Un magnifico manto erboso
Molti giovani calciatori condannati dalle federazioni sportive per aver fumato cannabis prima o dopo la partita. Il portiere tedesco Walke e quello francese Barthez, lo sciatore Rabagliati, il mediano Campolo e l'attaccante Mazzeo. Un lungo elenco che dimostra tutta l'ipocrisia dei dirigenti sportivi, ben disposti a perdonare quelli che con la scusa della passione per il cinghiale o di particolari lozioni per i capelli, usano nandrolone
Sette mesi di squalifica. Tanto è toccato ad Alexander Walke, portiere della nazionale giovanile tedesca e riserva nel Werder Brema, per essersi fatto una canna prima della partita Usa-Germania disputata durante i recenti Mondiali Under 20 negli Emirati Arabi. «Ho commesso un enorme stupidaggine», ha poi dichiarato il ventenne calciatore, che oltretutto aveva preso 3 gol in quell'occasione (e la Germania, alla fine, non ha superato nemmeno il primo turno di qualificazione). Ma il suo allenatore Uli Stielike l'ha messa su tutt'altro tono. L'ex centrocampista di Borussia e Real Madrid prima ha puntato il dito contro le cattive amicizie e la mancanza di etica sportiva del suo giocatore, poi si è chiesto che sarebbe successo se la sua squadra avesse progredito nel torneo, e infine ha tuonato: «Walke non deve mai più giocare per la Germania». Ha fatto un po' meno scalpore - ma in Rete se ne trova notizia persino sui giornali brasiliani, sotto il titolo doping - l'ultimo caso di positività alla cannabis registrato nel calcio professionistico italiano. Protagonista ancora un ventenne, l'attaccante Fabio Mazzeo della Salernitana, in forza alla Primavera e solo occasionalmente impiegato in prima squadra. Il 28 ottobre Mazzeo scende in campo per l'incontro di Coppa Italia contro la Reggina, la sua squadra perde 3-0 e (come se non bastasse) nei successivi controlli antidoping viene rilevata nelle urine del giocatore la presenza di metaboliti del thc. Sospeso dall'attività sportiva e attualmente in attesa delle decisioni della Disciplinare, rischia ora una squalifica pari perlomeno a quella di Walke ed è rimasto fin qui in silenzio. Per lui hanno parlato il suo allenatore («una stupidaggine»), e il suo medico sociale («una ragazzata»). E tanto basta.
La cannabis figura nell'elenco delle sostanze proibite dal Comitato Olimpico internazionale, cioè in poche parole è doping. Il che è palesemente una stupidaggine, anche (e soprattutto) per i medici responsabili dei laboratori autorizzati ai controlli. «La sostanza - leggiamo nel sito del laboratorio di Colonia - non ha un effetto sulla performance degli atleti; tutt'al più il suo effetto sedativo riduce la percezione del rischio e può portare a comportamenti pericolosi in gare di velocità (sci, moto ecc.)...». Neppure al Cio, d'altra parte, sfugge la natura «ricreativa» o «sociale» di una cannetta rispetto all'effetto bomba di epo, nandrolone, thg (con la g, è l'ultimo ritrovato in fatto di doping, ndr). Tuttavia i dirigenti dello sport mondiale si sono dimostrati sempre inflessibili: «I calciatori - sostenne qualche anno fa la commissione medica della Fifa - non possono sostenere che le droghe ricreative sono di un'altra categoria. Noi diciamo che sono tutte dello stesso livello, e tutte proibite».
Nel 1996 cannabis e hashish facero una sorprendente (ri-)apparizione nel mondo del calcio (e dello sport in genere), rubando la scena alla cocaina che - con la vicenda Maradona - godeva allora della massima esposizione. Fu per via di 85 sportivi francesi risultati positivi al thc in vari controlli e sbattuti in prima pagina dal quotidiano sportivo L'equipe. Tra loro figurava Fabien Barthez, all'epoca portiere del Monaco, e altri quattro calciatori di serie A. Barthez ebbe una squalifica di quattro mesi e il presidente del Comitato olimpico francese Henri Serandour fu chiamato a riferire a una commissione ministeriale: «L'uso di cannabis è un fenomeno sociale - disse - e lo sport non è fuori dalla società. Ciò non toglie che finchè sarà vietato dalle leggi, lo sport lo condannerà». L'anno successivo, fu il portiere della nazionale francese Bernard Lama ad essere squalificato per 5 mesi dopo essere stato trovato positivo al thc in occasione di un incontro amichevole con l'Olanda. A sostituirlo in porta, come si sa, venne chiamato Barthez (è una storia piena di portieri e di paradossi, questa). In Italia, invece, finì nelle maglie dei controlli il perugino Campolo (6 mesi di squalifica, poi ridotti a 2).
