Calci sporchi

Dopo lo scandalo delle fidejussioni false. Scambi di giocatori per nascondere le minusvalenze. Contributi non pagati. Perdite trasformate in bonus fiscali. Come se ne esce?

Tenga presente che noi saremmo tecnicamente falliti, ma se ci date una mano... Con questo incipit, ripetuto decine di volte a giocatori e procuratori, l´amministratore delegato Angelo Baraldi ha salvato la Lazio convincendo 22 giocatori a ridursi lo stipendio e a farselo pagare a rate su più esercizi. I nuovi manager della società biancoazzurra in sei mesi hanno fatto un miracolo: hanno trovato la squadra con 103 milioni di euro di perdite e circa 120 di debiti. Ora la società di Sergio Cragnotti (o meglio, delle banche che gli hanno fatto credito, Capitalia in testa) ha dimezzato i debiti e avviato la riduzione del monte ingaggi da 90 a 35 milioni in tre anni. Un miracolo. Ma in quel condizionale ("Noi saremmo tecnicamente falliti") c´è tutta la follia patologica del calcio. 

Fuori, nel mondo normale, un´azienda è fallita o non lo è. Ma l´azienda calcio italica tanto normale non è. Quest´estate, il caos dei ricorsi giudiziari sui calendari e l´inchiesta sulle fideiussioni taroccate hanno oscurato il calciomercato. E hanno costretto milioni di appassionati a toccare con mano la cruda realtà del pallone. Che ha numeri da fallimento. L´aggregato degli ultimi bilanci di 18 società di serie A, chiusi al 30 giugno 2002, segnava un rosso complessivo di 255 milioni di euro. Certo, Lazio (meno 103 milioni) e Inter (meno 94) sono dei fuoriclasse, ma anche Milan (33), Bologna (19) e Parma (17) si sono distinte nel campionato dei conti in rosso. I dati di quest´anno non ci sono ancora, ma a giudicare dal magro andamento del calciomercato la situazione non cambierà molto. Un mese fa, ´L´espresso´ aveva fatto i conti, scoprendo che il fatturato dei primi 18 club era calato da 1,15 a 1,12 miliardi, mentre la somma delle passività a breve supera i 2,4 miliardi.

Con incassi da botteghino che coprono un terzo delle spese e contratti televisivi in ribasso, la prima follia si chiama ´monte ingaggi´: l´anno scorso è salito da 868 milioni a oltre un miliardo di euro. Significa che ogni cento euro incassati, i club ne girano almeno 90 a giocatori e procuratori. Una norma federale prevede che tra due stagioni il monte ingaggi non superi il 60 per cento del fatturato. Ma basta fare due chiacchiere con i general manager delle principali società per sentirsi dire, sotto garanzia di anonimato, che la Federazione gioco calcio troverà di certo il modo per far slittare il tetto o ´interpretarlo´.

L´altra grande follia si chiama ´metodo delle plusvalenze´. I calciatori sono asset dalla valutazione assai volatile. E i club, che hanno alimentato l´escalation dei prezzi al calciomercato, lo sanno bene. Un giocatore comprato per un miliardo di lire poteva essere venduto a 20 miliardi l´anno dopo. Ma un giovane Christian Vieri non capita tutti gli anni, mentre si sono segnate plusvalenze a bilancio per giocatori già a metà carriera e il cui valore di mercato era in calo. Così, centinaia di calciatori hanno cambiato squadra a prezzi sempre crescenti. Ora, per far tornare i conti e ridurre l´esborso di denaro vero, è nata la moda di accompagnare le cessioni a complessi meccanismi di prestiti e comproprietà. Un sistema spiegato molto bene da Vittorio Malagutti (´I conti truccati del calcio´, Carocci editore) con il caso di Matteo Brighi. Alla fine di agosto del 2002, il giovane juventino viene ceduto al Parma per 10 milioni di euro, indicando una plusvalenza di 8,8 milioni. Ma a stretto giro di posta, Juve e Parma stipulano un contratto di partecipazione sullo stesso Brighi per 5 milioni di euro, somma che finisce tra le poste dell´attivo bianconero. Il Parma ha invece scritto solo quei 5 milioni tra i propri debiti. Brighi, che ha giocato in nazionale, è famoso. Ma ci sono oscuri Carneadi che nel giro sono noti per essere ´carne da plusvalenze´. Come il terzino Stefano Lombardi, che nelle ultime quattro stagioni ha vestito sei maglie (Lazio, Napoli, Perugia, Inter, Genoa e Ancona), sempre con piccole plusvalenze.

Ora, con un mercato così poco ´liquido´, cresce il ricorso ai prestiti e agli scambi. Per citare un caso emblematico, si dice sempre che il regista Angelo Baronio (26 anni) non sia un tipo che si adatta facilmente e per questo cambia spesso casacca. Nel 1996 la Lazio lo comprò diciottenne dal Brescia per una decina di miliardi di lire e ha subito cominciato a farlo girare in prestito come una trottola (Vicenza, Fiorentina, Reggina e Perugia) per evitare di scrivere una minusvalenza di svariati miliardi. Nei giorni scorsi la Lazio l´ha prestato al Chievo e oggi lo si valuta 2 milioni di euro. Sicuri che il problema di Baronio sia il caratterino? E se sì, perché allora non lo vendono?

