«Ci vogliono seduti davanti alla tv»
Le voci degli ultrà che hanno sfilato a Milano arrivando da tutta Italia
Sono arrivati da tutta Italia e alla fine erano 72 i gruppi ultras che domenica, a Milano, hanno aderito alla prima manifestazione unitaria per denunciare la repressione delle forze dell'ordine e per ribadire il loro no al calcio moderno. Erano in tanti e colorati. Unica regola, quella di non portare nessun simbolo politico. Per i colori della propria squadra nessuna restrizione, purché non offendessero le altre. Così i tifosi del Ravenna sfoggiavano una maglietta con uno slogan che potrebbe essere preso a testimonial della manifestazione: «Dalla B all'Eccellenza... nessuna differenza!». Quelli dell'Atalanta invece vestivano un «Ultrà nella vita, non solo nella partita». Tutti insieme cantavano «Non ne possiamo più delle divise blu... no al calcio moderno, no alla pay tv!». Tanti colori, tante voci. Per Nicola, arrivato da Bergamo, «è stato un giorno storico, perché siamo venuti qui insieme ai bresciani. Uniti per abbattere questa legge iniqua e anticostituzionale (quella sulla flagranza differita, ndr). Più di una volta, durante gli scontri con i bresciani, abbiamo raccolto qualcuno di loro ferito a terra per non farlo arrestare dalle forze dell'ordine. Non siamo violenti e combattiamo ogni forma di violenza gratuita e sleale all'interno della curva. Difendiamo i colori della nostra squadra, la nostra passione per l'Atalanta e vogliamo continuare a farlo, anche in trasferta». Secondo Ricky invece, dei Commandos Tigre del Milan «il calcio è uno sport. Non ci interessa che diventi uno spettacolo come il football americano, con stadi che sono dei salotti e non più luoghi di aggregazione sociale. Siamo contro la repressione e contro queste leggi che colpiscono senza alcun diritto i giovani ultras. Ma siamo anche contro la logica del buisness a tutti i costi, di questo calcio moderno che è sempre più in mano a speculatori finanziari e sempre meno affidato agli sportivi. Noi del Milan per assistere alla finale della Supercoppa italiana contro la Juventus, secondo la logica della Lega calcio dovremmo spendere un sacco di soldi per andare fino a New York. Così non può andare».
C'erano gli ultras dell'Inter, con molte teste rasate. Secondo Max, del Gruppo Brusco, «è un ottimo inizio: noi abbiamo partecipato anche alla manifestazione romana perché contro questa repressione pensiamo che il messaggio degli ultras debba essere unitario».
Chi si è fatto un bel viaggio sono gli ultras del Taranto (Ultrà Paz, Gruppo Zuffa e Crazy Group): «Siamo vittime del calcio moderno e delle nuove leggi votate da questo governo. A Taranto sono stati eseguiti degli arresti per fatti successi molti anni fa, senza uno straccio di prova». Da Torino sono arrivati 300 ultras del Toro, protagonisti un mese fa della giornata dell'orgoglio granata che portò in piazza 50mila persone: «Con l'andare del tempo è aumentato il livello di scontro con le forze dell'ordine. Siamo oramai alla difesa fisica ogni domenica. La realtà è che ci vogliono tutti seduti di fronte al televisore con un bell'abbonamento a Sky tv. Per loro lo stadio è una vera prova di repressione, sperimentano quello che poi ti fanno passare a Genova durante il G8. In realtà hanno paura che la politica ritorni negli stadi, sanno che molti di noi che andiamo in curva, durante la settimana difendiamo gli spazi sociali, le case e lottiamo insieme ai fratelli immigrati. A molti di noi che facciamo politica attiva a Torino hanno tentato di estendere il divieto di manifestare anche in appuntamenti politici. Per noi oggi è un giorno storico, siamo a fianco dei doriani e dei vicentini, solo l'altro ieri era impensabile».
