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Il coraggio, l'altruismo e la fantasia: Agostino Di Bartolomei 
di Giovanni Bianconi e Andrea Salerno, ed. Limina, €. 12.91


Trenta maggio 1984, allo stadio Olimpico la Roma guidata da Liedholm perde la finale di Coppa dei Campioni, sconfitta ai calci di rigore dal Liverpool, per quella che ancora oggi resta la più cocente delusione della storia giallorossa. Trenta maggio 1994, il capitano di quella grande Roma, Agostino Di Bartolomei, si uccide con un colpo di pistola al cuore nella sua villa a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno. "L'ultima partita", libro scritto a quattro mani da Giovanni Bianconi e Andrea Salerno - Limina 2000, euro 12,50 - racconta questi due tristi eventi, così diversi tra loro e così intimamente legati; per certi versi infatti è stata quella l'ultima vera partita di Agostino, costretto poi a lasciare Roma e la Roma, a terminare altrove la sua carriera (Milan, Cesena, Salernitana). Chissà che il ricordo di quella sconfitta arrivata nell'occasione più importante, sia riaffiorato nella mente di "Ago" quella mattina di primavera di quasi dieci anni fa, quando uno sparo, quasi fosse il triplice fischio di un arbitro, ha messo fine alla sua partita con la vita. 
Una morte che ha colto tutti di sorpresa, lasciato tutti nello sgomento, mostrato la fragilità del campione davanti al "buco nero" che spesso si apre una volta appesi gli scarpini. Una scuola calcio fondata nel paesino di San Marco, con qualche problema economico, ma con la passione di lavorare con i giovani, nel cuore però sempre vivo il desiderio di tornare nel calcio che conta, come allenatore o dirigente, magari nella "sua" Roma; tanti contatti, progetti, promesse non mantenute, nessuno disposto ad offrirgli nulla, a lui così timido per chiedere qualcosa in modo diretto. Il giorno dei funerali la moglie Marisa si sfoga contro il mondo del calcio che ha chiuso la porta in faccia ad Agostino, dimenticandosi di quanto lui avesse fatto in campo da protagonista, «un mondo a cui lui ha dato tutto, che l'ha vigliaccamente tradito». Da quel giorno tutti quelli che lo conoscevano si sono interrogati almeno una volta sul loro rapporto con Agostino, hanno rivissuto mentalmente l'ultimo incontro o l'ultima conversazione telefonica, hanno provato invano a cercare un perché ad una tragedia che ha segnato la coscienza di molti. Le riflessioni e le testimonianze raccolte nel libro tracciano l'inedito ritratto di un uomo apparentemente schivo e certo poco avvezzo ai riflettori, ma legato in maniera indissolubile ai colori giallorossi. 

E' la storia di "un campione troppo solo" (così titolava il commosso pezzo di Giorgio Tosatti sul "Corriere della Sera" all'indomani della morte), ma troppo orgoglioso per mostrarsi debole. E' la storia di un campione e della sua città, dai campetti dell'oratorio a Tormarancia al provino per entrare nelle giovanili della Roma sotto gli occhi del "mago" Herrera, dall'esordio in prima squadra all'incontro con il suo "maestro" Liedholm, dalla vittoria dello scudetto con la maglia giallorossa e la fascia di capitano al braccio alla sconfitta per eccellenza contro i "Reds". Pochi giorni fa all'ex capitano romanista è stato intitolato un viale proprio nel quartiere della capitale, un ricordo affettuoso per l'uomo, quasi un riconoscimento ad un calcio perso per sempre.

Recensione Limina editore:

L’ultima partita è la storia di un campione di calcio e della sua città. Dai campetti periferici di Tormarancia allo scudetto con la fascia di capitano della Roma. Di Bartolomei l’escluso, il solitario, suicida nel decimo anniversario della più grande sconfitta del calcio capitolino: la finale di Coppa dei Campioni persa in casa contro il Liverpool ai calci di rigore. È proprio attraverso la lettura di quella partita che i due autori del libro ripercorrono tutte le tappe di una vita spesa a tirar calci ad un pallone. Dietro il loro racconto e le testimonianze raccolte, un inedito ritratto di un uomo legato nel destino ai colori giallorossi e alla storia sportiva della Roma. Il simbolo di un calcio perso per sempre, fatto di vivai e primavere, di giocatori bandiera, di sudore, di umiltà, di grandi vittorie e di grandi sconfitte. Fatto di identificazione totale con la maglia, di riflettori che si spengono.
Attraverso la vita e la morte di Di Bartolomei, il racconto di una stagione italiana e l’eroico passato recente di uno sport che sta cambiando troppo.

