Da qualche mese c'è una novità nel
mondo delle radio commerciali romane che dedicano ore e ore quotidiane al
calcio. una novità di non poco conto. Forse per la prima volta un gruppo
ultras - gli Irriducibili della Lazio - hanno una trasmissione quotidiana
(La voce della Nord, tre ore al giorno, domenica esclusa) tutta loro. Ciò
significa una rinnovata forza espansiva, un crescente appeal verso il
"popolo biancoceleste" e in particolare verso la Curva Nord (con
riconoscimenti anche da esponenti di altre tifoserie ultras). Ma anche, di
contro, la possibilità di conoscere meglio gli Irriducubili stessi, di
capirne idee, linguaggi, modi di essere.
Valori e/o emozioni?
Gli Irriducibili sono uno dei gruppi
ultras più noti, in Italia e in Europa, ripetutamente assurti agli onori
della cronaca, sia in positivo (le loro "scenografie" sono tra
le più belle mai viste) che in negativo (per le accuse di razzismo e
feeling con l'estrema destra). Sono ramificati a Roma e nel Lazio, anche
appoggiandosi a una ventina di negozi in franchising (gli Original fans),
che con il materiale della Lazio vendono anche i loro prodotti (felpe,
sciarpe, cd, ecc.). Hanno da tempo una fanzine, una sede, un direttivo,
5-7mila tesserati, alcuni ragazzi che lavorano almeno a tempo parziale per
il gruppo. Sono dunque un fenomeno strutturato, multiforme e in
evoluzione. Fanno della loro fede calcistica un punto di partenza per
proporre una visione del mondo e uno stile di vita a tutto tondo, che
tendono a investire ogni aspetto della quotidianità. A chi chiede loro se
non sia esagerato vivere una squadra come una fede o un ideale, rispondono
che "viviamo in una società senza valori, che ci lascia
profondamente insoddisfatti. Una squadra di calcio in sé non è un
valore, ma dà emozioni, passione, cementa amicizie, consente momenti di
vita in comune. Forse razionalmente non puoi spiegare tutto ciò, ma le
emozioni che così riceviamo ci fanno sentire vivi in questo mondo di
morti". La curva, il tifo, l'amicizia che si sviluppa a partire da
esso divengono così - e questo è un tratto tipico del mondo ultras - più
importanti della squadra vera e propria. L'importante è vivere insieme le
esperienze che ruotano intorno al tifo: una produzione di senso e di
identità in un mondo che sembra senza "religioni" (laiche).
La trasmissione
La "scelta" di fare radio non
è stata senza ostacoli, la convivenza con la direzione non è senza
contrasti. Il gruppo paga una cifra non piccola (undici milioni mensili)
alla emittente che "ospita" la trasmissione. Ciò vuol dire
avere la capacità di trovare sponsor in proprio: negozi di vestiario,
produttori alimentari, compagnie di taxi e pony express, birrerie e
ristoranti, che spesso praticano anche sconti ai clienti con la tessera
del gruppo. La trasmissione però ha successo, conquista fette crescenti
di ascolto. Anche perché è costruita bene, pur senza opinionisti di
grido e interviste a personaggi famosi. Alla base, le capacità notevoli
del conduttore, con un gran senso del ritmo radiofonico, una discreta
preparazione culturale, una notevole abilità dialettica, un linguaggio
che batte e ribatte su alcune parole d'ordine o idee-guida del gruppo:
"creare una mentalità", "trasgredire i rituali",
"ci vediamo sulla cima", "in alto i cuori, alè curva nord,
quella che non tradisce mai". Molta musica, che si alterna col
parlato o va in sottofondo, tutta sempre "dal vivo" (registrata
in concerto) e in genere di buon livello: U2, Vasco Rossi, Guns and Roses,
e così via.
Quali i contenuti? Pochi i discorsi "tecnici": formazione
prevista, tattica, giocatori infortunati, hanno uno spazio molto ridotto
rispetto alle trasmissioni calcistiche tipiche delle radio locali. Alla
squadra in fondo si chiede una cosa sola: non la vittoria, ma l'impegno,
l'uscire dal campo "con la maglietta bagnata". Invece dei soliti
discorsi, la ripetizione degli slogan, molte analisi dei media, molte
telefonate degli ascoltatori, e-mail lette in presa diretta, interventi
dei fondatori-leader degli Irriducibili.
I rapporti con la società e con la
squadra
Rapporti ultraconflittuali, in passato,
con la Lazio di Sergio Cragnotti. Abbiamo più volte scritto su queste
pagine in merito alle opposte visioni del calcio che separano gli ultras
dal "calcio moderno" quotato in borsa e teledipendente. L'acme
negativo è stato raggiunto la scorsa estate, con la cessione del ceko
Pavel Nedved (uno di quelli, appunto, che "non molla mai").
