"Un pozzo senza fondo"
Questa la definizione data in un'intervista dal pm di Torino Raffaele Guariniello, titolare della lunga e complicata inchiesta sul fenomeno doping nel calcio; questa è anche l'impressione di
F. Calzia e M. Castellani, autori di "Palla
avvelenata", un libro che è più che altro un documentario, un dossier frutto di ricerche accurate. Si parte dall'ormai celebre intervista a Zdenek Zeman quella de "il calcio deve uscire dalle farmacie", che suscitò reazioni e polemiche non solo tra gli addetti ai lavori e riportò all'attenzione domande tanto semplici quanto scomode: che cosa intendiamo per doping? Esiste questo doping nel calcio? Era il luglio del 1998 e dopo le dichiarazioni di Zeman il Coni avviò un'inchiesta conoscitiva, rapida e indolore, giusto un mesetto per affermare la necessità di chiarezza sull'uso di sostanze di vario tipo da parte dei calciatori, ma in sostanza negando l'esistenza del doping. Chiusa l'inchiesta del Coni si è aperta quella del pm Guariniello, una vera e propria battaglia, in cui gli inquirenti hanno dovuto superare ogni tipo di difficoltà, reticenze e ritrosie, un'omertà fatta di documentazioni sparite e roccaforti di silenzi da scardinare; una settantina le persone ascoltate tra ex calciatori, tecnici, manager, dirigenti e famigliari di vittime del calcio italiano.
L'obiettivo è fare luce sulle troppe morti misteriose avvenute tra i protagonisti del nostro pallone, ex atleti stroncati dal cosiddetto morbo di Gehrig (la terribile SLA, sclerosi laterale amiotrofica), o da una leucemia, un tumore al fegato, un infarto del miocardio. I casi sono tanti, ogni nome segnato sulle cartelle di Guariniello porta con sé una storia di calcio e dolore. Bruno Beatrice, Giuliano Taccola, Nello Saltutti, Guido Vincenzi, Ernst Ocwirk, Gianluca Signorini, Andrea Fortunato e molti altri…. Una lista tristemente lunga, fatta di campioni famosi e giocatori meno noti, carriere più o meno gloriose, in squadre ed epoche diverse, grida vendetta attraverso le voci delle vedove, dei figli, dei vecchi compagni preoccupati per le loro stesse sorti. Interviste, ricostruzioni, testimonianze, ritratti di tante vite che non ci sono più e alla base una domanda: che cosa vuol dire "morti sospette"? Provare a ricercare un collegamento tra le malattie dei giocatori e le varie sostanze da loro assunte durante l'attività agonistica non è facile; tanto per cominciare bisognerebbe conoscere che cosa è stato somministrato, con quali dosaggi e per quanto tempo. Ma spesso l'impressione è che tra i calciatori sia diffusa, più che l'omertà, l'ignoranza: "Non sapevamo cosa prendevamo", hanno detto molti; e proprio qui sta il dramma, perché sapendolo si potrebbe correre ai ripari, prevenire eventuali futuri rischi per la salute. Cosa c'era dentro le flebo, i "siringoni", i thermos che giravano negli spogliatoi di molte squadre già dagli anni '50?
Medici ed esperti del morbo di Gehrig intervistati dagli autori non fanno che confermare la straordinaria serie di "coincidenze" emerse in un paese come l'Italia, in cui sono stati registrati 150 casi di SLA in più rispetto alla media mondiale. Il prof. Benzi che da oltre 40 anni si occupa dell'universo doping rilancia inoltre l'allarme sul "cattivo uso e la somministrazione indebita di farmaci nei confronti degli sportivi in età evolutiva", quei giovani tra i 12 e i 18 anni che sono le vere vittime e i soggetti a rischio del futuro. Concetto ripreso da Eugenio Capodacqua nella sua prefazione, in cui sottolinea l'inadeguatezza di una legge che punisce l'uso esasperato ed ingiustificato di farmaci solo se volto ad alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Quindi se non sei agonista puoi "doparti" e attentare alla tua salute come ti pare, cosa che a quanto sembra fanno in molti, visto che il mercato complessivo dei farmaci con valenza dopante (sommando il legale e l'illecito) arriva a toccare i 650 milioni di euro. Intanto affidiamoci all'inchiesta di Guariniello, ripercorsa dalla chiusura del laboratorio dell'Acqua Acetosa (l'unico in Italia abilitato dal Cio) per irregolarità nelle procedure di analisi al recente processo alla Juventus (tuttora in corso) che ha visto dirigenti e giocatori bianconeri sfilare al tribunale di Torino. Comunque vada a finire, non un punto di arrivo, tengono a sottolineare Calzia e Castellani, ma un punto di partenza per approfondire un fenomeno drammatico, sempre alimentando dubbi costruttivi volti in primis a tutelare la salute.
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