Torna all'elenco dei libriI pallonari
Zone grigie, fondi neri e luci rosse: vent'anni di calcio all'italiana
ED. KAOS EDIZIONI EU 15,00 PG: 180

Una controstoria non autorizzata 
Negli anni `70 giocò con Milan, Torino e Roma. Poi, coinvolto nello scandalo del calcioscommesse, fu allontanato e dimenticato da tutti. Oggi Carlo Petrini torna col suo terzo libro sul lato oscuro del football. «Non sono un pentito, ho semplicemente raccolto indizi e notizie sfuggiti alla censura del sistema»

In La vita quotidiana come rappresentazione il sociologo Erving Goffman afferma che la validità simbolica di ogni rappresentazione dipende dalla credibilità dell'interpretazione. Ma poi aggiunge: sia che gli attori siano sinceri sia che non lo siano. Nella rappresentazione-calcio la sincerità degli attori e la credulità del pubblico sono tabù sacri. Anche quando sorge il sospetto che la rappresentazione sia falsa - o che almeno non la racconti tutta - nessuno si prende la briga di fare delle verifiche reali e il sospetto rimane come sospeso per aria. Chi, infatti, dovrebbe fare qualche indagine, vale a dire il giornalista sportivo, si guarda bene dal farla. Forse soffre di smemoratezza - una malattia professionale - forse ha paura o forse è solamente omertoso. In ogni caso, non indaga per convenienza. Carlo Petrini è un uomo che gli indizi li sa raccogliere e che le indagini le sa fare. E difatti non è un giornalista, ma un ex calciatore. I pallonari - Zone grige, fondi neri e luci rosse: vent'anni di calcio all'italiana (Kaos Edizioni, 2003), il suo nuovo libro, fa parte di un lavoro di smascheramento dell'ipocrisia pallonara giunto al terzo capitolo. Petrini è stato un attaccante di serie A negli anni settanta, ha giocato con Genoa, Bologna, Roma e Milan, e ha raccolto tutti gli allori a corredo del successo - donne, denari, auto veloci e uno stuolo di «amici» pronti ad assecondarlo. Poi, al culmine della carriera, è rimasto coinvolto nel primo scandalo del calcioscommesse e ci ha rimesso tutto. Da quel momento la sua vita professionistica e personale è precipitata nell'oblio. Minato nell'orgoglio e nel fisico, etichettato da tutto l'ambiente come la mela marcia che voleva rovinare il «gioco più bello del mondo», Carlo Petrini a un certo punto della sua tribolata vita è tornato a vivere nel suo eremo di Monticiano e si è affidato alla penna per riconciliarsi con se stesso. Nel suo primo libro (Nel fango del dio pallone, 2000, Kaos Edizioni) ha descritto la sua vita e le sue scelte nel contesto di una cultura, quella del calcio, dove il sotterfugio e l'imbroglio sono la norma e la moralità una facciata. Un libro che ha fatto scandalo e che è stato velocemente dimenticato. «Dopo quel libro l'ambiente pallonaro mi ha trattato come se fossi un pentito. E in tutti gli ambienti marci, i pentiti sono trattati da infami. Eppure io avevo raccontato solo quello che avevo vissuto, cercando di descrivere prima di tutto il mondo del calcio, perché nessuna decisione umana si può capire se non si capisce il contesto nel quale matura. Per questo non mi sono mai dichiarato pentito. Pentito è chi sa di aver sbagliato in un ambiente sano, chi pensa di aver disatteso una morale condivisa. Ma nel mondo del calcio la norma condivisa è l'amoralità e immorale è solo chi lo fa notare».

Il secondo libro narrava la tragica fine di un giocatore del Cosenza.

La storia di Donato Bergamini è una storia emblematica per capire cosa sia il calcio italiano. Non tanto per la vicenda in sé, sulla quale sarà difficile fare chiarezza, ma per la rete di silenzi e intimidazioni che l'ha accompagnata. E' una vera storia italiana.

Con I pallonari, invece, fai un resoconto dettagliato di tutti gli scandali che hanno attraversato il calcio negli ultimi anni. Facendo nomi e cognomi. Perché hai pensato a un libro di questo tipo?

Dopo aver pubblicato Nel fango del dio pallone mi sono giunte parecchie critiche. Alcune mi accusavano di essermi inventato tutto - ma nessuno, al di là delle minacce, mi ha mai querelato - altre, invece, mi davano della mela marcia. Allora ho pensato di raccogliere tutto il materiale scottante che trovavo e di dividerlo per argomenti. Le zone grige, cioè la compravendita di partite, per mostrare che lo scandalo scommesse del 1980, quello che di fatto, mi impedì di continuare la mia carriera calcistica, era tutt'altro che un fatto isolato. I fondi neri, per mostrare quanto la struttura economica deviata sia la vera motrice che manda avanti il calcio. E le luci rosse per mostrare a chi mi dava del pervertito quanto siano casti e puri i nuovi idoli pallonari.

Alcuni dicono che sollevare dei polveroni è la tua maniera per rientrare nel mondo del calcio.

Questa è un'accusa che si può facilmente girare al mittente. Non sollevare polveroni è l'unico modo che hanno gli addetti ai lavori per rimanere nel mondo del calcio.

Perché il calcio italiano è avvolto nell'omertà?

