Arrivederci ragazzi miei

Dopo undici anni passati a insegnar calcio ai ragazzini della Sanvitese, Ezio Vendrame ha deciso di dire basta. Perché oramai, anche a livello giovanile, «nessuno accetta più di perdere e tutti pensano solo al risultato»

Ezio Vendrame di Casarsa del Friuli è un delle poche teste libere e pensanti della storia del calcio italiano, uno che poteva esser tutto e che ha scelto di diventare niente. «Il mio niente però - spiega da qualche remota abitazione dell' hinterland pordenonese - è un miscuglio della malinconia suicida di Pietro Ciampi, della solitudine sensuale e anarchica di Leo Ferrè, della follia libera di Alda Merini, dello stupefacente miracolo di immergersi tra le cosce di una donna». Se mi mandi in tribuna godo, la su autobiografia per invettiva ed eros, pubblicata dall'amico editore Giovanni Santarossa (La Biblioteca dell'Immagine di Pordenone) si vende come il pane e lui attraversa l'Italia da cima a fondo chiamato da chi - tra gli oltre 20 mila acquirenti delle sue casanoviane avventure - vuole sentirlo, vederlo, per deliziarsi al suo eloquio da camallo genovese, alla sua burbanza che rasenta l'offesa, al suo glauco occhio che si illumina nel ricordare capitan Juliano del suo anno nel Napoli come la bella fanciulla che gli si concesse tra gli spalti dello stadio Bentegodi, felicemente «castigato» in tribuna dal non amato Vinicio.

Ezio non ama più il calcio, quel far rotolar con genio la palla che per lui, fin da orfano bambino era solo una piccola dolce cosa, un piacere tra i piaceri della vita, e non il fine dell' essere per apparire: vincere. Imperativo fascisticocategorico che domina l'oggi. Fino a qualche mese fa ha voluto fingere di credere, al di là di ogni ragionevole evidenza, che almeno il settore giovanile, i ragazzini che tirano calci per il piacere di farlo, potesse rimanere una sorta di isola felice nella degenerazione inarrestabile del mondo del football. Ma non era così. «Lo sapevo, l'ho sempre saputo - dice - ma ho voluto illudermi che alle società, ai dirigenti, ai genitori fregasse una mazza di questi ragazzi. Al mondo degli adulti, e non solo nel calcio, dei ragazzi non interessa nulla. Li usano solo per proiettarvi le loro frustrate aspirazioni. A loro frega solo del risultato, solo chi vince vale, già chi arriva secondo non esiste più, divorato dal fallimento».

«Non voglio generalizzare - continua - ci sono sicuramente adulti come me a cui sta a cuore il futuro di questi prepuberi quattordicenni con brufoli, il moccio al naso e la mano sempre là a solleticar la dolce vita. Ma la stragrande maggioranza se ne strafotte, ogni mamma ogni papà pensa di aver partorito il campione, gli allenatori scassano le palle con tattiche e classifiche del cazzo, i dirigenti ti perseguitano con il "fare risultato" che è come l'anticamera del "fare impresa" , "fare soldi", fare degli sfigati dico io e poi gli adulti, i grandi si lamentano e si preoccupano della violenza negli stadi. Ipocriti senza vergogna. E' una mancanza devastante di cultura che sottende il mondo del calcio, tenuto in vita con l'ossigeno perchè nessuno vuole rinunciare alla spartizione della torta. E questo accade anche all'intero mondo; se non sei in vetta sei nessuno. Perciò, la vigilia di natale, dopo 11 anni di impegno, ho lasciato i ragazzi della Sanvitese e ho appeso i coglioni al chiodo. Non ho dato spiegazioni, per correttezza me ne sono andato durante le feste perchè il campionato giovanile era sospeso. Io ho sempre fatto giocare tutti i miei ragazzi, non me ne fregava un cazzo del brocco o del campione, non mi fregava dei risultati, anche se abbiamo sempre vinto. La sconfitta non è niente, fa parte del gioco e della vita, ma oggi nessuno vuole accettarla, come se fosse la peste, l'Aids».

Ezio non ha lasciato i suoi ragazzi, sbatte anche loro nelle sue poesie, nelle canzoni che diventeranno - i Tete des Bois, che hanno «recuperato» Ferrè ne hanno musicato alcune che presenteranno in concerto - nella vagina di delizie che è per lui l'essere al mondo, anche ultimo tra gli ultimi.

Fra dieci giorni il suo editore farà uscire la sua ultima dannata fatica, un libro di vita vissuta da un altro fuoriclasse fuoriditesta come lui: Gianfranco Zigoni, classe `44, veneto di Oderzo. «A 17 anni alla Juve - racconta Vendrame - a 18 in nazionale, un attaccante con la vocazione del rifinitore, un grande avversario, un tosto di testa e di palle, un purosangue pazzo, fuori da ogni schema». Il libro si intitola Dio Zigo, pensaci tu! ed è stato partorito in alcuni incontri ad Oderzo nel gennaio scorso. «Siamo affini e diversi - spiega Vendrame - e tutti e due non facciamo un cazzo che è il più bel mestiere del mondo. Pensa, Zigo ama padre Pio, Che Guevara, allena i bambini di una squadretta di un paese vicino ad Oderzo, ha famiglia e figli e alle recenti elezioni si è presentato nelle liste del Msi. Un essere incredibile, tanto socievole quanto io sono orso». Nelle mani di Santarossa, però, c'è anche il prezioso seguito di Se mi mandi in tribuna, godo. C'è anche un titolo, Vietato alla gente perbene, che la dice lunga sulla «coesistenza pacifica» di Ezio con i normali.

Intanto il primo libro è nelle mani del regista Paolo Giacomo Marino che ne sta cavando una sceneggiatura da film. «E' incredibile - spiega - ma vuole affidare la mia parte a uno dei più tosti attori giovani del cinema italiano. Speriamo che ci siano anche delle belle fighe a interpretar le mie». Sorride come un bambino che ha rubato la marmellata, ma Ezio è così, come si diceva: prendere o lasciare. Un fiume in piena, un abisso di disperata coscienza sempre presente e che si aggrappa a tutto quello che lo può attrarre per non lasciarsi andare. «Capire stanca», sembra dire anche se non dice. «Se pacifista, pacifista sempre!», butta là prima di scomparire nell'anarchia della sua condanna a essere. 

Archivio articoli

index