Nel fango del Dio pallone
KAOS EDIZIONI Pag. 168 €. 14,00 Per prima cose devo confessare il grandissimo disagio che ci ha accompagnato durante la lettura di questo libro, disagio che non ci abbandona nemmeno mentre scriviamo queste righe di commento. Il motivo è semplice: dalle pagine del libro, da ogni pagina, forse da ogni frase, esce una tale quantità di brutture, di bassezze, di squallore, di degenerazioni dell’animo umano, che risulta impossibile non provare un senso di disagio o addirittura di nausea. Carlo Petrini è stato calciatore in moltissime squadre di serie A e B negli anni 70; ha chiuso la sua carriera professionistica nel 1980, nel Bologna, travolto dallo scandalo del calcio scommesse. E’ stato un giocatore corrotto, dopato (e i suoi occhi quasi ciechi sono ora la conseguenza di quel doping), dallo spessore umano pari a zero; una persona squallida che nelle pagine del libro non fa assolutamente niente per apparire meglio di quel poco che è, anzi sembra che accentui i suoi sforzi per convincere tutti noi della sua pochezza (riuscendoci peraltro benissimo). Chiusa la carriera di calciatore, Petrini si infilò in un giro di finanziarie e di usurai che finì per travolgerlo, scappò all’estero, inseguito da debiti e da personaggi senza scrupoli, rimanendo nascosto per anni. Tornò indirettamente alla ribalta pochi anni fa, quando uno dei suoi figli, malato terminale di cancro, fece un pubblico appello televisivo al padre affinché andasse almeno una volta a trovarlo. Petrini preferì rimanere nascosto e il figlio morì senza rivedere il padre (per la serie: quando la realtà supera, e di molto, la fantasia). Il libro è come il suo autore: duro, spietato, volgare, un pugno nello stomaco che ti prende ogni volta che cominci una pagina. Il mondo del calcio che esce da queste pagine è una specie di giungla, in cui nessuno si può permettere di dare le spalle a nessuno. I calciatori, quando va bene, sono ragazzotti ricchi ed immaturi, privi di ogni regola morale, capaci di parlare solo delle proprie avventure erotiche, quasi sempre extra coniugali, e di automobili; per non parlare degli allenatori, dei dirigenti, degli arbitri... Le pagine che parlano delle partite truccate sono quelle più sconvolgenti: negli anni 70 (ma come non si può non ricordare il caso di Venezia-Bari dell’anno scorso, con il gol ‘indesiderato’ di Tuta, che, guarda che coincidenza, non gioca più in Italia) l’accordo tra dirigenti o tra giocatori per guidare il risultato di una partita era la regola. Lo si faceva o per convenienza reciproca (“un punto fa comodo a tutti due...”), o per motivi ancora più loschi legati alle scommesse clandestine. I giocatori scommettevano abitualmente, e fa veramente male, da tifoso del Bologna, leggere che nella squadra rossoblù nel 1980, i soli giocatori che non facevano mai scommesse erano Sali (il terzino con i baffoni e i capelli da guerrigliero, che portava Eneas a comprare i giornali di estrema sinistra) e Castronaro. Dal presidente Febbretti in giù, erano le uniche eccezioni...Intendiamoci: non sappiamo fino a che punto l’autore del libro sia attendibile, e non sappiamo se il suo scopo sia quello di una sorta di ‘catarsi interiore’, o sia qualcosa di più basso e sordido. Quello che ci fa specie è che, per quanto se ne sappia, nessuno dei personaggi citati, con tanto di nomi (solo i protagonisti della scappatelle erotiche vengono celati dietro una sigla), legati ad episodi di doping e corruzione, abbiano non dico sporto querela (tanto, per quello che servono le querele...), ma almeno convocato una conferenza stampa per dire: “Fermi tutti, io non c’entro!”. Perché Colomba, Dossena, Savoldi, Zinetti, Perani, non sono insorti per dire che Petrini ha detto bugie? Perché Trapattoni, che a giudizio di Petrini, insieme ai dirigenti della Juve e del Bologna di allora, avrebbe concordato un pareggio di comodo tra bianconeri e rossoblù, tanto che ad un’imprevedibile papera di Zinetti si dovette porre rimedio con un autogol di Brio, non convoca i suoi amici giornalisti e dice loro di essere stato e di essere una persona pulita? Sono domande che per il momento restano senza risposta, e noi ci teniamo, insieme alla nostra incertezza, anche il nostro disagio e la nostra nausea, che vengono accentuate dall’ultima e più importante delle domande che possiamo porci: perché nonostante le persone e gli episodi descritti in quel libro continuiamo a spendere soldi, fatica e passione per il dio pallone?
by Piero Nato a Monticiano (Siena) nel 1948, Carlo Petrini è stato uno dei più noti calciatori degli anni Settanta. Dalle giovanili del Genoa, passò al Lecce (serie C, 1965-66), tornò al Genoa (serie B, 1966-68), quindi cominciò l’avventura professionistica ai vertici del calcio italiano come centravanti: al Milan di Nereo Rocco (1968-69), al Torino (1969-70), al Varese (1971-72), al Catanzaro (1972-74), alla Ternana (1974-75), alla Roma di Nils Liedholm (1975-76), al Verona (1976-77), al Cesena (1977-79), e approdò infine al Bologna (1979-80). Nella primavera del 1980 risultò coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse: a Petrini venne inflitta una pesante squalifica che in pratica mise fine alla sua carriera. In questa autobiografia, sincera fino a essere spietata, Petrini racconta quello che «nel calcio si fa ma non si deve dire». Tutte le miserie che ha conosciuto e vissuto in prima persona – come protagonista, o come testimone – all'interno di un mondo dorato ma permeato di ipocrisia: i pareggi “concordati” e le partite “vendute”, il doping e l’espediente per eludere i controlli, i soldi “in nero” e le sfrenatezze sessuali. Non manca il racconto di alcuni retroscena inediti dell’epocale scandalo del calcio-scommesse. Una coraggiosa auto-confessione nella quale Carlo Petrini ripercorre inoltre le sue peripezie extra-calcistiche successive: le amicizie “pericolose” e un crac finanziario, la fuga all'estero e i lunghi anni di solitudine e di paura, l'indigenza e le malattie, fino alla drammatica morte di un figlio diciannovenne.
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