Perché a tutti i livelli sono tutti coinvolti. Sia in quanto abitano lo stesso carrozzone, e quindi hanno paura di perdere il lavoro, sia in quanto hanno interessi specifici e fantasmi da nascondere. Tutti hanno poi paura che se i tifosi venissero a sapere quanto davvero succede, allora, oltre la faccia, perderebbero anche i soldi. Ma purtroppo i tifosi non colgono appieno il potere di cui dispongono.

Fideiussioni fantasma, ricorsi al Tar, diritti televisivi e bancarotte preferenziali: l'estate calcistica appena terminata ha conosciuto nuovi scandali. Ma poi il campionato parte e tutto si dimentica.

Gli scandali affiorano quando i soldi finiscono e non si possono più dividere fra troppa gente. Allora chi rimane fuori comincia ad agitarsi e a rivolgersi ai tribunali. Ma è una lotta disperata perché il grado di corruzione e connivenza sono tali che non si può alzare il coperchio più di tanto. Non fa comodo a nessuno. Per questo ciò che affiora è sempre una percentuale molto esigua di ciò che accade. Le vere tragedie legate al calcio, come il doping che uccide o lo sfruttamento di piccoli calciatori africani portati in Italia per poi essere abbandonati a un semaforo, rimangono senza giustizia. Eppure il calcio italiano è anche quello. Ma nessuno ha interesse a raccontare. Se no, poi, con che faccia si fa ripartire la giostra?

Dal tuo libro emerge che il calcio italiano è egemonizzato da lobby trasversali che tra familismo amorale, conflitti di interesse e vere e proprie intimidazioni mafiose, hanno il potere di deciderne scorrettamente le sorti.

Sì, oramai all'interno del mondo del calcio le squadre sono diventate degli ammennicoli residuali. Le grosse potenze sono le banche. Basti pensare che una sola di queste, la Banca di Roma, controlla ben quattro squadre di serie A. Poi ci sono le lobby familistiche, come la Gea, che attraverso un furbesco conflitto d'interessi riesce a gestire giocatori, allenatori e squadre di calcio, incidendo così non solo sul normale andamento del campionato ma anche sul prezzo e contratto dei giocatori. Un bel calcio alla concorrenza perfetta. Infine c'è l'indotto, ovverosia la malavita che gravita intorno ai protagonisti. Quella che a volte permette la combine di partite, a volte spaccia droga, a volte uccide.

Il doping è un problema che ti sta molto a cuore.

All'inizio degli anni `90 la Figc è stata l'unica federazione sportiva italiana che non ha introdotto l'anti-doping obbligatorio. Questo ha permesso al fenomeno di dilagare, coinvolgendo, grazie a medici senza scrupoli, anche i settori giovanili. Poi lo ha introdotto ma, come lo scandalo dell'Acquacetosa ha dimostrato, senza veri controlli. Così la sensazione percepita dai giocatori è stata che si poteva fare. Perché tanto lo facevano tutti. Ma con quali rischi? La Sla, che ha mietuto vittime tra i professionisti della mia epoca, è una malattia che colpisce 400 volte di più i calciatori del resto della popolazione. C'è chi ha sostenuto che è a causa del tipo di sport, fatto di colpi e contrasti. Allora mi spieghino perché all'estero non è morto nessuno. Oggi giovani calciatori muoiono di leucemia e tumori al fegato. Ma lo sanno cosa prendono? Noi, ai nostri tempi, non lo sapevamo. Vedevamo solo che con quelle cure correvamo di più e che quindi la sera prima delle partite potevamo anche uscire a scopare.

La magistratura, però, sta facendo la sua parte.

La magistratura, grazie a Guariniello, sta facendo la sua parte. Ma, anche qui, nel silenzio più assoluto. In televisione, i cosiddetti giornalisti, passano ore e ore a parlare di improbabili colpi di mercato e nulla ci dicono del processo alla Juventus, o degli altri processi che hanno coinvolto squadre e dirigenti di tutte le serie. Si fa finta di non vedere.

Cosa hai pensato quando hai appreso la notizia della morte di Nello Saltutti?

Mi è dispiaciuto molto. Negli ultimi anni c'eravamo visti spesso e ci eravamo confrontati. Lui era stato il primo a denunciare l'uso del doping nel calcio. Si era battuto tanto ma non era stato ascoltato. Quando ho appreso la notizia mi è venuta paura. Ho capito che nessuno è un eroe.

Tu prendevi gli stessi farmaci?

Micoren a quintali; ma anche Cortes e altri. Erano tutti prodotti che prendevamo regolarmente. Prodotti micidiali, ora vietati. Ma allora, per quello che ne sapevamo noi, era come bere l'acqua dopo l'allenamento.

Esiste una soluzione?

La soluzione è il controllo. In questo libro, al contrario degli altri due (che erano il primo un'autobiografia e il secondo un'inchiesta), io non ho fatto altro che raccogliere indizi. Articoli, sentenze, voci: tutte notizie riguardanti il calcio, tutte notizie che non erano passate al setaccio dell'auto-censura. Da solo, e con scarsi mezzi, ho tracciato una controstoria del calcio italiano. Una biografia non autorizzata. Se i giornalisti facessero le semplici ricerche che faccio io, allora sui giornali leggeremmo ben diversi articoli. E allora non penso che certa gente avrebbe il coraggio di ripresentarsi in televisione a mostrare la propria faccia da buon moralista. Si vergognerebbero. Così la gente capirebbe finalmente quanto il loro gioco preferito non sia altro che uno specchietto per le allodole. E, forse, reagirebbe di conseguenza.

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