Moderati da stadio
Pochi mesi dopo la manifestazione di Roma, il mondo degli ultras torna in piazza a Milano per una manifestazione nazionale contro la repressione nelle curve. Questa volta però i gruppi più manifestamente politici non ci sono
Il mondo ultras ha deciso che è ora di farsi sentire e per la seconda volta nel giro di pochi mesi scende in piazza contro «la repressione indiscriminata e le leggi sempre più dure». Detta così, la manifestazione nazionale delle 50 tifoserie ultras che domenica sfilerà a Milano a partire da piazza Duca D'Aosta (ore 13) si annuncia molto politica e per certi versi anche condivisibile, se consideriamo che per il governo la detenzione di un fumogeno adesso può valere da 3 a 18 mesi di carcere. Ma quello delle curve è un mondo strano, e allora la politica, o per lo meno le sue manifestazioni più sgradevoli e muscolari, sarà del tutto assente nel corteo di domenica. Significa che rispetto alla manifestazione di Roma - «questa si inserisce nello stesso percorso ma si esprimerà in forme diverse», spiega Ivan dei Boys interisti - domenica nessuno farà il saluto fascista e molti lasceranno a casa le croci celtiche. Niente fascisti in piazza? La questione è un po' più complicata. I gruppi più manifestamente «politici» (di estrema destra e di estrema sinistra) non hanno voluto aderire al corteo. Vuol dire niente Irriducibili della Lazio, niente tifosi della Roma, zero veronesi e trevigiani, restano a casa anche gli «stalinisti» del Livorno. Ma le spaccature esistono eccome - anche se sono sempre state rimosse - persino all'interno delle curve con gli stessi colori. Perchè se è vero che ci sono i milanisti in corteo, bisognerebbe specificare che ci sono le Brigate Rossonere ma non la Fossa dei Leoni, che si è sempre distinta per un'appartenenza politica più di sinistra. Spiegandola a grandi linee, è come se questa volta si fossero messe d'accordo le curve più «moderate», una sorta di magmatico centro del mondo «ultrà» che non ha nessuna intenzione di complicarsi la vita - e il business - buttandola in politica. Nessuno si spaventi dunque se in un contesto del genere i Boys dell'Inter - «leggi speciali? io me ne frego», hanno già scritto sulla maglietta - appartengono alla categoria dei «moderati», cioè di chi sta cercando di lavorare ragionando sulle cause della stretta poliziesca che sta «rovinando il calcio». Del resto, chi a Milano conosce l'ambiente, sa che il tentativo di «tenere fuori la politica» dagli stadi serve a mantenere un equilibrio di facciata (e una certa tranquillità), ma non può mascherare che la cultura di destra è diventata egemone un po' ovunque.
Sono sinceri i ragazzi delle curve quando rivendicano più spazi di libertà e quando sostengono che la curva non è solo tifo ma è anche un contenitore sociale che andrebbe analizzato superando i soliti stereotipi. E poi non è una cosa da tutti i giorni vedere seduti allo stesso tavolo atalantini e bresciani, interisti e milanisti. Come sempre, però, non si fa cenno al fatto che il tifo organizzato vuol dire soldi, e tanti. «La curva è un business - spiega uno che al Meazza è di casa - e quindi le tifoserie che giustamente si sentono sotto pressione non hanno alcun interesse ad essere attaccate per questioni politiche». L'aspetto più spinoso riguarda la norma «al limite della costituzionalità» che regge l'impianto della quarta legge speciale in 14 anni: l'estensione della flagranza di reato a 36 ore dal fatto sulla base di filmati o fotografie. Per non parlare delle diffide, che secondo gli ultras vengono distribuite arbitrariamente e non fanno che accrescere la tensione tra ragazzi e poliziotti. Spiega Carlo Balestri di Progetto Ultrà: «Negli anni gli incidenti sono rimasti più o meno gli stessi, circa 70 ogni campionato, e queste leggi speciali hanno solo crimilizzato gli ultras contrapponendoli alle forze dell'ordine, tanto è vero che ormai gli scontri si verificano quasi sempre in assenza della tifoseria avversaria». Un avvocato (ultrà) dice che le norme contro i tifosi prima o poi potrebbero essere estese anche ad altri cittadini, «la diffida per esempio si sta già pensando di estenderla anche ai frequentatori di discoteche». L'intuizione che regge il discorso è incontestabile: gli ultras sono la migliore palestra per sperimentare senza tanti problemi la tecnica persuasiva del manganello. Gli ultras da parte loro ammettono che se c'è da menare non si tirano indietro. E allora? L'unica medicina, sulla scorta dell'esperienza inglese, è: prevenzione e non repressione. «Le rivalità esistono e sono consolidate - ammette Giancarlo delle Brigate Rossonere - e non è facile spiegare a uno di vent'anni che è più saggio confrontarsi con il dialogo. I giovani vivono in un mondo violento, bisognerebbe che da parte di tutti ci fosse la volontà di stemperare il clima». Diego, da Brescia, punta il dito contro questo calcio al servizio della tv: «Stiamo superando rivalità storiche perchè si è andati oltre il limite: si chiudono gli occhi sul crack finanziario delle società di calcio, si insabbiano i casi di doping e di passaforti falsi e noi veniamo sbattuti in prima pagina per nascondere i problemi. Non siamo solo consumatori di calcio, vogliamo il calcio la domenica e non una serie B ghettizzata in due gironi».
Non è facile avvicinarsi a un mondo dove (a 50 anni) c'è ancora chi tesse l'elogio della sana scazzottata, però non si può non convenire con Ivan quando dice che gli ultras devono avere gli stessi diritti di tutti i cittadini: «Se uno di noi sale sul treno senza biglietto, e facciamo viaggi su carri bestiame, si prende una denuncia e una diffida dal frequentare lo stadio, se capitasse a voi fareste un'esposto alla magistratura...». Come dice il presidente del Milan, la legge deve essere uguale per tutti.
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