A braccetto contro manette e pay tv 

Per le strade di Roma ieri la manifestazione del movimento ultras che contesta la repressione negli stadi e i danni del calcio moderno. C'erano soprattutto romanisti e laziali padroni di casa, ma anche altri gruppi provenienti da tutta italia. Diverse anche le defezioni. Niente simboli politici come promesso dagli organizzatori, ma cappellini «Charlemagne» e braccia tese

Strillavano contro polizia e carabinieri, gridavano «ultras liberi» e «Digos boia», scandivano «noi odiamo le pay tv». «Siamo i schedati delle curve - cantavano (testuale) - e nessun ci fermerà/ noi saremo sempre qua con la carta d'identità/ e la è Digos nemica degli ultrà». Sventolando le carte d'identità sono arrivati allo stadio Olimpico, ieri, alla fine del corteo partito da piazzale Clodio, sede degli uffici giudiziari che, nell'ultimo mese, hanno arrestato in attesa di giudizio ben venticinque tifosi della Lazio, accusati di fatti di violenza. Laziali e romanisti padroni di casa a braccetto, e con loro interisti e juventini per lo più delle sezioni romane di Boys e Fighters. E padovani, tarantini, ascolani e tanti altri, compresi i tifosi di squadre minori da Castrovillari (Cosenza) a Frosinone. «No alla repressione, no al `vostro' calcio» hanno scritto sullo striscione d'apertura, contro le manette facili, le diffide (divieto di entrare allo stadio) le leggi speciali, ma anche contro il decreto «salva calcio» che ha erogato miliardi alle società e contro le tv a pagamento. Una donna oltre cinquanta uomini, tutti con le sciarpe e i cappellini come allo stadio. Erano tremila per la questura e seimila per gli organizzatori alla manifestazione nata per contestare il decreto legge sulla flagranza differita (arresto nelle 36 ore anche sulla base dei filmati visionati dalla polizia). Più del previsto, insomma. Ed erano quasi tutti romani, più laziali che romanisti anche perché di fatto gli Irriducibili Lazio, travolti dagli arresti, erano il cuore dell'iniziativa. Erano, infine, quasi tutti di destra, anzi d'estrema destra, per quanto gli organizzatori abbiano fatto ogni sforzo per evitare una «parata» di neonazisti delle due curve, che mai e poi mai avrebbe mobilitato tanta gente (Base autonoma a Roma ne porta massimo cinquecento, Forza nuova anche meno). Solo un «boia chi molla» è scappato a un gruppo a metà corteo, molti altri però non trattengono l'odioso «Sieg heil» alla fine dell'inno di Mameli; per non dire delle braccia tese nel saluto romano, quasi un riflesso automatico insopprimibile. Niente simboli politici, così si era detto e così è stato. Ma nessuno poteva impedire ai romanisti di Tradizione e Distinzione, che rappresentavano la curva romanista insieme a Boys e Ultras romani (assenti i Fedayn, quasi assenti gli As Roma Ultras), di andare in piazza con i soliti cappellini firmati «Charlemagne», lugubre riferimento alla brigata SS francese che difese fino all'ultimo Adolf Hitler assediato a Berlino. Con i Tradizione e distinzione, essendo tra i fondatori del gruppo, c'era anche Giuliano Castellino, giovane portavoce della rifondata Base autonoma di Maurizio Boccacci, ex leader di Movimento politico. Più defilato il professor Paolo Signorelli, un tempo ideologo di Ordine nuovo. 

Non era la manifestazione nazionale del movimento ultras. Un po' perché il movimento ultras - al singolare, almeno - non esiste, un po' perché nell'ultima settimana si è consumata una rottura: di qua i romani e i pochi arrivati ieri da fuori; di là bresciani, atalantini, milanisti, sampdoriani, torinisti, bolognesi e altri, più o meno legati all'osservatorio Progetto ultrà finanziato da Ue e Regione Emilia-Romagna. All'ultimo momento non si sono accordati sulla gestione della manifestazione, in parte per problemi politici e in parte no. Quasi tutti rimproverano agli Irriducibili di puntare a una sterile leadership, e ieri mancavano parecchie tifoserie anche tra quelle considerate di destra, da Torino a Udine e a Piacenza. Ma senz'altro non c'erano, avendo rifiutato dall'inizio ogni rapporto con la piazza romana, gli ultrà del Venezia, del Cosenza, del Perugia, della Ternana, del Livorno e di altre curve tradizionalmente di sinistra. 

In piazza c'era un pezzo di una generazione ultrà che si sente criminalizzata, vittima di abusi, agnello sacrificale di un calcio trasformato in industria dello spettacolo tv (e per di più a pagamento). In galera vorrebbero vedere i pedofili, lo gridano tutte le volte. Alla fine del corteo hanno parlato Ivan per la curva nord dell'Inter, «Spadino» degli Ultras romani per i romanisti e per ultimo Diabolik, alias Fabrizio Piscitelli, il 36enne leader degli Irriducibili che si è visto ammanettare 25 dei suoi tra cui Fabrizio Toffolo, portavoce del gruppo e socio del fiorente merchandising degli ultrà della Lazio. Diabolik, che ieri ha avuto un successo quasi insperato, voleva parlare anche a chi non c'era, «perché questa manifestazione non è un traguardo, è solo un punto di partenza, la prima manifestazione - ha detto - Noi siamo l'unico fenomeno aggegante a livello giovanile e per questo ci mettono in galera senza processo, mentre il poliziotto che ha mandato in coma un tifoso romanista a Bologna viene assolto. Ma invece siamo come i disobbedienti, le tute bianche, le tute rosse - insisteva Diabolik, che le simpatie di destra non le ha mai nascoste - e come tutti gli altri ragazzi che manifestano per altri motivi». Da Bologna Carlo Balestri di Progetto ultrà, che si è trovato a rappresentare i gruppi di varie città nella trattativa con i romani, commenta con rammarico che «è un'occasione mancata, ma in piazza c'erano solo quattro tifoserie di serie A e potevano essere diciotto. Speriamo di evitare, in futuro, questa frammentazione. Continueremo a lavorarare per una manifestazione unitaria, con quelli che erano a Roma e con quelli che non c'erano. Ma bisogna evitare certi protagonismi».

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