Il calcio diverso del movimento ultras
Dopo il corteo di Milano, parla "Bocia", della curva nord dell'Atalanta
Questa volta la manifestazione è riuscita, chi non ha fatto bella figura è stata la Lega calcio, che anziché cercare il dialogo, ha chiuso i battenti e si è trincerata nella sua fortezza. Erano tanti gli ultras che domenica hanno manifestato in corteo per il centro di Milano, sfidando temperature impossibili e pregiudizi diffusi, sfidando rivalità accese sugli spalti e tentativi di provocazione da parte degli agenti, che hanno impedito ai ragazzi e alle ragazze delle gradinate di gridare pacificamente la propria protesta proprio sotto il palazzo presieduto da Adriano Galliani. «Eppure avevamo promesso che avremmo affisso solo un cartello contro il calcio moderno, niente di più, nessuna scritta in vernice, nessun danneggiamento. Ma non c'è stato nulla da fare e noi per non cadere in provocazioni abbiamo convenuto che sarebbe stato meglio non insistere e cambiare strada». Claudio, atalantino della curva nord di Bergamo, meglio conosciuto come "Bocia", a Milano domenica c'era, insieme ad oltre cinquemila persone provenienti da ogni parte d'Italia e qualcuno anche dall'estero, dalla Francia e dalla Svizzera, «una giornata - ci dice - che ha visto insieme una settantina di tifoserie che hanno dato una grande prova di maturità, sfilando in corteo senza steccati politici o divisioni di bandiera».
Siete scesi in piazza contro il calcio moderno. Che cosa significa?
Significa protestare contro le leggi speciali che individuano negli ultras la fonte di ogni violenza. Significa protestare contro la flagranza estesa alle 36 ore, contro la diffida facile, contro il giro di vite che colpisce anche i minorenni. Conosco quindicenni costretti per tre anni a presentarsi in questura e stare lontano dagli stadi soltanto perché trovati in possesso di fumogeni. Mi sembra veramente esagerato. Come vuoi che si comportino questi ragazzi quando potranno rimettere piede in gradinata? Temiamo che le leggi speciali di oggi applicate agli ultras, domani vengano applicate ad altri cittadini. Il Palazzo pensa che noi siamo il male, ma nasconde il fatto che il calcio oggi è anche doping, crack finanziari, scommesse, pay-tv, business a volontà. Noi chiediamo che si torni alle origini, al campionato giocato di domenica e alla serie B a girone unico.
Qualcuno ha voluto per forza vederci la polemica, sottolineando come a Milano fossero assenti i gruppi più politicizzati, soprattutto i romani, e dicendo che a sfilare è stata la parte "morbida" del pianeta ultras.
Chi è ultras, è ultras e basta. La politica è un'altra cosa. Chi ha voluto fare polemica ci ha visto male. E' vero che mancavano i gruppi romani, e in particolare quelli della Lazio, ma con loro è difficile il dialogo dopo quanto accaduto alla manifestazione della capitale di qualche mese fa. In quell'occasione i laziali della destra estrema vollero egemonizzare l'appuntamento, in sostanza dissero "o si fa come diciamo noi o niente". E molti gruppi ritirarono la propria adesione. Non sono queste le maniere che ci piacciono. Oggi i laziali hanno perso credibilità di fronte al movimento ultras, che invece si è presentato compatto su tematiche condivise, senza mettere di mezzo la politica. Una cosa è la manifestazione di Milano, altra è quella di Roma, che ha rappresentato poche persone. Ma non si può dire che a Milano fossero presenti i gruppi "morbidi", né che la Fossa dei Leoni non c'era perché di sinistra. A Milano destra e sinistra non c'entravano nulla, la Fossa dei Leoni era assente perché non partecipa per scelta a certe manifestazioni.
Adesso che cosa farete?
Ci muoveremo per nuove forme di protesta già con l'inizio del campionato. Vorremmo che anche altre tifoserie entrassero nel movimento ultras, a cominciare dai genoani e dai veronesi.
Contestate le leggi speciali, ma per la gente della strada restate dei violenti. Ci pensate mai?
Qui bisogna vedere che cosa si intenda per gente della strada. Chi ci descrive come violenti dovrebbe venire in mezzo a noi e conoscerci meglio. Sia chiaro, non siamo dei santi e lo sappiamo, ma rappresentiamo anche uno spaccato di questo mondo. Tra noi ci sono avvocati, mendicanti, studenti, disoccupati, operai, artisti e poveri cristi. La curva è uno dei pochi luoghi di aggregazione oggi rimasti. Sta in curva la passione autentica, risorsa di cui il calcio non può fare a meno. Basti pensare che per seguire la gara con l'AlbinoLeffe, si sono mossi oltre 10mila pisani. Quale altro evento oggi muove così tante persone?
