"Quanti siamo quelli che siamo"
Il film degli ultrà del Bologna
Non un film sugli ultrà, ma il film degli ultrà. Quaranta minuti in cui i ragazzi della curva Andrea Costa si raccontano, interpretando se stessi, fuori e dentro lo stadio. Con onestà e anche autoironia: non tanto per dare un messaggio, ma per autorappresentarsi fuori dalle etichette più comuni. Il risultato? Quanti siamo quelli che siamo, un mediometraggio diretto da Enza Negroni, la regista bolognese di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, presentato in anteprima martedì sera alla multisala Medusa.
Il film è frutto di un laboratorio di scrittura cinematografica al quale hanno partecipato una decina di giovani supporters del Bologna: di quelli che non si perdono una partita neanche se la trasferta è in capo al mondo, figuriamoci al Dall’Ara. Oltre a recitare hanno scritto loro soggetto e sceneggiatura, col supporto di Silvia Colombini e del Progetto Ultrà dell’Uisp Emilia Romagna. Un lavoro corale per mettere insieme tante storie: l’amicizia, il senso di identità e di appartenenza al gruppo, la passione rossoblù al centro di tutto. E un messaggio comunque ne esce: noi siamo così, non solo violenti come ci rappresentano i media e la “gente comune”. Così come? “Irruenti, un po’ bruschi e talvolta esagerati”. Ma anche pronti alla festa, creativi, “geniali e soprattutto dolci dietro un’apparente maschera da duro”.
Le parole fra virgolette sono tratte da una poesia dedicata dagli ultrà del Bologna a Scheggia: uno di loro, un ragazzo morto l’anno scorso, che aveva fatto in tempo però a dare un contributo importante alla sceneggiatura. A lui è dedicato il film: a lui è andato l’applauso più grande, nella sala del Medusa gremita di tifosi della curva. Anche se c’erano Giorgio Comaschi che ha rievocato il mitico gol di testa in tuffo di Pascutti, Freak Antoni che ha presentato Fede rossoblù, canzone-inno degli Skiantos, e big del passato come Eraldo Pecci e Beppe Savoldi. E giocatori del Bologna un po’ ammaccato di oggi come Marcello Castellini.
Ma era soprattutto la serata di Scheggia e del mondo ultrà. Che per raccontarsi ha scelto di far ruotare la trama intorno a Gimbo, un tifoso diffidato dalla questura alla vigilia di un match di cartello al Dall’Ara. Lui allo stadio vuole andarci a tutti i costi, mentre gli amici del gruppo cercano di dissuaderlo perché non si metta in altri guai.
Seguendo per le vie di Bologna Gimbo e i suoi amici, la telecamera racconta riti e miti dell’universo ultrà sotto le Due Torri: il ritrovo fisso al pub di via Paradiso, la preparazione degli striscioni, le goliardate come rubare lo stendardo della sagra della patata di Tolè, le scazzottate con altre tifoserie, Giusi e Papero che conducono la trasmissione Birretta Rossasu Radio Città del Capo e mettono “on the air” Ragazzo Ultrà, il brano degli Statuto che è diventato l’inno di tante curve italiane.
La storia va avanti per rapidi flash, ritmata dalla colonna sonora di Rude e Meticcia Crew. Con spezzoni anche surreali e divertenti, come il balletto Maori improvvisato nello stadio vuoto da Feccia e un gruppetto di tifose-majorettes. Gli spalti gremiti del Dall’Ara compaiono solo negli ultimi cinque minuti del film. Il resto si svolge tutto fuori, e gli ultrà sembrano dire soprattutto ciò che non sono e ciò che non vogliono: una domenica “normale”. “Non ho più l’età per fare queste maragliate”, dice agli amici Gimbo. Ma se la polizia lo tiene fuori dallo stadio, l’alternativa per lui è da brivido: “A pranzo dai genitori della mia ragazza, ma ci pensi? Le tagliatelle della mamma, la schedina del papà, la Marini e Mughini in tv, poi una passeggiata in via Indipendenza… non esiste!”.
Gimbo, nel film, risolverà il problema a modo suo. Ma le alternative sono anche altre. Scrivere e stare sul set, per esempio, ma non solo. Questo il film non lo racconta, ma diversi ragazzi della curva Andrea Costa collaborano attivamente al Progetto Ultrà dell’Uisp, che è una cosa molto seria: un archivio di documentazione, in via Rivareno 75/3, con 15mila libri, articoli, riviste e 10mila foto sul mondo del tifo e delle culture giovanili in Italia e all’estero. Se ne servono giornalisti e studiosi (chi vuole consultarlo può telefonare allo 051 236634).
