Antirazzismo da stadio

Ultrà contro il razzismo? Dopo aver ormai preso l’abitudine a considerare gli stadi di calcio, e in particolare le curve del tifo popolare e giovanile, come una sorta di “laboratorio” degli umori peggiori che la società italiana abbia espresso negli ultimi anni, si è probabilmente al punto di doversi ricredere. Un vento nuovo sembra, infatti, soffiare sulle curve italiane e più in generale sull’intero sistema di relazioni e ricadute del fenomeno del calcio su tutta la società: si tratta di segnali ben visibili sui quali varrà però la pena soffermare con attenzione lo sguardo. Da un lato in un sistema economico di gran rilievo, quale è diventato, secondo tutti i possibili parametri di valutazione il campionato di serie A, è emerso un fenomeno nuovo: una piccola squadra di provincia, quella del Chievo, quartiere della periferia di Verona, sta riuscendo ad imporsi, alla guida del torneo, su squadre di grande prestigio, addirittura internazionale, e soprattutto dotate di immense risorse economiche. Per quello che è stato definito anche come il “campionato più ricco del mondo” che, tra stipendi dei giocatori, diritti televisivi e ogni forma di “indotto”, fino ai titoli di borsa delle maggiori società, rappresenta da solo un giro d’affari più che miliardario, con cifre che sono pari al prodotto interno lordo di un medio paese del Sud del mondo, si tratta di una sorta di rivoluzione. E questo non certo per gli esiti squisitamente “tecnici” del fenomeno Chievo, quanto per l’impatto di immagine e per il portato sociale di una simile presenza: con questa squadra minore sembra essere arrivato ai vertici del campionato maggiore un’altra idea del calcio, fatta di giocatori addirittura semi-professionisti, legati al territorio, più simili ai calciatori di più di trenta anni fa che ai moderni divi della pay-tv calcistiche. Ma l’impatto maggiore la presenza del Chievo l’ha avuta sulla fisionomia del tifo, proponendo una forma sociale, pacifica e collettiva di partecipazione all’evento sportivo. Nella stessa città che, con gli ultrà del Verona aveva raggiunto la punta estrema di politicizzazione di estrema destra, se non direttamente neonazista, delle curve, con una costante domenicale di atti di violenza e di razzismo, il Chievo ha riportato allo stadio tutti i cittadini, ha “riconquistato” lo stadio a una presenza festosa e allegra, tenendo invece fuori ogni umore xenofobo e aggressivo. Un fenomeno di tale rilievo nella città veneta, che sempre più tifosi del Verona, stanchi dell’esibizione di simboli fascisti, dei cori contro i giocatori neri, e delle aggressioni razziste, hanno scelto di seguire la domenica questa nuova squadra appena arrivata in serie A. Un clima positivo confermato anche dalle parole di Osvaldo Bagnoli che è stato l’allenatore dello scudetto conquistato in passato dal Verona: “Si riesce ad andare allo stadio a vedere il Chievo con moglie, figli e nipoti senza temere nulla. Anche per questo la tifoseria della squadra è in crescita: da poche migliaia di persone, oggi vanno a vederlo in quindicimila. E i veronesi apprezzano sempre di più questa nuova squadra”. Se la vicenda del Chievo ripropone l’immagine di una tifoseria popolare e di una relazione sociale più stretta e sana, tra il mondo del calcio e il resto della società, sono molti i segnali importanti che vengono anche da una parte sempre più larga del mondo ultrà. Incontri, appelli, tornei giocati tra tifosi che hanno come comune denominatore il tentativo di sconfiggere dall’interno stesso delle curve il razzismo e l’intolleranza: il panorama italiano sta in questo senso recuperando velocemente il ritardo accumulato in questi anni al confronto con molte realtà europee, dove da tempo si è posto il problema di legare la battaglia antirazzista con quanto avviene ogni domenica negli stadi.

