Il popolo della curva si mette in cammino Ultras, oggi a Roma la manifestazione contro la repressione.
Per dire no gli arresti facili, alle troppe diffide e ai danni del neocalcio, sfilano nella capitale diversi gruppi ultrà. Un corteo pacifico e privo di segni politici, ma non del tutto rappresentativo. All'orizzonte, un movimento antagonista
«Il 4 aprile, a suo modo, rappresenterà una data importante nella storia del calcio italiano. Il tifo ultras infatti vive oggi una tappa significativa nel processo di costituzione di sé come movimento antagonista. Per le strade di Roma sfileranno oggi fianco a fianco migliaia di tifosi in rappresentanza di gruppi cresciuti finora in contrapposizione tra loro»: questo l'inizio che avevamo pensato per questo articolo. Le cose però sono andate diversamente e la manifestazione sarà meno grande e rappresentativa di quanto non fosse legittimo sperare. Non è chiaro - nessuno ha voluto fare veramente chiarezza - quali siano i motivi che hanno impedito di raggiungere un livello unitario più elevato. Eppure, questi primi tentativi di passaggio, ancora tutto da realizzare, dalla «logica del beduino» (gli amici dei miei nemici sono miei nemici, ecc.) - così la sociologia definiva le relazioni tra le curve - alla nascita di un Movimento Ultras d'Italia segnano un salto di qualità di grande importanza. Quella odierna è soltanto una pausa, una parentesi, breve per di più, in un percorso ricco ancora di identità sedimentate, di connotazioni ideologiche e culturali (e spesso politiche) ben definite e spesso contrapposte. Il cammino tuttavia sembra iniziato, vedremo in futuro se si saprà far fruttare questa spinta a pensarsi come parte di un tutto, a riconoscere e a confrontarsi con gli altri. Che cosa ha spinto tanti ultras a tentare di organizzarsi in movimento nazionale? Più fattori, tutti riconducibili però a un'unica questione. I processi reali che anche in Italia stanno trasformando il calcio tradizionale in neocalcio sono visti (o meglio vissuti), non del tutto a torto, come elementi che erodono le ragioni stesse del tifo tradizionale e del tifo ultras in particolare. Una frase di Galliani che riassume con grande efficacia ciò che sta accadendo nel nostro calcio: «Le squadre sono aziende. La cosa più vicina al calcio è una major che produce film. La partita è una pellicola che dura novanta minuti. Lo stadio è la sala cinematografica. Lo sfruttamento tivù è pressoché analogo a quello di un film. Attorno al film vanno poi create attività collaterali: i miei modelli di sviluppo sono la Warner e la Walt Disney. In quel senso io sviluppo il Milan. Quando acquistammo la società nell'86, la biglietteria rappresentava il 90% del fatturato. Oggi il mix è 60% diritti tivù, 25% sponsorizzazioni e attività commerciali, 15% biglietteria. L'85% va conquistato come in una qualunque altra azienda». Ecco, nel passaggio per lo stadio dal 90% di ieri al 15% di oggi c'è esattamente la ragione della lotta degli ultras. Perché se il calcio moderno, sempre più orientato al business, sposta dagli spalti alla televisione il luogo della sua rappresentazione, lo stadio (la curva in particolare) rimane invece il momento centrale nella formazione di ogni identità ultras.
Il comunicato di convocazione della manifestazione elenca le principali problematiche intorno alle quali si è promossa la mobilitazione: la repressione, anzitutto (contro i recenti provvedimenti legislativi e l'introduzione della flagranza differita, e contro l'utilizzo delle diffide in maniera indiscriminata); l'abolizione dei treni speciali, che finisce tra l'altro per scaricare sui semplici cittadini i disagi di trasferte sempre disagevoli; il caro prezzi, che contribuisce pesantemente a svuotare gli stadi; le misure tese a rendere più difficili le trasferte, come ad esempio il divieto di vendita dei biglietti del settore ospiti nelle ore che precedono l'incontro; il calcio spezzatino, funzionale unicamente alle tv; la richiesta infine che forze dell'ordine esibiscano il numero di matricola bene in vista sulle uniformi, al pari di altri paesi europei.
Un movimento dunque con una fisionomia fortemente riformista, che si muove su rivendicazioni ragionevoli e per lo più assolutamente condivisibili. Ma che ha il suo nucleo centrale, inutile negarlo, nella lotta alla repressione. Il governo del calcio e, a suo modo, anche il governo del paese (una qualche parvenza di efficienza sul tema dell'ordine pubblico deve pur darlo), attribuiscono un ruolo significativo al processo di normalizzazione degli stadi. Il calcio è una vetrina importante del sistema Italia ed è ora, lo hanno detto chiaramente, che questa vetrina torni a luccicare. Sottrarre le curve al controllo del tifo organizzato diventa così indispensabile per sviluppare con successo questo processo. Da parte loro gli ultras non hanno nessuna intenzione, pena il rischio di un loro possibile smembramento, di cedere il territorio conquistato in anni di militanza. I fatti recenti, seguiti nient'affatto casualmente all'approvazione delle recenti misure legislative relative alla repressione, indicano chiaramente fin dove lo Stato intende portare il livello dello scontro: l'arresto di decine di tifosi della Lazio, a mesi di distanza dai fatti incriminati, fondato su prove e testimonianze di cui non è dato sapere, ma che lascia più che perplessi per la forma e i tempi in cui è stato realizzato, è un segnale forte lanciato a tutto il movimento. Colpiamo loro - perché la società è debole e impegnata in ben altre faccende, perché la loro immagine per i media e per l'opinione pubblica è carne da macello ormai da anni e nessuno avrà poi tanto da ridire se l'habeas corpus diventa carta straccia davanti ai cancelli della curva nord - ma domani può toccare ad ognuno di voi. Giù la testa dunque, la ricreazione è finita.
Due punti ancora del comunicato di preparazione della manifestazione è forse necessario sottolineare, proprio in relazione alla necessità di elaborare strategie capaci di contrastare questi processi di normalizzazione. «Riguardo alle modalità pratiche della manifestazione», così leggiamo, «si è deciso che non dovranno essere esposti simboli politici di alcun tipo, per non creare problemi e divisioni». Una manifestazione essenzialmente politica quindi priva di simboli politici; come dire, la politica ci unisce, i simboli ci dividono, possiamo stare insieme solo se c'è posto e legittimità per tutti. Più avanti, l'altro tema: «Continuiamo infine a ribadire con forza quella che è probabilmente la condizione più importante: la manifestazione è pacifica quindi non ci dovranno essere problemi ed incidenti di nessun tipo, né tra gruppi rivali, né con le forze dell'ordine». No alla violenza dunque, perché quello è il terreno che consente all'avversario di colpire meglio e con più forza.
Perché non chiedersi, allora, al di là della pur importante parentesi odierna, se il rifiuto di ogni verniciatura politica e il rifiuto della violenza non possano diventare le fondamenta della crescita di domani. Se non siano queste le colonne d'Ercole da passare per una nuova stagione degli ultras, evitando il rischio di avvitamenti suicidi su se stessi, sempre più duri, sempre più puri, sempre più soli.
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