L'ultimo sorriso di Miklos
Domani in Ungheria i funerali di Miklos Feher, l'attaccante ventiquattrenne del Benfica, morto ieri a Guimaraes sull'erba dello stadio Re Afonso, al 90' della partita contro il Vitoria. Camera ardente a Lisbona
Sono attesi per questa mattina gli ultimi risultati dell'autopsia su Miklos Feher, l'attaccante ventiquattrenne del Benfica morto ieri a Guimaraes sull'erba dello stadio Re Afonso, sotto la pioggia, al 90' della partita contro la squadra cittadina del Vitoria. Domani il corpo dello sfortunato calciatore dovrebbe essere già tornato a casa sua, a Gyon in Ungheria, dove si svolgeranno i funerali. C'è già un ipotesi molto accreditata, quella dei medici dell'Istituto di medicina legale che parlano di trombosi polmonare. C'è pure la testimonianza dell'ex medico della nazionale ungherese che afferma con sicurezza la totale assenza di problemi cardiaci nel calciatore. E così, a meno di sorprese il copione sembra quello già scritto in occasione della scomparsa del camerunese Marc Vivien Foe l'estate scorsa durante Camerun-Colombia: la morte in diretta, le polemiche sui soccorsi, i sospetti di doping, i discorsi sui controlli medici. Ma niente che riesca veramente spiegare tutto quello che è successo a Feher e a Foe. E a Renato Curi nel lontano 1973 allo stadio di Perugia, per citare soltanto un caso rimasto nel cuore degli appassionati italiani di calcio. La morte in diretta, dunque.
Vitoria-Benfica è in onda domenica sera sul canale satellitare portoghese Sport tv. Feher, numero 29, attaccante panchinaro che nelle ultime settimane ha molto protestato e scalpitato per il fatto di essere impiegato troppo poco in campo dal mister Camacho, ha finalmente rilevato al 59' l'altro attaccante sloveno Zlahovic. Al 90' il Benfica segna l'unico gol della partita e attende il fischio finale. C'è una rimessa in gioco del Vitoria a metà campo e Feher cerca di perdere tempo infastidendo un avversario. L'arbitro lo ammonisce, Feher sorride e si tira indietro i capelli col palmo della mano. La regia sta seguendo da vicino il giocatore che lentamente si volta, appoggia le mani sulle ginocchia come a prendere fiato e subito dopo crolla a terra di lato. Espirito Santo c'è scritto sulla maglietta rossa del Benfica.
Sono le 21.32, e gli orari sono importanti. Il quotidiano sportivo portoghese O jogo, è uscito ieri con la prima pagina completamente nera e una scritta bianca: «È morto Miklos Feher». Sotto, più in piccolo, aggiunge due orari: le 21.45, ora in cui l'autoambulanza è uscita dal campo e le 23.10, il momento nel quale Feher è stato dichiarato morto nell'ospedale vicinissimo allo stadio. Le prime testimonianze parlano di un muretto che avrebbe ritardato l'entrata dell'ambulanza sul terreno di gioco e l'eventualità mette un po' di pepe anche nei resoconti usciti ieri mattina sui giornali italiani (proprio nello stadio di Guimaraes l'Italia giocherà due incontri dei prossimi Europei). Tuttavia, nessuno il giorno dopo in Portogallo sembra dare molto peso alla cosa: secondo la cronologia publicato dal quotidiano sportivo O jogo, si sarebbe trattato soltanto di rimuovere alcuni cartelloni pubblicitari e l'operazione avrebbe preso meno di un minuto. Nel frattempo, Feher stava già subendo il trattamento col defibrillatore, e alle 21.45 l'ambulanza ha lasciato lo stadio.
Si racconta anche che in quei lunghissimi minuti il pubblico sulle tribune abbia scandito ad alta voce il nome dell'attaccante, mentre i suoi compagni pregavano e piangevano attorno a lui scrutando il minimo segno di vita. La scena, nel frattempo, veniva mandata in onda in diretta dal primo canale portoghese che aveva interrotto le trasmissioni per collegarsi con lo stadio di Guimares. Nessuna meraviglia, dunque, se ieri non solo il mondo dello sport ma tutti, a cominciare dal presidente della repubblica Sampaio, abbiano voluto dedicare un pensiero al povero Feher. Per il quotidiano di Lisbona Publico quella di ieri è stata «la vittoria più triste» nella storia di uno dei più gloriosi club europei. Miklos Feher, detto «Miki», era un centravanti classico, buono di testa e capace di giocare il pallone, anche se i suoi critici lo vedevano un po' troppo piccolo per calarsi nella parte dell'ariete di sfondamento e un po'troppo lento per infilare di sopresa le difese avversarie. Lo aveva scoperto il figlio del presidente del Porto Pinto Da Costa, volato in veste di osservatore ad una partita del Ferencvaros e tornato con ottimi presagi sì, ma nei confronti di un giovanissimo attaccante della squadra avversaria, il Gyori Eto. Era il 1997 e l'anno successivo Feher si trasferisce al Porto. Segna 6 gol la prima stagione, ma gioca soltanto 10 partite perchè il suo posto all'epoca è di Mario Jardel, capocannoniere del campionato, praticamente un intoccabile. Così l'anno successivo l'ungherese spinge per andare in prestito ad altre squadre: finisce al Salgueiros e al Braga, dove riesce a fare il suo mestiere - segnare gol - con una certa tranquillità. Lo chiama anche la nazionale ungherese, ma quando torna finalmente al Porto e viene relegato nella squadra delle riserve scoppia quello che fino ieri era conosciuto come il «caso Feher».
Era stato il procuratore di Feher, il potente Josè Veige, a «liberare» il centravanti ungherese dal contratto col Porto e a portarlo finalmente al Benfica. L'affare però era finito nel mirino della Lega calcio portoghese che, in applicazione di una discussa regola sui transfert dei calciatori minori di 23 anni, aveva condotto a una lunga battaglia legale perché il Benifica fosse costretto a pagare al Porto i diritti sulla formazione del giocatore. 4 milioni di euro aveva chiesto il Porto, poi ridotti a 600.000 dalla stessa Lega. Lungi dall'essere chiuso per l'opposizione del Benfica, il caso Feher attendeva ancora appelli e contrappelli, che oggi ovviamente appaiono del tutto sinistri e fuoriluogo. Un paradosso in più nel dorato e spietato mondo del pallone. Feher, nipotino smarrito dello stesso grande calcio ungherese che tra gli anni `20 e gli anni `50 insegnò tecnica e tattica a tutto il mondo (Inghilterra e Brasile compresi), era un centravanti così così. Gli allenatori lo tenevano più spesso in panchina che in campo e i tifosi si ricordavano di lui più per i suoi errori sottoporta che non per le sue imprese. Purtroppo per tutti, da oggi difficilmente lo dimenticheremo.
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