"Io ultras", confessione in presa diretta dalla curva

di GIOVANNI ACQUARULO

La prima partita in curva nord è la prima Nazionale senza filtro, con i polmoni la nicotina arrochisce dodici anni induriti nelle rotte di una deriva familiare, romana e medio borghese, illividisce la solitudine fino a tramutarla in autonomia, in autosufficienza, nell'indipendenza del primo abbonamento. Andrea Arena, per Stampa Alternativa, ha romanzato la confessione di un ultras della Lazio, la cui verosimiglianza, un nome e una vita di fantasia (eppure concretissimi, e vividi, nella rivendicazione violenta di uno stare al mondo altrettanto violento) si impasta all'altalena dei piazzamenti di venticinque anni di Lazio: lo scudetto del '74, la clandestinità della serie B, l'aziendalismo vincente di Cragnotti. Sandro ha l'età adulta di un dodicenne, la prima volta, la militanza calcistica che si ingoia la linea d'ombra dell'adolescenza, e venticinque anni quando la Lazio gioca gli spareggi per non finire in C, la Bastogne biancoceleste vinta e superata a Napoli, col Campobasso, dopo i nove punti di penalizzazione d'avvio. In mezzo, la storia di un amore e di un abbandono. E l'amicizia: il cameratismo cementato dalle scorribande, dai chilometri, dagli ematomi.
Io, ultras è il titolo di novanta pagine, a tredicimila lire, che mettono in scena una personalissima rappresentazione del tifo calcistico, a bagno in un milieu sociale che raschia un sottoproletariato diborder people, di quarantenni fuori tempo massimo, pregiudicati, criminali d'occasione, solitari e sopravvissuti di borgata; una marginalità invisibile e seminascosta, comunque maschia e pettoruta, sfrontata, impudente. Ma non solo: assieme a questa muta di cani sciolti, pigiata settimanalmente in curva a inventarsi una fratellanza che i giorni feriali non conoscono, si mischia l'opaca maggioranza del tifo organizzato, sfarinato in capocosca e ras e capetti. Tutti ad affinare una violenza verbale e fisica esasperata dalla competitività, dal confronto. La confessione che Arena scrive per Sandro è però illuminante proprio per il fatto di essere finzione letteraria: svicola dalla rigidezza di certe letture sociologiche e si affida al parlato, all'emotività del racconto, per lasciar affiorare, così, di sbieco, un punto di vista magari meno scientifico, più sporco, più compromesso, ma altrettanto penetrante. Quella che Sandro rivela, o meglio, indossa, è una verità sottile e scoraggiante: che sotto la coreografia delle intolleranze domenicali, sotto il letamaio degli striscioni antisemiti, dei treni trasferta devastati, dei razzi, delle spranghe, si agiti un sentimento, un modo ringhioso e disinvolto di viversi, di considerarsi, di definirsi, che è come l'incubatrice dei toni alcolizzati e razzisti che rimbombano in curva.
Difendere. Proteggere. Servire. Sacrificarsi...Io credo in questi verbi, quindi cerco di onorarli...Ultimi romantici e puri in una civiltà schifosa che vorrebbe la clonazione delle persone e delle idee: c'è un punto zero della filosofia ultras che si aggrappa all'alibi più abusato, quello del nemico, al mito logoro dell'accerchiamento, dello spazio vitale. Fossero pure, i nemici, gli sbirri, la Digos, gli intrallazzatori della dirigenza, politicanti o giornalisti. L'assedio di un mondo frigido e frustato, mediocre, il mondo dei Ricchi Scemi, li apostrofa Sandro, eccola, la maggioranza degli uomini civili, si sa, un corpo invertebrato di ragionieri, burocrati, notabili. Imputati d'una vita impiegatizia, che non conosce l'odore del proprio territorio, il calore della tana, ma conosce la legge del manganello, della diffida, del carcere, pure chi non fa il poliziotto, pure lui cospira, reprime, vibra di domestico rancore. Ecco: le parti si invertono. Le mezze seghe ci spiano e ci faranno la festa. Noi gliela facciamo prima. Il nemico legittima la resistenza, e assolve.E' come se prima della politica, prima di Arkan, prima degli ululati ai calciatori di colore, ci fosse un senso di appartenenza impolitico, una cieca e strafottente voglia di infischiarsene, di menare le mani per sentirsi, nonostante tutto, nonostante le congiure, vivi, veri, e padroni di sè stessi. Di tirare diritto senza un'incrinatura, senza l'ombra di una debolezza: noi vogliamo essere liberi in un libero stato senza vincoli, senza controllo, senza fiato sul collo...A noi del risultato non ce ne frega un cazzo....
Allora ti spieghi questa strombazzata solidarietà col popolo palestinese, coi cattolici irlandesi. O gli striscioni, alla prima di campionato, in onore di Carlo Giuliani. Poi ti spieghi pure la greve pantomima degli Irriducibili durante la Shalom Cup, all'Olimpico. Il mondo è fatto di invasori e di perseguitati, di guardie marce, di chi, a sinistra e a destra ha le gonadi giuste. Ognuno spara le proprie cartucce, vince chi resta in piedi.

Archivio articoli

index