DAL CUORE DELLA CURVA

Da Venezia a Perugia, da Cosenza a Parma, da Genova a Milano, da Modena a Cava dei Tirreni, da Livorno a Monza e l’elenco potrebbe continuare a lungo, gruppi di tifosi, storiche formazioni ultrà fanno sentire la loro voce per “riconquistare” lo stadio a valori di convivenza e di incontro. “E’ importante essere chiari dall’inizio: questa iniziativa nasce da dentro una curva, nasce da quei soggetti che ogni domenica tifano per i propri colori, da quelle persone che durante la settimana preparano gli striscioni e le coreografie. Riassunto in poche parole questa iniziativa nasce dagli Ultras”. Con queste parole si apriva l’”appello antirazzista” lanciato lo scorso anno da due gruppi della tifoseria del Perugia, l’Armata rossa e gli Ingrifati, per la costruzione di una prima giornata delle gradinate antirazziste. L’iniziativa, che ha avuto luogo nell’ottobre del 2000, ha messo insieme tifoserie dell’intero paese decise a contrastare la deriva razzista che attraversa molti gruppi ultrà. “Siamo orgogliosi dei nostri colori, della nostra curva, del nostro striscione, ma siamo ancora più orgogliosi di lanciare una offensiva antirazzista, combattere il pregiudizio nei territori dove si nutre”, spiegava ancora l’appello dei tifosi perugini. L’aspetto di maggior rilievo del nuovo clima che si comincia a respirare nelle curve riguarda proprio il fatto che l’impegno antirazzista non è vissuto come una sorta di imposizione dall’esterno, ad esempio come reazione alle critiche agli eccessi visti in molti stadi, quanto piuttosto come una necessità per chi vuol salvaguardare la propria identità “ultrà”, l’”orgoglio” dei propri simboli di squadra, senza finire confuso e cancellato dalla simbologia di morte del razzismo organizzato.

LO STADIO SOCIALE

Questo fenomeno attraversa oggi realtà diverse, con pratiche e storie differenti: dagli ultrà del Cosenza che sono guidati da un frate, ai perugini tradizionalmente legati ai gruppi giovanili della sinistra, da chi a Venezia, ma anche a Padova, ha scelto di portare i migranti allo stadio per combattere la presenza organizzata dell’estrema destra nelle curve locali, fino ai tifosi del Milan che devono difendere la loro presenza e le loro iniziative antirazziste dal rischio di essere schiacciati dal peso di una società calcistica che pretende di avere il monopolio anche dei gruppi ultrà. Questo vero e proprio circuito comincia ad incontrarsi e organizzarsi. Una iniziativa tra le più importanti è quella dei “Mondiali antirazzisti”, giunti alla quinta edizione, che si disputano ogni estate a Montecchio, in provincia di Reggio Emilia, e che mettono insieme per un torneo di calcio, gruppi di ultrà antirazzisti di tutta Europa e squadre di migranti. Alla base dell’organizzazione dei mondiali c’è il “Progetto Ultrà” di Bologna, una struttura della Uisp dell’Emilia Romagna che, oltre ad aver costruito un archivio sterminato sulla storia degli ultrà, lavora dal 1996 per “limitare i comportamenti intolleranti e razzisti dentro e fuori gli stadi di calcio e difendere la cultura popolare del tifo”. Gli ultrà antirazzisti, anche se sarebbe forse più opportuno definirli come i soli “veri” ultrà, a fronte della presenza invece sempre più evidente di gruppi razzisti organizzati che scelgono lo stadio solo come terreno di conquista dei più giovani, hanno poi deciso di misurarsi con l’intero fenomeno del calcio nel nostro paese. E’ degli ultimi mesi ad esempio la proposta dei tifosi perugini per una gestione “sociale” dello stadio della città umbra e la presa di posizione molto critica di queste diverse sigle locali sulle cosiddette “norme antiviolenza” assunte recentemente dal governo. Su quest’ultimo punto l’analisi degli ultrà antirazzisti è molto chiara e interessante: per ridurre la violenza e il razzismo negli stadi non si può pensare di ricorrere alla sola repressione, senza cercare invece di riconnettere il tifo al resto della società con campagne sociali e culturali che ne facciano sempre meno un “altrove” dove tutto è lecito. In questa direzione gli ultrà hanno anche avanzato proposte concrete come quella di formare degli “operatori di curva”, sul modello degli “operatori di strada”, che possano mediare tra i giovani e le istituzioni, risolvendo molti problemi, per cercare di andare verso una “riduzione del danno”, violenza e razzismo in particolare, dentro le curve. E’ perciò chiaro come dalla battaglia contro il razzismo stia ormai prendendo piede dentro gli stadi italiani una sorta di movimento per un tifo sociale, legato alla realtà del paese, e sempre più in grado di dialogare con tutti i cittadini, tifosi e non.

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