Gli antispezzatino
In Germania lo chiamano «salami», da noi in maniera ancora più fantasiosa: è il calcio spalmato su giorni e orari diversi per far contente le pay-tv. Ma che fa arrabbiare i tifosi, pronti a mettere in atto un affascinante boicottaggio
In Italia è ormai, ufficialmente, calcio spezzatino: la B al sabato sera (con posticipi domenicali), la A tra il pomeriggio e la sera di sabato e domenica. In Germania, invece, si parla di calcio salami: dall'originario appuntamento alle 15.30 del sabato per Bundesliga 1 e 2, si è passati a un calendario così concepito: la serie A sabato tra le 15.30 e le 20.15; la serie B venerdì, domenica pomeriggio e lunedì sera. In Inghilterra, poi, si gioca praticamente tutti i giorni della settimana. Ma se la fine del rito mediterraneo e pallonaro della domenica, o del sabato nordeuropeo, dovrebbe essere una pacchia per gli utenti della pay-tv (tutt'al più, una vertigine...), per i tifosi che vanno allo stadio, e ancor più in trasferta, è semplicemente un incubo. La nostra B al sabato sera, d'inverno, è nebbia, gelo, impossibilità di spostarsi per chi lavora al mattino, per non parlare della qualità delle partite. Per guadagnare cosa poi? Se il legame tra calcio e pay-tv mostra le sue crepe e rischia il più rovinoso dei fallimenti, com'è successo quest'estate in tutta Europa (crisi in Italia, Germania, Inghilterra, Grecia...), allora la voce dei tifosi torna a farsi sentire con qualche ragione in più. La prima iniziativa in questo senso arriva dal Progetto Ultrà - dell'Uisp di Bologna (www.progettoultra.it) - un'organizzazione che da tempo si batte per la salvezza e il rispetto della cultura da stadio, che da una settimana sta facendo girare tra le tifoserie (a Napoli, Ancora, Venezia, Brescia, Parma...) un foglio a metà tra il volantino e la liberatoria televisiva, intitolato «Noi la faccia non la mettiamo». Vi si legge, tra l'altro: «Se il calcio di oggi è solo merce da mettere all'asta o prodotto televisivo da vendere al miglior offerente noi ultras/tifosi, che merce non siamo, non ci stiamo! (...) E' per questo che rendiamo noto alla Lega Calcio, alle Società e alle tv il nostro rifiuto di acconsentire ad ogni forma di trattamento e diffusione televisiva delle immagini che ci riguardano». E' una presa di posizione affascinante, almeno dal punto di vista simbolico. Se tu pensi che il calcio sia uno spettacolo televisivo, concepito e giocato per chi sta a casa, noi tifosi al tuo spettacolo non vogliamo partecipare. Difficile capire ancora quanto una forma di protesta del genere, possa funzionare: «Per il momento stiamo studiando la situazione e raccogliendo adesioni. La legislazione da questo punto di vista è abbastanza confusa - spiega Carlo Balestri, coordinatore dell'iniziativa - C'è il diritto di cronaca, ma c'è anche il fatto che stiamo parlando di un evento trasmesso da una tv a pagamento. Certamente, nelle prossime settimane, proveremo a dar vita a iniziative anche più visibili».
Che le telecamere delle pay-tv negli stadi e i tifosi sugli spalti si guardino in cagnesco, non è tanto strano. La pay-tv è il simbolo numero uno dell'odiato «calcio moderno», come si legge in un manifesto elaborato da ultras della Roma che gira in rete - e raccoglie adesioni - da almeno due anni (members.xoom.virgilio.it/asromaultras). Sotto una lunga citazione dello scrittore tifoso Nick Hornby vi si chiede tra l'altro la disputa delle partite allo stesso giorno e alla stessa ora, ma anche l'abbandono della quotazione in borsa per le grandi squadre, la proibizione del mercato a campionato iniziato, e persino il ritorno alla numerazione delle maglie dall'1 all'11 (e senza il nome del giocatore). Ma se la forza culturale di simili affermazioni è fuori discussione, altra è la loro efficacia. I contatti tra tifoserie e dirigenti del calcio italiano, nel tempo, si sono sempre limitati al segreto dei «si dice» e al casino delle contestazioni che - il giorno dopo, sui giornali - «col calcio non c'entrano niente».
Da questo punto di vista, l'esperienza forse più organizzata in Europa è quella dei tifosi tedeschi e si chiama «Pro 15.30» (www.pro 1530.de).
E' nata l'anno scorso per contestare il calcio «salami», e soprattutto lo spostamento per esigenze televisive degli incontri della seconda lega al venerdì e alla domenica sera («15.30» era infatti il tradizionale orario d'inizio delle partite in Germania, al sabato). Occupando lo stadio con striscioni e palloncini lanciati verso le telecamere, quelli pro15.30 hanno unito tifoserie «buone» come quelle dello Schalke 04 o del St. Pauli - antirazziste, se non tradizionalmente di sinistra - fino a organizzare una manifestazione a Berlino lo scorso maggio, con circa 3000 persone in corteo. Lungo la strada hanno incontrato altre iniziative come quella di «Niente calcio senza tifosi», che aveva già chiamato al boicottaggio dei decoder di Kirch (il magnate delle pay-tv tedesca è poi fallito per conto suo, lasciando il calcio tedesco sull'orlo del baratro). Hanno raccolto infine la solidarietà di vere e proprie bandiere del calcio tedesco, come Voller e Rumenigge. E con le partite di serie A tornate per la maggior parte alle 15.30 del sabato, hanno vinto, almeno in parte, la loro battaglia.
E' un buon esempio per tutti. Proprio in questi giorni, sfruttando la coincidenza delle imminenti elezioni tedesche, quelli di «Pro15.30» hanno chiamato i politici a discutere sui loro nuovi obbiettivi: tra questi la richiesta di biglietti a prezzo politico per i mondiali 2006, e la limitazione dell'occupazione degli spazi da parte degli sponsor allo stadio, che stanno cancellando striscioni e bandiere dei tifosi.
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