Gli ultrà, i nazisti e il manifesto

Non siamo impazziti, non abbiamo deciso di fiancheggiare i nazisti delle curve romane. Rassicuriamo Gianni Mura e coloro che, anche in redazione e fra i lettori, non hanno gradito la presentazione del corteo nazionale degli ultras di venerdì a Roma. Era una manifestazione senza precedenti, significativa perché offriva un primo momento di visibilità ai fermenti che agitano gli stadi di tutta Italia, ma piuttosto inquietante per la presenza dell'estrema destra, ben radicata tra gli ultrà di Lazio e Roma che erano in netta maggioranza. Mura ci ha dedicato, su Repubblica di ieri, più di metà della sua rubrica Sette giorni di cattivi pensieri - un cult per chi intende il calcio e lo sport in una certa maniera - per chiedersi «a che gioco giochi il manifesto» nel raccontare di un corteo «senza simboli politici» nel quale però hanno trovato spazio anche braccia tese, «boia chi molla» e cappellini firmati «Charlemagne» in ricordo delle SS francesi che difesero Hitler nell'assedio di Berlino: «A questo punto - ha scritto Mura - viene il sospetto che per il manifesto simbolo, o segno, politico sia solo una bandiera o uno striscione con qualche grossa svastica, oppure in memoria del gentiluomo Arkan, perché scripta manent. E verba volant, così si va a braccetto tra un cappelletto Charlemagne e un coretto di Sieg heil, ma senza simboli politici, sia chiaro. Voto al manifesto: 3». Abbiamo seguito il corteo di venerdì perché sfilavano cinquemila giovani, uno su tre giovanissimo, che sentivano di manifestare contro le forze dell'ordine e i loro presunti abusi, contro il calcio-industria dello spettacolo e la dittatura dei diritti tv. Erano in piazza perché tifosi, tifosi ultrà, e questo è un fatto rilevante sul piano politico e sociale, peraltro mai visto prima. Stanno passando leggi speciali, l'arresto differito dopo la normativa sulle diffide (atti amministrativi che incidono sulla libertà personale, come rileva anche la Corte costituzionale); si registra un uso abnorme, preoccupante della custodia cautelare in carcere come strumento di regolazione dei conflitti sociali, culturali e generazionali, ciò che del resto non riguarda solo lo stadio ma anche le manifestazioni politiche (per fare un esempio, il movimento no global protesta, e giustamente, perché a due anni dal G8 di Genova - e senza processi a breve scadenza - ci sono due attivisti in cella da mesi per i disordini e una ventina sottoposti a misure più blande, ma con i criteri in vigore per gli ultras ci sarebbero tre o quattrocento «teppisti» in galera). Dire tutto questo non significa certo chiudere gli occhi sulla violenza negli stadi, o peggio simpatizzare con i violenti, serve però a mettere in guardia dalle scorciatoie repressive. Senza contare che, al di là della protesta contro le manette, la mobilitazione degli ultras riguarda anche i guai del calcio moderno, le voragini finanziarie delle società e il business televisivo.

L'iniziativa era di fatto egemonizzata da fascisti. E capiremmo tanta preoccupazione se il manifesto l'avesse taciuto. Ma invece abbiamo perfino esagerato, scrivendo che «erano quasi tutti di destra, anzi d'estrema destra», insistendo fin da venerdì sull'assenza polemica delle curve «di sinistra» (con noi gli Irriducibili hanno protestato: «Avete parlato solo di politica...»). Se Repubblica, ieri, ha pututo infilare i cappellini «Charlemagne» nel titolo della rubrica di Mura è perché il manifesto - e salvo errori nessun altro - li ha segnalati sabato fin dal sommario. Non sono così appariscenti, bisogna avvicinarsi per vederli. E solo avvinandoci abbiamo potuto dar notizia del gruppo che li portava, Tradizione e Distinzione: forse è il più «politico» della curva romanista, tra i suoi fondatori c'è il giovane emergente della destra radicale romana, Giuliano Castellino, animatore di popolari trasmissioni sulle radio locali. C'erano i bomber e gli anfibi, Paolo Signorelli e gli skinheads padovani (Forte opposto) legati a Forza nuova. Ma la loro presenza, da sola, non ha trasformato quella manifestazione in una parata nazista, attualmente impossibile perché nessuna organizzazione di quell'area è in grado di mobilitare così tanta gente, né di presentarsi nelle curve alla luce del sole con manifesti e volantini.

Ai rapporti tra estrema destra e curve abbiamo sempre fatto attenzione, tra l'altro perché consapevoli che la penetrazione neofascista viene favorita dalla criminalizzazione/ghettizzazione degli ultras, la quale a sua volta passa per il carcere preventivo ma anche per l'indifferenza di molti giornalisti. Per questo non abbiamo fatto sconti agli Irriducibili laziali, lo scorso ottobre, quando cinque di loro, usciti dalla sede, hanno lasciato in fin di vita un ragazzo marocchino. Abbiamo sottolineato la vergognosa «copertura» garantita dai capi del gruppo, abbiamo messo in luce il probabile motivo razzista dell'agguato (il processo è in corso) riportando i risultati dell'inchiesta della Digos. Ed è scorretto attribuire ai due nostri collaboratori, studiosi attenti del mondo ultras, una frase come «una tragedia per sei» a proposito di quel pestaggio. Non l'hanno mai scritta. Hanno solo espresso «dolore» per gli aggressori oltre che per l'aggredito, perché «le vite dell'uno e degli altri hanno un valore troppo grande per vederle gettar via in maniera tanto stupida», ma nessuno ha ignorato «la differenza tra chi le mazze le impugna e chi le riceve sul cranio».

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