L´ITALIA
VISTA ATTRAVERSO IL CALCIO. TIM PARKS HA VISSUTO PER UN CAMPIONATO CON I
TIFOSI DEL VERONA E LO RACCONTA IN UN LIBRO CHE ESCE LUNEDÌ Una
vita da "Buteo" - Niente aste, siete venuti solo a far casino. I tappi fanno male I poliziotti sono una trentina. Mi aprono la borsa. Ho una bottiglia di acqua minerale. Il poliziotto la tira fuori, svita il tappo di plastica e me la rimette in mano. - Ma come faccio senz´acqua? - Sono le dieci del mattino. Fa un caldo da morire. - La può portare aperta. Un tappo di bottiglia è una potenziale arma impropria. Spada è affranto per le sue aste di bandiera. Qualcuno attacca un inno: «Teron, teron, teron è uno solo, si chiama San Gennaro ed è un ver teron». Alcuni dei ragazzi intimano al colpevole di smetterla. Non è il momento. - Una cosa che potreste fare, - dico al poliziotto, - è portare le aste nel gippone e rendercele quando siamo già all´interno dello stadio e non possiamo fare male a nessuno. Dopo, quando andiamo via ve le rendiamo. Il poliziotto tergiversa. Spada insiste: « - Ha ragione. Che male possiamo fare, in quel modo lì? le abbiamo fabbricate apposta per far bella figura allo stadio. - D´accordo. Torniamo alla catasta nell´angolo, riprendiamo le aste e cominciamo a caricarle sui gipponi della polizia. Gli agenti che stavano perquisendo gli ultimi butei sono sconcertati da questo cambiamento del piano. Mentre saliamo sui due pullman in attesa nella sudicia piazzetta su cui si apre l´uscita secondaria della stazione, da dietro le auto in sosta appare una masnada, una trentina di ragazzi che ci tirano pietre del selciato. Due finestrini vanno in frantumi. Qualcuno nel corridoio cade a terra, colpito alle spalle. Poi lanciano quattro o cinque razzi. Sono fuochi rossi, forse di segnalazione, lanciati per entrare dai buchi nei finestrini. Sbagliano mira, volano via friggendo sopra il pullman. I butei corrono alla porta per uscire e affrontare gli aggressori. La polizia li blocca. Stanno battendo gli sfollagente contro la cabina dell´autista. - Parti! Via! - Il pullman parte allontanandosi di gran carriera dalla scena. Gli agenti non tentano nemmeno di inseguire i teppisti. Non sparano lacrimogeni. - perché? - I ragazzi sono inferociti. - Magari g´avesse el me´ tapo de plastica da lancio, - ironizza uno. - Quel sì che i le meterea in fuga. Ma c´è sempre il poliziotto cordialone. Sembra una regola delle dinamiche di gruppo. Ne ricordo uno molto ciarliero ai margini dei tafferugli a Vicenza, e uno socievole che faceva battute in metropolitana a Milano. Oggi è l´agente con il fucile lancia-lacrimogeni. Si siede di fianco al finestrino rotto con l´arma puntata sulla strada in caso di altri disordini. Ci spiega il funzionamento, dove si attacca il contenitore del gas, come si lancia. - Dài, su, spara, spara! - ridono i butei. - A quei ragazzi là. Su! - Il poliziotto ghigna e punta il fucile, ma non spara. - A Napoli ci andiamo piano con i teppisti, - spiega, alludendo all´episodio precedente, - perché abbiamo paura che siano armati. E´ a questo punto che la giornata ha cominciato a prendere una piega propriamente dantesca. Napoli non è enorme. Dalla stazione allo stadio ci saranno, a dir tanto, cinque o sei chilometri. Ma il nostro pullman riesce a impiegarci mezz´ora, uscendo lungo un tratto di autostrada. Invece della Napoli che conosco vedo un gruppo di grattacieli aziendali un tre chilometri alla nostra sinistra. Dopo venti minuti sono ancora lì, sempre a tre chilometri e a sinistra, con la differenza che adesso li vediamo dal lato opposto. Stiamo facendo un grande giro