Nello stesso periodo un gruppo di parlamentari europei (Ripa di Meana, Cohn Bendit) presentarono una proposta di risoluzione per vietare la ricerca di thc nelle urine degli sportivi di alto livello, ma il loro fu uno dei pochissimi atti che si opponevano alla logica ottusamente proibizionista delle federazioni sportive internazionali. E non passò. Commentando negativamente la cosa, l'allora capo del Coni Pescante si appellò ai «valori educativi» dello sport e alle raccomandazioni delle Nazioni Unite. In nome della «salute degli atleti» e dopo lo scandalo francese, del resto, il Cio aveva deciso di generalizzare la ricerca dell'uso di cannabis in tutti i controlli antidoping; ma per chiudere definitivamente la porta a qualsiasi ripensamento dovette prima incappare nel «caso» Ross Rabagliati. Lo snowboarder canadese Rabagliati vinse la medaglia d'oro nello slalom gigante alle Olimpiadi invernali di Nagano (1998). Il giorno dopo fu trovato positivo alla cannabis e squalificato. Nel successivo ricorso, però, sostenne con un po' di faccia tosta di aver inalato «fumo passivo» ed ebbe buon gioco a impugnare alcuni punti ambigui del regolamento: ebbe dei guai con la polizia giapponese, poco ben disposta nei confronti delle canne fin dai tempi dei Beatles, ma potè tornare a casa riabilitato e con la sua medaglia. Il tossicologo Arnao, in quell'occasione, formulò il paradosso secondo cui se la cannabis non è doping, perché non migliora le prestazioni atletiche, non fa neppure così male come qualcuno vorrebbe far credere dal momento che fumandola si può legittimamente vincere una medaglia alle Olimpiadi.
A quel punto, per evitare l'imbarazzo di nuovi casi Rabagliati, il Cio mise definitivamente hashish e cannabis nella lista delle sostanze proibite sotto la dizione cannabinoidi, e invitò tutte le federazioni sportive internazionali a fare altrettanto. L'invito fu sostanzialmente accolto, seppure con diverse interpretazioni sul piano delle sanzioni (la federazione motociclistica, di recente, ha stabilito che la positività al thc va punita unicamente con una ammonizione, non con una squalifica). Contemporaneamente venne innalzata la soglia di principio attivo consentito fino ai 15 ng/ml, che in sostanza sarebbe il punto dove finisce il fumo passivo e comincia, diciamo così, quello attivo. In occasione delle Olimpiadi del 2000 ancora il Cio inserì ecstasy, crack e eroina nella lista delle sostanze proibite. Non se ne parlò molto, e non successe granchè. Anche perché la vicenda del doping, nel frattempo, aveva preso tutt'altra strada e ben altre dimensioni.
Un fatto è certo. Il risultato di cinque-sei anni di controlli serrati sull'uso di cannabis tra i calciatori italiani è decisamente sconfortante. Nemmeno una dozzina quelli beccati, e quasi tutti nei campionati di serie C1 e C2. Subito prima di Mazzeo era finito nella rete il portiere del Meda (C2) Radice - ancora un portiere! - dopo una partita contro il Mantova finita 1-1. Un po' di sconforto passa pure attraverso gli atti dei processi della giustizia sportiva contro i dopati da cannabis: Mattia Passarini del Sassuolo (poi passato al Chievo) è stato condannato a 8 mesi di squalifica dopo «aver ammesso di aver assunto la sostanza in buona fede fumando una sigaretta che gli era stata offerta da una ragazza conosciuta occasionalmente» (così nel resoconto di un agenzia di stampa). E comunque la partita contestata, Mestre-Sassuolo, l'aveva persa 3-1.
Più che sconfortanti, infine, le squalifiche comminate senza gran clamore ma con discreto sputtanamento per tutti gli interessati: attorno ai sei-otto mesi - la stessa pena è toccata anche a giocatori di pallavolo, baseball, basket incappati nei controlli nello stesso periodo. Decisamente scandalose se paragonate ai soli 4 mesi fatti scontare a star di prima grandezza della serie A italiana come Davids, Couto e Stam, trovati positivi al per nulla ricreativo nandrolone, qualche tempo fa.
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