«Questo calcio senza regole»
Intervista a Carlo Mazzone, l'allenatore più anziano e scomodo del campionato, una vita a girovagare sulle panchine di mezza Italia senza peli sulla lingua. «Il pallone non è più una cosa seria, fossi un tifoso sciopererei. Io vado avanti perché il lavoro è cercare quello che ancora non si è trovato. Sogno un gioco bello e manovrato, senza fissazioni: questo in fondo è uno sport semplice»
«Se la cocaina è la droga dei ricchi, il calcio è
l'oppio dei poveri». Testi e musica di Carlo Mazzone, uno degli
allenatori più longevi e preparati del calcio italiano, tanto che
quando quest'estate era rimasto disoccupato fece gridare allo scandalo.
Lui, con le sue parole mai banali e i suoi comportamenti sempre scomodi
(memorabile la corsa a pugno chiuso sotto la curva dei tifosi
dell'Atalanta che lo prendeva a male parole), era senza lavoro. Male,
però, ha fatto chi l'ha accreditato tra i gufi, tra coloro che son
sospesi e aspettano le magagne altrui per sistemarsi, perché una delle
qualità di Mazzone è proprio il rispetto per gli altri, allenatori in
testa. Non foss'altro per l'amore che nutre nei confronti di questa
professione. Romano di Trastevere, dov'è nato il 17 marzo 1937, Mazzone
ha giocato in serie A con giallorossi e Spal, in C con Siena e poi nove
stagioni con l'Ascoli, la squadra della sua vita. Ruolo, difensore.
L'ultimo anno da giocatore, '68-69, è anche il suo primo da allenatore,
Ascoli ovviamente. Con i marchigiani, tra C, B e A, dodici stagioni. Poi
tre alla Fiorentina, due al Catanzaro, quattro al Lecce, tre al
Cagliari, tre alla sua amatissima Roma, una al Napoli, una al Pescara,
una al Perugia e tre (le ultime, belle e gratificanti) al Brescia.
Questa è la terza volta che allena il Bologna: la prima nell'85-86, finì
sesto in serie B; la seconda nel `98-99, arrivò a una semifinale di
Coppa Uefa (dopo aver vinto l'Intertoto) e una semifinale di Coppa
Italia. Dati alla mano, la più bella stagione da quando il Bologna è
tornato nella massima serie. Né Ulivieri prima, né Guidolin poi hanno
mai saputo fare di meglio. In estate doveva andare ad Ancona, poi lì
con qualche polemica è finito il suo vice Menichini. Subito prima
dell'inizio del campionato, ha ricevuto una telefonata da Bologna dove
avevano appena silurato Guidolin: «Gli ho detto che erano pazzi, che
dovevano chiamare il 113, ma come facevo a rifiutare? Ho detto no alla
panchina dell'Ancona perché c'erano problemi ambientali. Ho fatto
passare una brutta estate a tutta la mia famiglia. Menichini? Erano
quindici anni che lavoravamo insieme...».
Bologna dunque...
Sono affezionato a questa città e alla sua gente,
che mi vuole veramente bene. Nel momento in cui ho accettato di tornare
qui e subentrare a Guidolin mi son sentito il suo secondo, avendone
ereditato rosa e preparazione tattico-atletica. Settimana dopo settimana
prenderò pieno possesso di questa panchina, allora potremo parlare del
mio Bologna.
Che tipo di squadra sta costruendo?
Non ci dormo la notte. Ho una rosa ampia e
qualunque modulo scelga scontenterò dei giocatori bravi, per intenderci
quelli che meriterebbero di giocare sempre. Se do più importanza al
fantasista e alle verticalizzazioni penalizzo le ali, se gioco sulle
fasce penalizzo il fantasista. Per adesso i ragazzi si sono dimostrati
pazienti, spero che ne abbiano ancora per un po'.
Lei sogna una squadra dai piedi buoni, simbolo di una giovinezza
interiore che sbatte un po' con gli anni di carriera e anche con quelli
anagrafici.