dell´oca. Ai fianchi del pullman i gipponi della polizia hanno acceso le luci rotanti. In basso rispetto alla sopraelevata si vedono gli squallidi sobborghi, le fabbriche abbandonate, i caseggiati decrepiti. In una strada piena di buche una dozzina di cani si contende la spazzatura sparsa. - Questo è il Sud, - borbotta l´uomo vicino a me. - Che schifo! - fa parte delle squisite ambiguità delle Brigate questo fatto che, pur lasciandosi ogni volta alle spalle una marea di lattine e cartacce, si mostrano sempre sensibilissime al degrado urbano. Da sospettare che a casa loro tengano un cestino dei rifiuti in ogni stanza e che, dopo essere stati al gabinetto, lo puliscano come uno specchio. ... Impiccate il manichino Veniamo scaricati davanti al San Paolo e spinti a forza attraverso il cancello fra due ali di folla ostile, mentre gli agenti strepitano e ci urtano da dietro come nel tentativo di far passare un gruppo di pedofili in mezzo a una folla radunata per linciarli. Dentro lo stadio ci hanno riservato un settore basso, ad angolo, rigorosamente isolato e limitato da reti per impedire l´entrata o l´uscita di proiettili. Il famoso San Paolo è una tinozza di cemento enorme, antiquata, grigia. Veniamo accolti da uno striscione: VERONESE MAIALE: AFTA IL TUO VERO RIVALE. C´è ancora un´ora da aspettare. Almeno il campo è in buone condizioni. Finalmente escono i giocatori. I napoletani eseguono l´impiccagione rituale di un manichino gialloblù dal parapetto della loro Curva. Le Brigate rispondono con un lento applauso ironico. La partita comincia. Oggi il Verona è in formazione tipo. Perciò niente scuse. Seric sembra rientrato definitivamente, e a dire il vero con merito. E´ ringhioso in difesa, sicuro quando avanza. C´è anche Italiano. Almeno Perotti avesse optato prima per la formazione più forte! In ogni caso, il Verona attacca. Per un po´ sembriamo più in palla del Napoli, che pasticcia e viene spesso fischiato dai propri tifosi. Bonazzoli in contropiede anticipa il loro portiere sul rimbalzo e gli fa passare il pallone sopra la testa. Finisce contro la parte superiore della traversa. Su angolo, Apolloni, smarcato, può colpire di testa. Fuori. Altro angolo e Laursen tira a rete. Ottima parata di Fontana. Al quarantaduesimo, con il suo primo tiro degno di questo nome il Napoli segna. Il Verona tenta di reagire, ma stanno perdendo la testa. La sfiga ci ha messo lo zampino troppe volte. Premono per tutto il secondo tempo, ma sempre più disordinatamente. Apolloni si ritrova per la seconda volta solo a deviare in gol di testa. Ancora fuori. Mi viene in mente il ragazzo che ha consultato i tarocchi. Hellas solo contro il fato. A otto minuti dal termine Laursen tenta un incauto retropassaggio a Ferron: il giovane attaccante Mauri s´inserisce e raddoppia. Due a zero, come vaticinato. - Mi sta crollando il mondo addosso -. Il ragazzo vicino a me comincia a imprecare ritmicamente. Si è preso la faccia tra le mani. - E adesso che finisca. Che finisca. Non voglio sentire più nessuno che parla di speranze. Non voglio sentire più nessuno che dice che non c´è ancora la certezza matematica, che crede ancora che possiamo farcela. Andiamo in serie B. E´ il nostro posto. Non tentiamo nemmeno di ritornare su. Si soffre troppo. Pastorello è una merda. I giocatori sono delle merde. Non si impegnano. L´anno prossimo non rinnovo l´abbonamento. Basta calcio. Restiamo in serie B per sempre. E´ stupido aspettarsi che il Verona giochi in serie A. Non facciamo altro che perdere partite e soffrire soffrire soffrire all´infinito. Non c´è speranza, questa