Come cambia il modo di fare tifo nelle curve italiane di Riccardo Girardi Einnegabile che tra i gruppi che più hanno segnato il movimento ultras italiano ed europeo nellultimo decennio, agli Irriducibili Lazio vada riconosciuto un ruolo di primaria importanza. Stile, prese di posizione (spesso discutibili ed estreme), politicizzazione, forte coesione interna, una bella dose di goliardia: su questi capisaldi il gruppo capitolino si è guadagnato un nome, una fama, una rispettabilità. Ovviamente, come sempre succede in questi casi, non sono mancati e non mancano nemmeno i detrattori. A tal proposito, non cè ombra di dubbio che uno dei temi su cui gli Irriducibili Lazio sono sovente attaccati è quello legato al merchandising, allaspetto per così dire imprenditoriale/finanziario che la Curva Nord avrebbe privilegiato nel corso della sua crescita. Gli Ultras della Lazio sono probabilmente solo la punta delliceberg di una fenomenologia talmente diffusa da non destare più alcuno scandalo. Certo, negli anni 70 o anche negli anni 80 neppure il più ardito appassionato di fantascienza avrebbe potuto immaginare gruppi con tanto di partita Iva, sedi, fax, e punti vendita del materiale. Oggi tutto questo è piuttosto frequente, ed il caso Irriducibili è solo uno dei tanti. Ho preso lemblematico esempio dei ragazzi romani, esempio dal quale ora mi sgancio, per fare qualche riflessione sul tema curva-marketing: è un binomio che in frequenti casi ha messo a repentaglio equilibri d'intere tifoserie. Mi viene in mente il caso di Marco Pisu, storico capopopolo dei Boys San interisti negli anni 80, malamente allontanato da una curva lungamente capeggiata per questioni di misteriosi ammanchi di cassa. Anche oggi il tema è caldo: nella Curva Sud Romanista è lampante che convivono due idee diversissime sul tema del materiale/business, con gli ASR Ultras contro e i Boys pro Di sicuro cè una cosa: sia pur a livelli diversi, la totalità dei gruppi italiani fa e ha fatto leva sulla vendita di sciarpe, t-shirt e cappellini per colorare la curva (senzaltro), ma anche per dare una bella rinsaldata ai quasi sempre sottilissimi fondicassa. Il punto è legato al livello in cui questa attività si sviluppa. Un conto, cioè, sono i tre ragazzi che girano coi sacchi per la curva a vendere le magliette del gruppo o magari langolo dello stadio dove il ragazzo sa che può trovare la sciarpina o il cappellino; ben altra cosa è quando si aprono delle partite Iva, si affittano dei negozi in centro, ci si affida al commercialista A questo punto linterrogativo che ci si pone è: si possono far coesistere lessere ultras, il rimanere aderenti ad un certo tipo di filosofia e mentalità, e queste pratiche che, in effetti, hanno più a che fare col commercio che con lincitamento alla propria squadra del cuore? Non sarò così sfuggente da porgere la domanda senza provare a dare una risposta. Io in quelle che sono le evoluzioni delle curve ma dei movimenti sociali in generale sono abbastanza evoluzionista. Cioè non me ne frega niente se venti anni fa non era così: oggi non è venti anni fa e tutte le mutazioni che hanno avuto le curve hanno comunque una loro motivazione, una loro dignità, un loro senso. In linea generale non mi scandalizza che molti gruppi si siano dati una precisa organizzazione in ordine al materiale, sia in fase produttiva che di distribuzione. In particolare non mi scandalizza che lo facciano i gruppi (come ad esempio i laziali), che sullo stile, su una veste grafica e dimmagine sfavillante, puntano forte per connotarsi allinterno della scena ultras. Proprio per questa ragione, così, a naso, non credo che mai e poi mai gli atalantini o i veneziani darebbero mai vita ad un autentico business in tema di materiale: chi conosce il movimento ultras un minimo sa che non sarebbe mai e poi mai nel dna di queste curve. E comunque, se darsi una propria precisa autonomia economica vuol dire sganciarsi dal viscido giogo delle società, ben venga lautonomia. Certo, le controindicazioni ci sono. Se la sciarpina griffata, in quanto griffata, deve costare 25.000 anziché 10.000, la cosa non è positiva, specie se pensi al ragazzino con tanto entusiasmo ma pochi soldi in tasca E poi le linee di condotta: non è che gestire un marchio che finisce per essere commerciale ti porta a prendere posizioni ben diverse da quelle che prenderesti se non avessi il business del materiale? Il tema, insomma, è apertissimo |