Per me il lavoro è cercare qualcosa che ancora
non ho trovato. Vorrei un gruppo di grande qualità al quale far giocare
un calcio manovrato e tecnicamente elevato, ma non deve diventare una
fissazione. In fondo questo è uno sport semplice.
Sognava Aldair...
Non capisco, mi aveva detto che voleva venire a
Bologna. Pazienza, io aspetto Zanchi e Gamberini. Rammarico? Un po',
Aldair ci avrebbe regalato un bagaglio d'esperienza notevole, il carisma
del giocatore che ha alle spalle una carriera eccezionale. Avrebbe
consentito ai ragazzi di crescere e maturare, ma sapremo venirne a capo
ugualmente.
Dopo un'estate da manicomio come questa, è difficile parlare ancora di
sport...
Non ci sono più regole, ci vorrebbe un
personaggio di grande spessore, un Rivera o un Facchetti, gente pulita
che rappresenti un importante punto di riferimento.
Carraro?
Non ho seguito abbastanza la vicenda per farmi un
giudizio sul personaggio.
Questa sera riparte, per davvero, anche la serie B.
Con tutto questo caos hanno penalizzato i tifosi
veri. Stavano per togliergli il gioco più bello del mondo, quello che
solo Gesù Cristo può aver inventato. Se fossi un tifoso mi
organizzerei e farei sciopero. Questo calcio non è più una cosa seria.
Prima si giocava la domenica, alle 15, ora si va in campo tutti i giorni
della settimana agli orari più disparati.
Lei è uno dei pochi allenatori che non ha mai litigato con Baggio.
Perché?
Un grande professionista, un uomo educato e
puntuale. Mi ha fatto vincere anche qualche partita, cosa potevo
chiedergli ancora? Certo, nel calcio bisogna saper cambiare rotta. A
Brescia l'ho fatto, passando da due gol subiti a partita a 16 risultati
utili consecutivi. Per farlo ho dovuto chiedere a Baggio di rientrare a
metà campo. Tutto qui.
Come Del Piero in Nazionale?
Sapersi sacrificare per la squadra è importante.
Del Piero ha dimostrato d'essere un grande giocatore.
Il suo preferito?
Totti. Penso che sia il più bravo del mondo e non
solo perché ho avuto il piacere di allenarlo. Ricordo ancora il primo
giorno che venne ad allenarsi con la prima squadra, in mezzo a Giannini
e Aldair, sembrava ci fosse sempre stato.
Lo sa che sta per raggiungere Nereo Rocco nel totale di panchine?
Mi sono sempre ispirato a lui. Anche nell'uso del
dialetto e nel fisico...
E gli allenatori di oggi?
Non c'è poi tutta questa differenza. Diciamo che
oggi sono più «terreni» (chiaro il riferimento all'era sacchiana,
n.d.r.), come Cosmi per esempio.
Lo considera il suo erede naturale?
Non saprei, ma nel modo in cui vive la partita mi
ricorda un certo Mazzone da giovane. La sua più grande qualità è
quella di far giocare bene tutti. Se ci riesce anche con una donna, come
si dice in giro adesso, dovranno dargli il «Seminatore d'Oro» per
sempre.
Come deve essere un allenatore?
Non importa che sia stato un ottimo calciatore,
sono ruoli molto diversi. Si tratta più che altro di essere un buono
psicologo.
Deve qualcosa a qualcuno?
A Costantino Rozzi, il vecchio presidente
dell'Ascoli che non c'è più. Ero tecnico delle giovanili, mi chiamò a
guidare la prima squadra, dalla C alla A. È stato lui a farmi diventare
allenatore. Ancora oggi i nostri figli si frequentano.
Sabato c'è il Milan a San Siro...
Ovviamente sono superiori a noi, ma non sempre
vince il più forte. Io e i miei ragazzi andiamo a Milano per fare una
grande prestazione. Perché io non farò mai un calcio difensivo. A
Bologna sono tornato allenatore, prima facevo il direttore tecnico, alla
Ferguson... si dice così, vero...?
Chi lo vince lo scudetto?
Oggi non c'è più spazio per un Cagliari o un
Verona, quindi una tra le solite cinque ma attenti alla Roma.
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