Vendrame, un dribbling alla vita

Il poeta di Casarsa allena i ragazzini della San Vitese, scrive libri e non ha rimpianti per il mondo del pallone. Ma a 55 anni Ezio Vendrame continua a giocare, partita dopo partita

«Vinicio? Sensibilità zero. Non ho mai avuto interesse ad avere rapporti con quelli che hanno solo sembianze umane. E poi non mi ha mai guardato dritto negli occhi». E' lapidario Ezio Vendrame, classe `47, uno dei più grandi talenti naturali del nostro calcio, nato libero in quella Casarsa del Friuli che partorì Pier Paolo Pasolini e lo cacciò. Vinicio, che lo volle a tutti i costi a Napoli nel 1976, è solo un pretesto per imbrigliare per un attimo il fiume in piena dell'anima bella di Vendrame, nato artista della palla, ma così libero da non poter sopportare nemmeno la propria presenza. «Napoli? Una città meravigliosa, gente bellissima e poi mi sono scopato il meglio del meglio, questa allora come sempre una delle mie partite più sentite». Ezio, dal cellulare, manda fluidi vitali, anche se strascica le parole, sembra quasi affaticato da sopportare tutti i pesi di questo mondo beota. «Vinicio non sopportava che 20-30 mila napoletani venissero a vedermi allenare e che alla domenica 80 mila andassero in visibilio per le mie sgroppate». Con la squadra il rapporto era ottimo e nel suo ultimo libro Se mi mandi in tribuna, godo, edito dalla «sua» Bibilioteca dell' Immagine di Pordenone, Ezio dedica una splendida lettera a capitan Juliano, capitano mio capitano... L' incipit di quella che lui ritiene una semplice «marchetta» tanto per compiacere Giancarlo Santarossa, il suo editore - «scrivo per salvarmi e scrivo poesie, ma le poesie dice Giancarlo non danno pane» - è folgorante nella sua essenzialità: «Mi chiamo Ezio Vendrame. Sono nato il 21 novembre 1947, a Casarsa della Delizia, in provincia allora di Udine, oggi di Pordenone, in una casa non mia, vicino ai binari morti di una ferrovia. Ne ho passate tante e vissute di più. Ma nulla cambierei della mia vita: nemmeno l'ombra di una virgola». Siamo dalle parti dei «suoi» poeti, Majakovski innanzitutto, la Emily Dickinson, l'Alda Merini, il Dino Campana scopertro da poco, o quel Federico Tavan di Andreis, in Carnia, che lui considera il più grande italiano vivente e «che vive la poesia ogni giorno sulla sua pelle, emarginato e perdente, un ultimo che nel suo modo di vivere e di essere non può essere che poeta». Ma siamo anche dalle parti di Piero Ciampi, l'amico amaro che si distruggeva vivendo e che Ezio conobbe e amò fino all'estremo. Nel libro ricorda con gioioso rispetto il giorno che all' Appiani di Padova, si fermò durante un'azione e lasciò di corsa il campo: in tribuna aveva visto Ciampi e volle salutarlo. E la partita? «Non c'è partita che regga all'attesa di un incontro - dice Ezio - come non può reggere all'emozione di un amore o quando ero giovane virgulto di una bella, intensa scopata». Questo è Vendrame, prendere o lasciare. Andare e camminare, come cantava Ciampi. «Abito in me, al di qua del cavalcavia dei sogni...» fa una delle sue poesie di Farabutto esistere, che assieme alle Cose della vita costituisce «il centrocampo» dei versi del suo cuore.

Se Boniperti lo paragonò a Mario Kempes e si rammaricò che per il suo carattere non fosse finito in Nazionale, Vendrame risponde in questa sua ultima fatica libraria - già 8.000 copie vendute - «i deboli su questa terra non sono rappresentati. Per questo ho sempre detestato la Juventus. Allora Boniperti, oggi Bettega, l'immagine dell'arroganza truccata da perbenismo. Per me vincere era un incidente di percorso, per loro una condanna». Ezio copre di lapidi il mondo dorato del calcio, per quella sorta di inconciliabilità totale con tutto quello che non è correre dietro a un pallone solo perchè è così che avviene e che imbriglia l'emozione e la fantasia. «Una partita è una partita - spiega - ogni giorno della settimana. Perchè dovevo costringermi a giocare alla domenica, accettare gli schemi, le tattiche, i ritiri, quando il mio cazzo attaccato al cuore cercava la figa e l'amore, di un giorno o di una vita, l'unica partita eterna che potrei giocare sempre?». Figlio di separati, finì in collegi per orfani finchè... «fu calciando in alto un pallone che sentii di poter bucare il cielo, di potermi aprire un varco, una via di fuga». La scoperta di un dono e della condanna di dover fare di lui uno strumento per vivere nel vero senso della parola e non di creare. Quattro anni nell' Udinese, poi la Spal e le prime 250.000 lire. Una pacchia. Tanto che Ezio, che non ha mai avuto un cappotto caldo, con la prima paga se ne fa uno di cammello che s'appennella sul suo fisico asciutto e macho. Ma passa un bambino rom che chiede la carità e lui glielo regala. Questo è Vendrame. Prendere o lasciare.

Ezio gioca e s'innamora e più s'innamora meno gioca, perchè ama far l'amore e far l'amore lo ama. Finisce così in prestito al Torres, poi al Rovereto, mentre cresce comunque la sua fama di gran talentuoso di pari passo con la sua fame di vita, a modo suo. Arriva il Lanerossi Vicenza, la serie A e Ezio diventa un mito, anzi il must e durante una visita a un club di fan biancorossi, assieme al presidente Giussi Farina proclama il suo manifesto del vivere il gioco del calcio: «Innanzitutto vi ringrazio per tutto l'affetto che mi dimostrate, ma mi sembrate un po' fuori di testa: io so soltanto tirare calci a un pallone. Chissà quante cose voi sapete fare meglio di me. Non sono un chiururgo che salva vite umane e nemmeno un operaio che per arrivare alla fine del mese si deve fare un culo così! Io sono un fortunato ed è per questo che non vi capisco. Che cosa saranno mai queste partite di calcio! Inventatevi delle alternative domenicali. Andate a vedervi un bel film, leggetevi un libro, oppure restate a casa e fatevi una bella scopata! Cazzo!, non possiamo vivere di solo calcio!».

Che dire se contro la sua vecchia Udinese si soffiò il naso con la bandierina del corner prima di calciarlo direttamente in rete come da accordo precedente con i tifosi della curva? Che fece un tunnel a Rivera e si sentì morire per la colpa? Prendere o lasciare. Questo è Vendrame Ezio, classe di classe `47, inqualificabile uomo che scrive durante le feste natalizie per non morire, per non cedere all'ipocrita felicità che lo circonda. E' un artista della parte del torto «Ho fatto della mia vita un capolavoro e continuo a farlo perchè ho sempre fatto il cazzo che ho voluto». Come allenare da qualche anno i giovanissimi della San Vitese che giocano sempre tutti, perchè non si può lasciar fuori qualcuno quando si mette in campo il viversi e le emozioni e ai quali regala pillole di vita, in forma «di sega, se con la collaborazione di una ragazza, meglio» e li vorrebbe tutti orfani, perchè i ragazzi capiscono tutto di lui, del calcio e della vita, «ma sono gli adulti che non comprendono, a cominciare dai genitori». Prendere o lasciare.

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