Spunti di riflessioneIl pallone che rotola verso la resa dei conti
Dal tonfo della Cirio allo scandalo fideiussioni, dalla disputa sui diritti-tv al fallimento della Parmalat

Un'esplosione a tappe, una lenta agonia, un fallimento sempre più annunciato. Il pallone italico rotola veloce senza possibilità di fermarsi: nel migliore dei casi andrà incontro ad un drastico ridimensionamento. In principio fu il crack della Cirio di Cragnotti, che ha trascinato sull'orlo del baratro la Lazio, a far suonare un primo campanello d'allarme. La società biancoceleste si è finora salvata grazie all'intervento di Capitalia e all'acume di Baraldi; ma il piano stabilito da quest'ultimo è bellamente sfumato dopo il suo addio e l'agognato aumento di capitale (di 120 milioni di euro), recentemente approvato dall'assemblea dei soci, deve essere ancora debitamente concretizzato. 
I romanisti si sono ritrovati sulla stessa barca o quasi: alla rovente estate dello scandalo fideiussioni, con una rocambolesca (e ancora criticata) iscrizione al campionato grazie anche lì al sostegno di Geronzi, ha fatto seguito un bilancio societario che al 30 novembre segnava 103 milioni di euro di debiti, senz'altro bisognoso di una nuova iniezione entro marzo. A quel punto, qualunque sia la posizione in classifica della Roma, sarà ancora troppo presto per l'ingresso della famiglia Toti, principale indiziata a rimpiazzare il presidente Sensi. Sarà troppo presto anche per l'arrivo di nuovi proprietari alla guida del Parma, che è stato investito dal più recente crack Parmalat col conseguente addio della famiglia Tanzi ed è ora alle prese con 77 milioni di euro di perdite. Unica soluzione la vendita dei giocatori migliori. 

Non è una novità che i conti dei più importanti club italiani siano in perpetuo squilibrio, per non dire in rosso, tanto che l'inizio di questo campionato è stato a lungo in dubbio. Ci si è visti così costretti a lanciare alle società un vero e proprio salvagente, arrivato sotto forma di decreto del governo Berlusconi. Il provvedimento, denominato "salvacalcio", ha permesso di suddividere i costi sostenuti per l'acquisto dei giocatori non per gli anni di durata del contratto di ogni singolo calciatore, ma indistintamente in dieci anni. Senza quel decreto, molti club italiani sarebbero già falliti. Ma quel decreto è stato giudicato "incompatibile" con le norme Ue in materia di aiuti di Stato, è arrivato lo stop (formale) da parte del commissario Ue per la Concorrenza, Mario Monti, che ora attende segnali dal nostro governo. 

In futuro potrebbero arrivare nuovi guai, come quando si tratterà di rinegoziare i contratti con la pay-tv, da cui dipendono il 30% dei ricavi dei club. Difficile pensare ad un rinnovo alle stesse cifre, ma molti hanno già cartolarizzato i diritti del piccolo schermo, hanno cioè ottenuto dalle banche un anticipo sui guadagni (?) futuri. Decreto salva-calcio e diritti tv: il momento della resa dei conti non è lontano.

index