E sempre i boys del Dall’Ara partecipano all’organizzazione dei Mondiali antirazzisti, che ogni anno fanno incontrare a Montecchio le squadre delle tifoserie e quelle delle comunità di immigrati stranieri. Alcuni hanno fatto gli “ambasciatori del tifo”, durante gli Europei 2000, per mediare tra opposte gradinate e ridurre il rischio di scontri, e si preparano a rifarlo nel 2004. Con il loro film i ragazzi ultrà hanno voluto raccontare anche queste cose. Non vogliono certo l’aureola, né nascondere le responsabilità quando ci sono. Ma nemmeno passare tutti per giovani “deviati” e subire un tiro al bersaglio nel mucchio. Lo hanno detto con un film di quaranta minuti, quasi la durata del primo tempo di una partita. Ora è palla al centro: la risposta tocca al mondo fuori dallo stadio.
Amicizie, sfottò e cori sugli spalti rossoblu
Presentato «Quanti siamo Quelli che siamo», film di Enza Negri sugli ultrà bolognesi
di PIERFRANCESCO PACODA (Il
Manifesto)
Sembrano usciti dalle pagine di When Saturday Comes, la rivista britannica che racconta il calcio e i suoi rapporti con la strada, gli eroi rossoblu di Quanti Siamo Quelli che Siamo, la storia che la regista bolognese Enza Negroni ha ambientato tra curve, ultrà e petardi colorati. Un racconto in presa diretta, minuziosa descrizione di una quotidianità «ai margini», che come sempre accade per le «subculture» (pensiamo alla techno ed ai rave parties), conquista l'attenzione dei media solo per spiacevoli episodi. Al contrario, i tifosi che affollano i fotogrammi di questo prezioso mediometraggio mettono in scena una passione, un concentrato di emozioni e sentimenti che rappresenta l'essenza stessa del concetto di tribù.
Essere vivi, a Bologna come altrove (lo sottolineano spesso i protagonisti), significa soprattutto avere la forza di credere, di amare una bandiera e i suoi colori, come una fuga possibile dalla vita di ogni giorno. Così «Quando Arriva il Sabato» (nel nostro caso la domenica), l'identità del gruppo, l'orgoglio per l'appartenenza ad una microcomunità si trasferiscono sugli spalti, nei pressi dello stadio, e la sera prima nei capannoni abbandonati dove si allestiscono gli striscioni e si concepiscono le scenografie. Non c'é fanatismo nei ragazzi, tutti tifosi, nessun attore protagonista, che hanno accettato l'invito della regista per provare a descrivere uno dei tanti universi che sfiorano, lambiscono le nostre esistenze, ma che preferiamo catalogare alla voce, se tutto va bene, «folklore domenicale».
In Quanti Siamo Quelli che Siamo, al contrario, si gioca con valori importanti, dimenticati, come l'amicizia e la solidarietà. Tutto ruota intorno alla preparazione al grande evento (la partita), vissuta non soltanto (anzi molto poco), come sfida alla tifoseria avversaria, ma soprattutto come risposta al provvedimento di inibizione agli stadi che ha colpito uno dei ragazzi della curva Andrea Costa. Che vede minacciata la sua «Fedeltà alla tribù». Tra pub del centro storico, enormi boccali di birra, lunghissimi spinelli, vecchie Citroen, perfetta rappresentazione del più sotterraneo immaginario giovanile, la banda si muove in bilico tra rievocazioni nostalgiche, ricordi di partite e personaggi ormai entrati nel culto, trasferte in città lontane (in Romania... due giorni di viaggio...), senza chiedere altro che un posto sugli spalti, sotto uno striscione, senza curarsi delle botte, specie di quelle prese da forze dell'ordine e tifosi avversari.
Non traspare odio, dalle parole dei tifosi del lavoro di Enza Negroni, la rivalità viene ricondotta all'interno di una sorta di gioco di ruolo, da giocare ogni domenica pomeriggio e al quale consacrare ogni singolo momento libero della settimana.
Sentendosi, in questo, straordinariamente simili ai tanti coetanei sparsi in giro per il mondo, che vivono questo attaccamento alla squadra come l'unico, vero motivo per ostentare un orgoglio ed una appartenenza, che non é più della scuola, della parrocchia, della politica.
Il film, presentato in anteprima a Bologna, martedì 11 febbraio, in un clima torrido e allegro da stadio, é il frutto di un laboratorio di scrittura cinematografica, che Enza Negroni ha condotto insieme agli ultrà del Bologna. Che non sono solo interpreti, ma hanno anche sceneggiato la pellicola.
Il film é il secondo di una serie di tre episodi dedicati alla vita dei giovani a Bologna. Dopo il lavoro sui tifosi della Fossa dei Leoni Fortitudo Basket e Quanti siamo Quelli che Siamo, il prossimo anno i protagonisti saranno gli studenti universitari fuori sede.
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