Anche gli scambi senza soldi nascondono spesso più ragioni di maquillage finanziario che motivi tecnici. Negli ultimi due anni Inter e Milan si sono barattate Francesco Coco, Clarence Seedorf, Dario Simic e Thomas Helveg. Con quali effetti sui bilanci, lo si scoprirà presto.

Questa ´elasticità´ dell´asset-calciatore ha raggiunto il suo apice la scorsa estate con il decreto ´salvacalcio´, o decreto Carraro (dal nome di Franco, presidente della Figc). Finita la festa, il governo ha concesso alle squadre di calcolare gli ammortamenti in modo da spalmare le minusvalenze su dieci anni. Così le perdite sui giocatori diventano una sorta di maxi-bonus fiscale. "Quel decreto legittima la falsità dei bilanci nel calcio", denuncia un fiscalista di fama come Victor Uckmar, per anni ai vertici della Covisoc, la commissione di controllo della Figc. E il commercialista Giambattista Negretti, otto anni in Covisoc, uscitone con Uckmar due anni fa, domanda polemico: "Ma cda e collegi sindacali non dovrebbero spiegarci l´effetto di questo spalmamento sul patrimonio netto, che invece rimane spesso invariato?". Ovvero, fisco a parte, ci volete dire se siamo di fronte a una svalutazione reale o no?

Eppure il campionato delle acrobazie gestionali non finisce di stupire. Così, basta chiedere che fine fanno i milioni dei contratti tv (a 3 o 5 anni) per scoprire che quasi tutti i club se li mangiano nel primo anno. Si chiama ´fattorizzazione´ dei crediti e ovviamente sono le stesse banche creditrici a procurare le società di factoring. E negli ultimi mesi s´è diffuso un nuovo vizietto: non pagare i contributi previdenziali. A dicembre, erano parecchie le società in ritardo con i versamenti Enpals. Tanto che a gennaio s´è dovuto decidere di spalmare su cinque anni il saldo degli oltre 50 milioni di buco per la metà delle squadre di serie A. Nei giorni scorsi sono state versate le prime tranche. Per le società di serie B e C sono girate anche fideiussioni che hanno insospettito i Carabinieri di Roma. E nei prossimi giorni, le inchieste potrebbero concentrarsi proprio sul fronte Enpals.

Se questa è la patologia del pallone malato, come se ne esce? Basta ridurre gli stipendi? Più si scava nei bilanci e nelle regole federali e più ci si rende conto che il problema da affrontare subito è quello dei controlli. Prima del 1997, quando le società non potevano avere fini di lucro, si doveva chiedere il permesso alla Covisoc anche per un piccolo mutuo. "Ma con l´introduzione dello scopo di lucro, i presidenti hanno cominciato a dirci: ora siamo grandi, facciamo da soli e ci basta il codice civile", racconta Negretti. Le cronache di questi mesi testimoniano che forse non basta neppure il codice penale. Anche Uckmar lamenta "la progressiva saturazione dei poteri di controllo della Covisoc, portata avanti con arroganza, furberie e conflitti d´interessi". Già perché nel calcio c´è anche questo, con il Gruppo Capitalia creditore, socio o finanziatore (diretto e indiretto) di Lazio, Roma, Parma e Perugia. Patron come Enrico Preziosi dediti ormai alla multiproprietà (è azionista di Genoa, Como e Modena) e società di procuratori (la Gea) che mettono insieme figli di presidenti e figli di banchieri del pallone, con nomi come Cragnotti, Geronzi, Tanzi e Moggi. Tutto noto da tempo, ma in fatto di conflitto d´interessi l´Italia è un paese dallo stomaco forte.

Sia Uckmar che Negretti, non a caso scaricati da Carraro e soci, dicono che basterebbe costringere i club a presentare prima dell´iscrizione anche il bilancio preventivo. E poi fare verifiche bimestrali sui flussi di cassa. Anche qui, ci si può riformare da soli, oppure aspettare una sorta di Maastricht del pallone. Ogni tanto se ne parla per gli ingaggi, ma sul piano della trasparenza di bilancio c´è già. Solo che pochi lo sanno. I nuovi regolamenti Uefa, per giugno 2004, richiederanno bilanci revisionati (oggi vale solo per chi è quotato) e nessun debito con altri tesserati o enti previdenziali. E a marzo del 2004 bisognerà presentare alla propria lega di appartenenza budget e piani di liquidità. Altrimenti niente iscrizione alle coppe europee. Visto che i controlli avverranno in primavera, significa che, a parte chi ha già un piede in serie B, i conti saranno vitali per almeno una dozzina di squadre. Chissà che lo spauracchio di non giocare la Champions League per demeriti finanziari non porti saggezza e trasparenza.

Spunti di riflessione

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