I goleador dell'etere nel calcio dei boss
Quelli di Sky non li considerano sassate nello stagno e neppure approcci istintuali. Le televisioni di caseggiato possono rappresentare una minaccia, specialmente per il telecalcio passato dalle vecchie piattaforme Stream e Tele+ al colosso Murdoch. La conferma è la "beffa di San Lorenzo", con il match Juventus-Roma teletrasmesso in tutta la zona. Sul canale 26 gli abitanti del popolare quartiere romano hanno potuto seguire, senza spendere un euro, tutti i novanta minuti della partita. Sembra quasi che la ripresa della violenza negli stadi confermi la necessità del telecalcio, ossia uno spettacolo sportivo senza clamori, risse, aggressioni, fantasiose coreografie dei tifosi, partecipazione degli appassionati. Uno spettacolo, insomma, da godere in poltrona dopo aver, naturalmente, versato i soldi per l'abbonamento. Così il calcio diventa un tele-sogno con intervalli pubblicitari accuratamente studiati da esperti. I tifosi non godono di alcun rispetto, vengono considerati unicamente come possibili acquirenti dei prodotti più disparati. Il calcio diventa un catalizzatore per tanti messaggi pubblicitari. La folla degli annunci sostituisce così la "folla solitaria" che negli anni passati riempiva gli stadi e le casse delle società di pallone.
Stiamo vivendo un cambiamento profondo del quale non riusciamo a cogliere tutti gli aspetti. Intanto, sono cambiati i dirigenti. Quelli che si trovano oggi ai vertici delle società di calcio ormai sono i padroni dei media e dell'editoria, gli imprenditori della distribuzione dei prodotti di consumo, i grandi appaltatori ed i costruttori. Solo Cecchi Gori non è riuscito a mantenere la presidenza della Fiorentina. Quella che governa il calcio è la "boss generation" e Silvio Berlusconi è uno degli esempi più caricaturali. Dino Zoff può spiegarlo meglio di altri.
Tutti questi dirigenti-manager sono sempre alla ricerca di visibilità, di riconoscimento personale, il loro è un continuo apparire, sorridere e giudicare. Il matrimonio del calcio con la televisione è, per loro, la naturale conclusione di un percorso pianificato. Non sappiamo, però, dove porterà questa moderna strada asfaltata di illusioni ed illuminata dalla pubblicità dei prodotti. Per ora ci sembra interessante seguire la "sfida di San Lorenzo": non si tratta di beffardi taroccatori, di teledritti che non vogliono accettare l'obbligo dell'abbonamento. C'è al fondo dell'iniziativa il rifiuto del calcio in gabbia, del calcio veicolo pubblicitario ed anche "show meritocratico" dove contano solo i vincitori. Non è l'ingenuità degli anni acerbi a legare insieme questi "pirati" che assaltano il telecalcio, ma la difesa di uno spettacolo sportivo popolare ed appassionante. Molti, però, sostengono che quello moderno non può che essere un telecalcio e non c'è più spazio per il volontariato, sostanza e pietra angolare delle associazioni che un tempo amministravano il gioco del pallone. Insomma, è finita la lunga stagione dei "ricchi scemi" che, magari con orgoglio e, forse, con gioia, partecipavano con gli appassionati alle attività del club.
Oggi la squadra e la società devono esprimere, in tutte le circostanze, lo spirito di competizione, un modo di concorrenza sempre più marcato. Non c'è dunque spazio per i sentimenti, anche quelli più semplici legati alla squadra della propria città. Servono i risultati, i profitti, l'immagine vincente sempre, dovunque e comunque. Non importa se i palloni vengono prodotti al lavoro nero dei bambini, se l'evasione fiscale diventa una regola, se le fideiussioni sono false ed i bilanci non proprio cristallini. Il doping è solo un ostacolo da aggirare. Siamo arrivati al punto che se un giocatore, com'è capitato a Chiesa, vedendo un avversario a terra manda la palla in fallo, fa notizia. Gli abitanti diventano, spesso, l'immagine fisica dell'ingiustizia, l'oggetto di logorroici processi in tv con collaudati professionisti della chiacchiera.
E' cominciata una nuova stagione. Il calcio, che per molti anni è stato il riflesso del mondo industriale (non solo Fiat) sembra ora diventato, per gli attuali dirigenti, il veicolo di un nuovo progetto sociale: il profitto globalizzato. E la televisione è il mezzo più indicato per trasmettere la necessità di un nuovo orizzonte che sogna la "boss generation".
Eppure questi giganti della comunicazione, questi archivisti del nulla sono preoccupati dei "carbonari dell'etere", delle piccole televisioni di caseggiato per una iniziativa che non è certo goliardica, ma neppure capillare o sostenuta da occulte società finanziarie. Forse temono che, prossimamente, questi "pirati" oltre al diritto all'etere rivendichino anche il diritto alla partecipazione.
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