La fiera del pallone gonfiato
Nei giorni scorsi la Fiera di Milano ha ospitato «Expogoal», una kermesse sul business del calcio e la spettacolarizzazione delle passioni. Obiettivo, spiegare come si fa a vincere nel disastrato mondo del football. La ricetta? Tanto marketing e un accordo con la Gea padrona di casa

Zdenek Zeman - l'allenatore boemo un po' Don Chisciotte e un po' Buster Keaton che nell'estate del 1998 lanciò l'allarme sul doping nel calcio italiano - sostiene che gli uomini necessari a una squadra per vincere lo scudetto sono solamente due: un esperto di marketing e uno scaltro farmacista. Per permettere a tutti gli addetti ai lavori di capire il significato e l'importanza della prima di queste due professioni, la fiera di Milano ha ospitato nei giorni scorsi Expogoal, una kermesse giunta alla sua seconda edizione e dedicata a tutte le realtà commerciali legate in qualche modo al calcio. A fare gli onori di casa la Gea, società esperta nel campo e organizzatrice dell'evento; invitate, le aziende a vario titolo coinvolte nel business-calcio; motto dell'evento, «la spettacolarizzazione delle passioni». Detta così, l'iniziativa potrebbe anche suonare ammirevole. Dacché esiste il commercio, le fiere hanno sempre avuto una funzione vitale per la riproduzione del capitale. In origine assolvevano la doppia funzione di mettere in contatto gli operatori di diversi ambiti dello stesso settore (produzione, distribuzione, vendita e consumo) e di equilibrare, attraverso l'incontro della domanda con l'offerta, i prezzi e quindi i profitti; oggi fungono da vetrina per gli investitori mondiali. Ma la prima fiera del calcio italiano non riesce - forse volutamente - a centrare nessuno di questi obiettivi. Non è pensata per offrire un campionario diverso di uno stesso prodotto perché i servizi in esposizione sono tanti ma tutti rappresentati da un solo offerente (a parte le pay-TV che, come si sa, sono due). E non è una fiera aperta e mirata ai mercati mondiali, dato che, a causa del provincialismo che vi si respira, pare più una sagra paesana, con le giostre, i cotillon e gli operatori col vestito bello. E con gli stand artatamente dislocati secondo il rapporto di poteri che sta dietro al calcio.

La geografia di poteri è così strutturata: appena entrati nel vasto padiglione si trovano, come fameliche predatrici, le società di calcio, le quali attendono al varco i tifosi (che qui sono irrimediabilmente trattati da clienti) e li ammaliano con la distribuzione di merchandising. E siccome il tifo (in senso calcistico) è una malattia che si contrae da piccoli, ecco che sia il Milan che l'Inter offrono ai bambini la possibilità di giocare e divertirsi come se fossero in qualunque parco-giochi. Peccato però che i fanciulli, per entrare in questi spazi, siano dovuti passare dal più serioso e meno ludico spazio di «vecchia signora» Juventus e forse si siano già innamorati dei colori bianconeri. Poco più avanti, percorrendo un'ipotetica spirale, ecco gli stand di tutte le aziende che a vario titolo si occupano di calcio. Sono circa cento e abbracciano un po' tutti i campi della produzione. Dagli sponsor (acque, yogurt, prosciutti, birre e telefoni cellulari) alle marche di articoli sportivi, dalle televisioni ai giochi elettronici, dalle banche e assicurazioni alle concessionarie pubblicitarie, dai supporti informatici per l'analisi delle statistiche calcistiche alle aziende che si vantano di trasformare in un battibaleno - e secondo gli infallibili assiomi dell'economia aziendale - le società di calcio in marchi votati al marketing (e quindi, giocoforza, al profitto).

Infine, al centro di tutto, la Gea, l'azienda dei figli eccellenti. I quali, nell'organizzazione della manifestazione, si sono assicurati di fornire agli addetti ai lavori (i veri destinatari dell'«Expo», per i quali sono state riservate due giornate sulle tre complessive della fiera) una serie di dibattiti di approfondimento. Molti riferiti allo stato comatoso del calcio italiano e dai titoli (in verità un po' da bar sport): «il perché dello stato attuale del calcio»; «il pallone è gonfiato? Il calcio è un prodotto di largo consumo. Siamo proprio sicuri?»; «Perché la Bundesliga attira maggiori sponsorizzazioni rispetto alla serie A?». Altri votati a dare una soluzione, come: «L'emozione Milan giocata fino in fondo» o «Calcio & Media» (un workshop il cui scopo è glorificare la SS Lazio, la squadra miracolata da un'abile quanto ardita operazione di maquillage contabile).

Ed è qui che si nasconde l'arcano. La soluzione del problema economico del calcio è la deduzione sottointesa da quel carnevale organizzato dalla Gea, tra luci, marchi e signorine in tailleur. Se il calcio è in crisi da qualche anno, le squadre hanno l'acqua alla gola, molti giocatori non ricevono lo stipendio da mesi e gli sponsor fuggono, perché c'è una società legata al calcio che moltiplica il fatturato, i dipendenti, i servizi e i clienti? Come fa e come si fa a diventare come lei? Ed ecco finalmente scoperta la funzione di Expogoal. Spiegarci come la Gea abbia fatto e come si debba fare per vincere nel calcio. Marketing, marketing e un bel calcio alla vecchia e patriarcale gestione societaria. Dopodiché, un accordo con la Gea, un occhio di riguardo ai media, qualche controllo incrociato su giocatori, allenatori e presidenti, e il gioco è bell'e fatto. La ricetta è semplice, no? Basta venire a Milano, incontrare gli uomini Gea all'Expogoal, farsi consigliare, e poi scegliere i servizi affiliati alla compagnia. D'altronde, chi più della Gea può annoverare nella scuderia puledri di razza come: Alessandro Moggi, presidente e figlio del grande despota del calcio nostrano (nonché occulto comproprietario della Juventus); Riccardo Talleri, vice-presidente e figlio dell'ex-presidente di Lazio e Torino; Franco Zagaglia, procuratore amico dei Moggi; Chiara Geronzi, socia Gea e figlia del presidente di Capitalia (banca che controlla Lazio, Roma, Perugia, Fiorentina e il Medio Credito Centrale, cui presidente è Luigi Carraro, figlio del presidente della Figc); Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco e ora passato alla Lazio come direttore generale; Davide Lippi, figlio dell'allenatore della Juventus, oltre a 150 tra i più affermati giocatori e allenatori di serie A?

Tra tutti gli stand a vario titolo legati al calcio ne manca però una bella fetta. Quella che si occupa di medicina sportiva. Dopotutto anche i calciatori hanno bisogno di cure ricostituenti. E a stare a quanto dicono i magistrati e la cronaca recente, anche di tante. A Milano c'era solo un piccolo stand di un'azienda di distribuzione farmaceutica che regalava cerotti. Lapsus involontario dei signori della Gea?

Spunti di riflessione

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