L’amaca

Ci sono gesti sbagliati per i quali è difficile non provare indulgenza. La corsa rabbiosa di Carlo Mazzone, allenatore e persona perbene, sotto la curva atalantina, non è servita a correggere neppure la millesima parte del gigantesco torto accumulato, in anni di impunità, dalle tifoserie ultras di mezza Italia. Ma era impossibile non riconoscere, nella reazione indignata di un uomo anziano davanti a una marea di giovani insultanti, la dignità (finalmente!) di non farsi più insultare.
La libertà di insulto, negli stadi, è diventata libertà di odiare, di infierire sui giocatori feriti, di maledire città ed etnie intere con ebbra idiozia tribale, di ricattare le società (e la società), e sempre al riparo dal branco. Le curve sono diventate il serbatoio infetto (Genova insegna) capace di avvelenare pensieri e comportamenti di manifestanti e poliziotti (aspetto poco indagato, questo, di quelle drammatiche giornate). Il “basta” di Mazzone, così goffo e solitario, ha espresso efficacemente la vergogna collettiva di avere sopportato tutto questo, anno dopo anno, violenza dopo violenza, morto dopo morto, con vile indifferenza.

Spunti di riflessione

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