30 maggio 1984, allo stadio Olimpico la Roma guidata da Liedholm perde la finale di Coppa dei Campioni, sconfitta ai calci di rigore dal Liverpool, in quella che ancora oggi resta la più cocente delusione della storia giallorossa. 30 maggio 1994, il capitano di quella grande squadra, Agostino Di Bartolomei, si uccide con un colpo di pistola al cuore nella sua villa a San Marco di Castellabate, in provincia di Salerno. "L'ultima partita" racconta questi due tristi eventi, così diversi tra loro e così intimamente legati; per certi versi, infatti, è stata quella l'ultima vera partita di Agostino, costretto poi a lasciare la Roma dove era nato e cresciuto. "L'ultima partita" è la storia di un campione e della sua città, dai campetti dell'oratorio al provino per entrare nelle giovanili della Roma sotto gli occhi del "mago" Helenio Herrera, dall'esordio in prima squadra all'incontro con il suo maestro Liedholm, dalla vittoria dello scudetto con la maglia giallorossa e la fascia di capitano al braccio a quella triste sera di maggio. Fino al tragico sparo di dieci anni dopo, nello stesso giorno, con cui s'è arreso nella partita con la vita.

Riedizione settembre 2010

Luca scrive a papà Ago
"Mi manchi, ma perché l'hai fatto"

Luca Di Bartolomei scrive al padre nella prefazione del libro "L'ultima partita - Vittoria e sconfitta di Agostino Di Bartolomei", a 16 anni dal tragico gesto del maggio 1994. Un messaggio pieno di dolcezza ma anche denso di rabbia per l'ingiustizia di avergli sottratto gli anni più belli
Il 30 maggio 1994 Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma che vinse lo scudetto nel 1983, si tolse la vita. E' uscito il libro "L'ultima partita - Vittoria e sconfitta di Agostino Di Bartolomei".
Pubblichiamo la prefazione scritta da Luca Di Bartolomei, 28 anni, figlio di Agostino, e le fotografie del suo incontro con Francesco Totti che per l'occasione ha indossato la maglia con cui "Ago" giocò la finale di Coppa dei Campioni persa all'Olimpico di Roma contro il Liverpool il 30 maggio 1984. Dieci anni esatti prima del suo tragico gesto.