è la verità. Dobbiamo abituarci al fatto che non c´è speranza. Lasciate ogni speranza, voi ch´entrate. A distinguere le anime dannate dell´Inferno da quelle penitenti del Purgatorio, spiega il commento alla mia edizione, è che la sofferenza dell´Inferno è una sofferenza disperata, che non redime, non nobilita, non ha fine. - Facciamola finita, - continua a ripetere il ragazzo, scuotendo la testa. Piange. E´ davvero affranto. - Andiamo in serie B, e stop. Un´ora dopo, mentre ci allontaniamo in fretta dallo stadio, il nostro pullman viene bersagliato da una pioggia di sassi. Nella piazza davanti alla stazione tre o quattro donne di mezza età strillano istericamente da alti ballatoi. Una di loro, con indosso una camicia da notte, si sta sporgendo pericolosamente dalla ringhiera, i lunghi capelli grigi che ricadono davanti a lei. Quando qualcuno dei ragazzi replica urlando, Forza si infuria. - Dov´è la vostra dignità? le Brigate non rispondono alle vecchie sbavanti nelle loro topaie -. Stavolta la polizia si assicura che prima di salire sul treno paghiamo il biglietto. Formano una specie di tornello con due poliziotti che tengono le estremità di uno sfollagente. Ognuno deve pagare prima che l´ostacolo improvvisato si alzi. Ci hanno messo su un normale treno notturno per Monaco di Baviera. I passeggeri già a bordo battono i pugni contro i finestrini e ci gridano insulti mentre marciamo lungo il binario cantando eroicamente Hellas la mia unica fede. Ci hanno riservato due vagoni di testa. Sotto la superflua sorveglianza degli agenti, un ambulante spinge il suo carrello sulla porta tra le carrozze per venderci coche e panini. I ragazzi hanno già ricominciato a scherzare. Domina un´ironia rassegnata. E´ serie B. - Domani, lutto al braccio, butei! - I cappellini calano sugli occhi. Si cerca di dormire. Un paio d´ore più tardi, e appena cinque minuti dopo che siamo usciti dalla stazione Termini, il treno si ferma. Si spengono le luci. Fuori c´è una borgata sordida e male illuminata, un ritaglio di neon. Quattro di noi sono sdraiati con le gambe allungate sui sedili. L´aria è viziata, la notte calda. Alla fine l´altoparlante annuncia: «Attenzione, attenzione. Il capotreno informa i passeggeri che il convoglio rimarrà fermo per un tempo indeterminato causa guasto locomotiva». Tornare a casa, questo è il bello. No! Siamo bloccati. Treni del casso! Cazzuta ineficiensa dei teroni! L'inferno. Passano i minuti. Le luci non si accendono. Oh, mi domando, dov'è Virgilio che ci conduca fuori di qui, dov'è il viandante che sull'onda delle terzine transitò agilmente da un girone all'altro, dall'uno all'altro stadio? Stefano brontola: -Dio b... ale oto g'ho da esar al laoro. Segue coro di: anch'io, anch'io. Finalmente alle cinque di mattina arriviamo a Verona. - Ciao, butei! - Ci scambiamo gli addii. Ormai il Verona è in B. Allora questa è stata l'ultima trasferta comune della stagione ad avere una giustificazione tecnica. - Ciao, butei -. poi Scopa grida: - Oh, ma la meraviglia di andare a Napoli è come si sta bene, dopo, quando torni a Verona! A casa! Che belesa... Percorrendo la circonvallazione, passo davanti alla Questura vicino al fiume. Si è già formata una lunga coda, saranno un centinaio fra neri e asiatici. Stanno iniziando una nuova giornata nella lunga notte per ottenere il permesso di soggiorno, il diritto di chiamare Verona, come fa Scopa, casa loro. Rifletto che, nella vita di un immigrato, il dramma quotidiano è così invadente da non lasciargli tempo per le catastrofi intense, ma stranamente irreali del gioco del pallone. |