Negli ultimi tempi però il gruppo ha addolcito intelligentemente i toni,
non drammatizzando neanche le paventate cessioni di Crespo e Nesta in
cambio di un chiaro progetto di rilancio della squadra. La contestazione
eclatante di quest'anno (una curva svuotata a metà del primo tempo di una
partita di Coppa: prova di forza senza precedenti) è stata indirizzata
soprattutto al presunto scarso impegno dei giocatori. In realtà, il
problema è che il giocatore che piace all'ultras è solo quello che lotta
e corre, che dà l'anima, che "ha le palle", come viene ripetuto
di continuo anche dalle sempre più numerose donne-tifose. Le doti
tecniche passano in secondo piano: questi tifosi dicono di sentire come più
loro una squadra da serie B che lotta e combatte, pur perdendo, che una
che, come oggi, mediocremente veleggia a metà classifica, senza molte
prove d'orgoglio. Ma quanti sono a pensare davvero "meglio in B, ma
con dignità"? certo che fino a quando il progetto Cragnotti è
risultato vincente, i mugugni sono stati a lungo sopiti.
Ugualmente per l'allenatore: piacciono molto quelli che hanno grinta, che
urlano e si agitano. Così sono molto apprezzati anche il
"romanista" Capello, o il "comunista" Serse Cosmi.
Mentre Zaccheroni - immobile vicino alla panchina, con le mani in tasca a
seguire la partita - viene costantemente irriso (e, dopo la debacle del
derby di domenica scorsa, apertamente invitato ad andarsene). Il sogno nel
cassetto per la prossima stagione è il ritorno di Roberto Mancini, uno
capace da giocatore non solo di colpi di gran classe, ma anche di
insultare i compagni che sembravano non impegnarsi a sufficienza.
In ogni caso, decisivo per una posizione di non boicottaggio della società
è il "riconoscimento" che in qualche modo gli ultras chiedono e
che ultimamente hanno ottenuto più che in passato. anche vero che essi
sembrano aver rinunciato, al momento, a forme di "tifo" che
facevano connotare la Lazio come squadra "politically
uncorrect", mettendola in difficoltà a livello di media e non solo.
"Siamo così nel bene e nel male, e nulla ci cambia", dicono. La
realtà è che, per non danneggiare la squadra e per non fornire a stampa
e polizia "pretesti" tali da danneggiare società e tifosi,
sembra in atto una correzione di rotta da parte del gruppo dirigente degli
Irriducibili, con una conseguente, intelligente opera quotidiana di
convincimento e di "formazione dell'opinione pubblica".
I rapporti con i "tifosi"
Tutto, nella Voce della Nord, ruota
quasi esclusivamente intorno alla vita e agli "ideali" del
gruppo, e a come gli altri (società, tifosi, mass media) si rapportano ad
esso, secondo una logica amico-nemico davvero ossessiva. Da un lato, si ha
una continua esaltazione del proprio punto di vista, inteso spesso in modo
manicheo: la loro trasmissione è l'unica che "irradia la verità",
gli Irriducibili sono gli unici onesti e sinceri, il recente scudetto
della Lazio (quello del 2000) è merito della loro "ribellione"
contro l'ennesimo sopruso del Palazzo, ecc. D'altro lato, formalmente ci
si mostra rispettosi di chi vuole esprimere opinioni critiche, si invita a
telefonare chi non è d'accordo, si leggono anche e-mail di chi la pensa
diversamente. Di fatto, chi non concorda a volte viene insultato in
diretta, o viene preso in giro ripetutamente, con espressioni di crescente
disprezzo. Anche per questo, le telefonate critiche sono sempre di meno:
perché farsi irridere o zittire volgarmente quando ci sono altre
emittenti pronte a raccogliere i "lamenti"?
Lo scopo dunque non è tanto quello di espandere indefinitamente la
propria influenza, quanto quello di cementare il "noi": è
importante avere una curva compatta, dopo viene la
"comunicazione" con gli altri settori dello stadio.
Significativa a questo proposito la disputa sulla definizione di
"tifoso". Mentre si mostra comprensione per chi segue la Lazio
in modo non assiduo, ma aderisce agli "ideali" del gruppo
("ognuno fa quello che può"), verso le voci critiche si usa un
metro di misura tutto diverso e sempre più rigido, fino a definire tifosi
solo... gli ultras, cioè coloro che seguono la squadra allo stadio
sempre, in trasferta oltre che in casa, con un tifo organizzato e
costante. Va da sé che in trasferta, nonostante i continui appelli, vanno
col gruppo solo poche centinaia di tifosi, e dunque questo "zoccolo
duro" non può costituire la misura di giudizio per una passione che
investe centinaia di migliaia di persone (senza le quali nessuna società
può vivere). Si cerca invece di affermare che, in ultima analisi,
"tifosi" sono solo gli "ultras", mentre i tifosi
"normali" (non solo i teletifosi, ma anche gli abbonati agli
altri settori dello stadio, ad esempio) sono polemicamente definiti
"spettatori appassionati" e "addomesticati". Si ha così
uno spostamento semantico (l'ultras diviene il tifoso tout court) che
viene usato per delegittimare non tanto tutti coloro che ultras non sono,
quanto quelli che sono critici verso le posizioni del gruppo e non possono
vantare lo stesso attivismo e la stessa continuità di impegno. C'è anche
da dire, però, che nelle ultimissime settimane la popolarità del gruppo
è aumentata anche nei settori del tifo non ultrà, sia in relazione alle
difficoltà della squadra (in fondo, gli Irriducibili sono l'unico settore
del "mondo-Lazio" che oggi sembra funzionare), sia a un
ritrovato spirito unitario che esso ha proposto.