La coscienza degli ultras, atto secondo
Domenica a Milano il popolo delle curve è tornato in piazza per protestare contro le derive pericolose del calcio moderno. Ribadendo di voler creare un movimento antagonista ma confermando tutta la propria frammentazione
A poco più di due mesi di distanza dalla manifestazione nazionale degli ultras tenuta a Roma - e alla quale il manifesto dedicò grande attenzione - il cosiddetto popolo delle curve è tornato a mobilitarsi, questa volta a Milano, contro quelle che ritiene le derive pericolose del calcio moderno: lo strapotere delle televisioni (o meglio delle pay-tv), l'eccessivo potere (ai limiti della incostituzionalità) attribuito alle forze repressive dello Stato nei confronti degli ultras, la trasformazione crescente del calcio in business quasi a farne una semplice derivazione dell'universo economico-finanziario, il senso di impunità che garantisce incapaci e intrallazzatori che governano un calcio sull'orlo della bancarotta a fronte del rigore estremo che colpisce quanti negli spalti e fuori vengono a macchiarsi di reati ben più lievi. Identiche nei contenuti, le due manifestazioni si differenziano soprattutto per le forze che le hanno promosse. A Roma l'egemonia spettò, quasi di diritto, ai due club capitolini, che riuscirono a mobilitare migliaia di persone e decine di gruppi ultras, soprattutto dell'Italia centro-meridionale. Nella manifestazione di Milano invece la prima fila spettava ad alcuni gruppi interisti e milanisti, oltre che ai bresciani e atalantini. Anche qui comunque migliaia di tifosi e più di settanta gruppi organizzati.
Inevitabile chiedersi: perché due manifestazioni separate se l'obiettivo è il medesimo? Le cronache raccontano di due cortei differenti soprattutto nel peso attribuito alla caratterizzazione politica. A Roma abbondavano saluti romani e «boia chi molla», a Milano niente di tutto questo. Anche se occorre dire che i gruppi più caratterizzati a sinistra (quelli di «resistenza ultrà», per intenderci, ma non solo loro) hanno evitato entrambi gli appuntamenti. In effetti, ripercorrendo la genesi della manifestazione romana, che era nata con l'intento di unificare nella lotta contro il «Palazzo» tutto il movimento ultras, al di là dei colori delle squadre e delle appartenenze politiche, non si può non notare che l'irrigidimento all'origine della spaccatura del movimento (episodio mai chiarito fino in fondo) coincide con la riproposizione prepotente di una identità fortemente politicizzata tra i maggiori gruppi biancocelesti e giallorossi. Sono i giorni della repressione poliziesca e dell'uscita di scena di tanti protagonisti della Curva Nord laziale tra cui alcuni di quelli che stavano portando avanti un tentativo di dialogo. Fatto sta che l'ipotesi della nascita di un movimento antagonista unitario venne bloccata sul nascere. E oggi l'indubbia dimostrazione di forza e di capacità nella mobilitazione emersa tra Roma e Milano, deve fare i conti con una frammentazione (sommariamente: i romani, «resistenza ultrà», i promotori di Milano) che rischia di minare alla base ogni ulteriore possibilità di crescita.
Il possibile sviluppo di un movimento ultras forte, unitario, capace di mobilitarsi intorno a un chiaro progetto riformista - su temi come quelli che abbiamo ricordato precedentemente, ma anche la riduzione dei prezzi, il no alla spalmatura eccessiva delle partite nel fine settimana, il ripristino dei treni speciali per le trasferte (questi e altri obiettivi sono tutti contenuti nelle piattaforme di convocazione delle manifestazioni) - resta invece uno degli elementi che più può contribuire a disinquinare quel microcosmo ad alto contenuto tossico che è diventato il campionato di calcio italiano. A condizione però che sappia liberarsi da ogni residua tentazione alla violenza, che sia capace di rafforzare il rifiuto delle spinte razziste, che riesca a negare gli spalti a tribuni e politicanti falliti in cerca di nuove legittimazioni. La riscoperta del calcio come passione, dello stadio come luogo di partecipazione e di divertimento, del tifo come ultimo momento non mercanteggiabile sono gli elementi sui quali si sta consolidando in Italia una forte coscienza del tifo ultras.
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