la resistenza alla fatica, può essere individuato anche con i semplici test sulle urine, utilizzando tecniche di analisi messe a punto di recente".

Molti addetti ai lavori si oppongono ai tagli nei calendari agonistici e obiettano: "Meno partite, meno incassi". È davvero così? 
"Non sono d'accordo. Se diminuisce il numero delle partite si riducono ovviamente anche i ricavi, ma i costi calano ancora di più. Di conseguenza, come dimostrano gli studi che abbiamo condotto su alcuni casi concreti, i margini di profitto possono aumentare anche se diminuisce il numero delle partite giocate dalla squadra. Inoltre, se l'attenzione del pubblico si concentra su un numero minore di match, allora il valore commerciale del singolo evento non può che aumentare".

Le tv però non sembrano più disposte a pagare come in passato la merce calcio. Altri buchi in bilancio in arrivo per le società calcistiche? 
"Non vedo rischi concreti per le grandi competizioni internazionali, che garantiscono sempre un'audience importante. E anche le squadre più note, quelle con il maggior numero di tifosi, valgono ancora molto sul mercato dei diritti tv e sarà così anche in futuro". 

Le piccole squadre protestano. A loro vanno le briciole della grande torta. 
"In effetti il discorso cambia per le competizioni minori, oppure per i club di seconda linea. Le loro partite sono più difficili da vendere, l'audience potenziale è ridotta. Quindi se la torta del mercato televisivo diventa più piccola è logico che i primi tagli si concentrino su questa fascia".

Insomma, le cosiddette provinciali rischiano grosso. Per disputare un campionato, però, servono anche i club minori. Come se ne esce? 
"Non conosco formule magiche per risolvere questi problemi. Forse bisognerebbe introdurre nuovi meccanismi di solidarietà tra squadre grandi e squadre piccole".

In Italia i presidenti stanno litigando sul sistema di mutualità per la serie B. Non sembra un buon inizio... 
"La fonte di maggiori ricavi sono i diritti televisivi, ma in Italia i contratti già da alcuni anni vengono gestiti individualmente dalle squadre. In questo modo il divario tra grandi e piccoli non può che aumentare. E invece bisognerebbe trovare il modo di distribuire le risorse in modo più equo".

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