Pallone e debiti

L’azienda calcio al Sud non esiste

Ricchi scemi o yuppie del pallone strapiombati nella voragine (dei debiti) che loro stessi hanno provveduto a creare ? Si è fatta molta letteratura, soprattutto nelle ultime settimane, sui presidenti delle squadre di calcio e sui quei conti in rosso delle società che hanno indotto Galliani, presidente della Lega di A e B (ma anche vice presidente esecutivo del Milan), chiedere al capo del Governo (nonché suo datore di lavoro) lo stato di crisi. Rinviati al 14 e 15 settembre i due principali campionati, il brodo è stato allungato ieri con la decisione di far slittare di una settimana l’inizio dei tornei di C1 e C2. “ Perché – come ha spiegato Macalli – la situazione è drammatica. Qui ci sono soldi che dovevano essere garantiti e che invece aspettiamo da due anni. Ma, in particolare, ci sono scarsissime garanzie per società che rischiano davvero di scomparire e che i doveri li hanno rispettati tutti dal primo all’ultimo “. Le ragioni di Macalli e della sua accolita di presidenti risulteranno pure sacrosante, ma non sarebbe più onesto accompagnare il moto di ribellione, la denuncia finalizzata a riscuotere vecchi e nuovi contributi, con una riflessione ispirata da una sana autocritica ?

La Puglia, con le sue formazioni di serie C alle prese con varie (ed eventuali, ancora aggravabili) difficoltà di natura economica, è purtroppo l’ineffabile cartina di tornasole di un sistema calcio proteso verso l’autodistruzione, abitato da dirigenti che sono sempre meno paperoni e sempre più prestanome o tenutari di liquidità fittizia, pervaso da logiche di guadagno (spesso abbondante) per pochi intimi ed a costo di acrobazie amministrative da premio alla spericolatezza. Sicuramente è così anche da altre parti, non solamente a Taranto oppure a Foggia dove le società, pur in coda ad un campionato dagli introiti ragguardevoli (incassi, diritti televisivi, sponsor, partnership commerciali e cartellonistica), sono state costrette a decurtare gli stipendi ai calciatori per provare a ritagliarsi una sopravvivenza dignitosa, da rosso (in bilancio) relativo come canterebbe qualcuno. Precisando che l’universo di terza e quarta serie è costellato anche dalla presenza di qualche dirigente illuminato (una minoranza, tuttavia), è il calcio su larga scala che dà segni di agonia diffusa. Ma sicuro che sia solo questo il motivo per cui ben 4 dei 5 club pugliesi di C (eccezion fatta per il Martina, la rosa nel deserto), un mese fa, si sono visti respingere la prima domanda d’iscrizione ai campionati, regolarizzando la loro posizione  attraverso un successivo ricorso e con il Foggia che (ben più di Taranto, Andria e Brindisi ) ha addirittura rischiato l’osso del collo?

La verità, probabilmente, è un’altra e ad alcuni addetti ai lavori fa rabbia sentirsela spiovere sul muso : il mare delle serie minori, in special modo, è solcato da un popolo di affaristi, improvvisatori, mestieranti vanitosi, mediatori che con la gestione serie e oculata di una società hanno poco, se non nulla, a che vedere. E non basta il rinvio di una settimana dei campionati per estirpare il grande male che sta uccidendo il calcio. Soprattutto se, anziché esercitarsi in una sana e coraggiosa autocritica, lo sport preferito dei presidenti rimane bussare a denari. E il calcio – azienda, con cui molti si riempiono la bocca e del quale si parla sovente a sproposito, dov’è finito ? e, ancor di più al sud, è realmente mai esistito ? o si è fermato in quel quartiere di Verona, duemila anime e il campanile di una chiesa, chiamato Chievo?

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