Caro Ago,
è da quando Andrea e Giovanni mi hanno chiesto di
pensare a un'introduzione per questo libro bello e onesto
- scritto con il tatto di chi sa di toccare sentimenti privati
e allo stesso tempo una passione e un affetto condivisi
da tantissime persone - che penso e ripenso a queste
poche righe.
E ne ho buttate via tante di versioni prima di decidere
davvero che forse era il caso di essere egoista e parlarti, per
una volta pubblicamente, solo da figlio.
Quanto mi manchi papà.
In queste settimane ho passato qualche giorno di vacanza
a San Marco e ho avvertito fortissima la tua assenza.
In un attimo mi sono tornati in mente tutti insieme i
piccoli segni dei giorni estivi di festa.
Il tuo asciugamano blu nel bagno davanti al mare da
cui d'estate cercavo la barca mentre assonnato indossavo il
costume; lo sguardo di mamma quando vedeva che mettevi
l'aria nelle bombole, preludio di una giornata di pesca
subacquea in cui tu, ti riposavi 20 metri sott'acqua tra
tane di cernie, e lei si agitava guardando il pallone di segnalazione
galleggiare incerto di sopra.
Ago, se prima mi capitava di parlare di te sempre con il
sorriso e quasi con la certezza di scorgere nelle mie azioni
qualcosa che ti riportasse alla mia memoria, adesso purtroppo
tutto questo non mi viene naturale. Non più come
prima.
Mi manchi papà. E da figlio perdonami se decido oggi
di gridare con egoismo l'ingiustizia di avermi sottratto i
nostri anni più belli.
Quelli dell'adolescenza e di una contestazione strozzata
nel realismo; quelli di qualche schiaffone con cui, ogni
tanto, mi avresti addrizzato. Quelli delle prime ragazze,
dello studio all'università, della casa da solo. Quelli delle
partite di calcetto insieme. Rigorosamente, in squadre
diverse.
Rituali sicuramente sciocchi e forse banali ma che ti parlano
di una normalità che - forse perché negata - avrei desiderato
tanto e che mi sottraesti in quella mattina serena
di un'estate immobile.
Una giornata di cui purtroppo ricorderò perfettamente
ogni secondo per tutta la mia vita.
Di quell'ultima volta che ti ho visto vivo al sole del
terrazzo.
Di quella sedia bianca da giardino che stazionò lì per
mesi prima che ce ne accorgessimo, presi come eravamo da
mille interrogativi e dai rimorsi che ti stringono quando capisci
che non avevi capito nulla.
Quella sedia bianca di legno colpita come da una martellata
rotonda all'altezza della seconda fascia.
Dell'ultima volta che ti ho visto poco più di un'ora dopo
nel corridoio stretto del cortile davanti casa: steso in quella
chiglia fredda di zinco.
Avevo undici anni papà, tu mi sembravi invincibile e destinato
a tornare in qualche modo in quello stadio grande
con sopra gli imbuti nel quale quando incontravamo i tifosi
partiva in automatico la foto mentre in sottofondo scattava
plastico il coretto: "OOOO AGOSTINO... AGO
AGO AGOSTINO GOL..." scatenando in un certo senso
la mia gelosia di bambino.
Volendo, oggi, essere onesto fino in fondo con me stesso
penso che nella serenità con cui ho parlato di te alle moltissime
persone chi mi hanno chiesto se fossi parente del
Capitano - a riguardarla adesso quella serenità - ci sia stato
qualcosa di inconsciamente innaturale.
Come se con quella mia tranquillità volessi placare il rumore
assurdo che quel tuo sparo ha prodotto nella testa di
tutti noi. Che gesto estremo insensato imbecille ed allucinante
hai fatto quel 30 di maggio Ago.
Un altro 30 di maggio per te: l'ultimo. Per noi, da lì in
avanti, l'unico.
Quella data diventerà un giorno a caso sul calendario, un
giorno tra il 29 e il 31 in cui i giornalisti delle radio mi chiamano
per un ricordo con il pubblico. Per i tifosi che hanno
visto e non hanno dimenticato quel Capitano serio. Per quelli
giovani che ti hanno scoperto sui forum, visto su Youtube
e che per te hanno aperto anche una pagina Facebook.
Ho scoperto più avanti la crudeltà di quella data. Dieci
anni dopo quella finale. Ho scoperto quella crudeltà e mi
sono sempre ripetuto che non ci puoi aver pensato davvero.
Troppa cattiveria in quella coincidenza. Forse ti si è insinuata
dentro quella data, ecco. Come la depressione che
ti porta a un gesto stronzo. Come un fallo plateale in area
di rigore.

Perché papà io non ci ho mai creduto e non voglio crederci
che in quell'attimo estraneo all'intelletto hai pensato
a una sconfitta in quella stupidissima partita di calcio.
Di fronte alla grandezza di una vita umana, all'amore di
una moglie e di due figli infatti cosa era quella se una stupidissima
partita di calcio?
E pensare che la sera prima saremmo stati in trenta a
casa, tra cugini e amici stretti, a mangiare insieme senza che
nessuno si accorgesse di nulla. Mentre quella sensazione
lieve di malessere ti stritolava.
Ma non penso che ci saremmo potuti accorgere di nulla,
papà. Con noi sei stato, fino all'ultimo istante, lo stesso di
sempre.
Non chiuso. Non orso come ti vedevano gli altri. Quelli
che non ti conoscevano. Quelli che ti avevano cucito addosso
un personaggio che non ti apparteneva. Non fiero,
non superbo.
Solo riservato.
Con noi eri solo Ago: innamorato, dolce, caciarone e
ironico. L'Ago di sempre. Quello che accantonava l'aria
seria del ragazzo cresciuto in fretta, precocemente vecchio,
e buttava le miccette nel camino per spaventare nonno.
Quello delle domeniche in barca per andare a pesca.
Dei pomeriggi su un campo alla periferia del calcio per
insegnare ai ragazzini gli schemi e dirgli che serietà e talento
contano alla stessa maniera.
Quello che veniva a svegliarmi tutte le mattine per vedere
i tg delle 7 e che poi partendo per andare a lavoro con
Gianmarco mi portava a scuola.
Quello che durante la settimana aveva sempre dei fiori
per Marisa e che quando tornava a casa aveva per lei il
primo bacio.
Quello che nonostante tutta la mia incazzatura e tutto il
vuoto mi ha lasciato dentro riesco sempre a perdonare perché
ho conosciuto tutto il suo amore.
Mi manchi Ago. Ecco volevo solo dirtelo ancora una
volta.

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