Le battute del tifo giallorosso
Sono usciti due curiosi volumetti, «Quelli che la Maggica» e
«Romanisti»
Core de sette colli. Alle origini della storica rivalità tra Lazio e Roma, con l'identikit del tifoso capitolino, i creativi soprannomi e gli abituali sfottò
Sfottò giallorossi contro tiri... Mancini nella collana editoriale dei Fratelli Frilli, dall'eloquente titolo «Ultimo stadio». L'ultima uscita è dedicata ai tifosi romanisti, con un volumetto autoironico centrato su fedi incrollabili, e sul derby infinito dei bar e delle piazzette, inteso come partita che non conosce pause.
Quelli che La Maggica mette subito le cose in chiaro: nell'Urbe, come ha chiarito una volta per tutte il recente ritrovamento di un «prezioso manoscritto ritenuto autentico», il primato giallorosso non si discute. La Maggica è nata per merito di due fratelli-trovatelli, Romolo e Remolo. In realtà, il secondo si chiamava Remo, ma il nomignolo errato pare sia da attribuirsi a un ultrà di una squadra longobarda «provvisoriamente insediatosi nell'Urbe». Un tale che «si professava tifoso del diavolo e unto del Signore, creando così, a quanto pare, un inconciliabile conflitto di interessi (termine usato come sinonimo per il più prosaico `tenere i piedi in due scarpe')». Perciò la Roma è Roma, eterna come la città che rende unico l'immenso popolo giallorosso, «verace e tenace nel suo sostenimento totale, viscerale, alla squadra». Tutto il resto è... Lazie: 20% di pariolini («personcine Fini, che si trovano spesso a malpartito con i ragazzacci delle borgate e dei quartieri popolari») e il 75% che viene dall'hinterland per «vendere partite di cacio». E vai con la barzellettina di rigore. Un laziale, sceso da Ariccia, si ferma davanti al Colosseo e fa: «A cumpa'... ma nel '90 null'avevano ristrutturatu l'Olimpicu???»
Alle radici della storica rivalità fra Roma e Lazio va anche Romanisti di Angelo Bocconetti (edizioni Sonda), che traccia l'identikit ironico-antropologico del tifoso capitolino dagli esordi del 1927. «Nobili e borghesi», i laziali del Ventennio annoveravano fra i simpatizzanti il Duce, mentre i romanisti non potevano che essere «popolari e popolani», antifascisti al punto da essere bollati come «macellai ed ebrei». E poco importa se, come ha mostrato Roma di Fellini, il tifoso giallorosso è anche quello che accoglie gli ospiti napoletani al grido di «À sfollati zozzi, morti de fame, oggi ve famo `n culo così». La Maggica ha tante anime, ma un «unico core grande che travalica i sette colli». Roma furba e burlona, quella che, nel marzo 1978, aguzzò l'ingegno per rendersi visibile sugli spalti del derby. Racconta Bocconetti che i tifosi avevano progettato una coreografia megagalattica per illuminare la scritta «Forza Roma», ma mancavano le competenze tecniche. Quelle ce le aveva un laziale. E fu così che un romanista, travestito da prete, raccontò al biancoceleste di essere un parroco di Castiglioncello che doveva preparare la festa di Marzafora e ottenne il necessario. Solo che, anagrammando Marzafora, viene fuori «Forza Roma». E tra gli organizzatori della beffa, c'era anche un rotondetto con gli occhiali: Francesco Storace, attuale presidente An della regione Lazio.
La Roma ha tante anime, come testimoniano i nomignoli affibiati dall'inossidabile radiocronista Carlo Zampa (Totti «il bimbo de oro», Tommasi «l'anima candida della Roma», Emerson «il puma»), ma un unico core grande. E anche i suoi tifosi sono unici. Lo ha imparato a sue spese l'omologo De Angelis - «un bonaccione iperteso con due occhiaie che arrivano alle ginocchia» - la volta che dai microfoni biancocelesti provò ingenuamente a copiare lo stile di Zampa. La Roma non si discute, si ama, dice un vecchio slogan. Ma «er core grande» del tifoso romanista scavalca ancora «i sette colli, supera il Cupolone e varca tutti i confini?»
Al Circo Massimo, nell'indimenticabile notte del 24 giugno 2001, il calcio «ha saputo toccare le corde più nobili». Ma, guardando più da vicino il tifo di oggi, Bocconetti subodora la crisi. Nel dna del romanista restano figure mitiche della Roma d'antan come quella di Dante Chiarini, «spazzino a tempo perso, tifoso professionista dal mattino alla sera» che negli anni `60 aveva il posto prenotato in curva sud. Alla sua morte, prima che iniziasse Roma-Reggina, qualcuno parcheggiò la sua vespetta proprio sotto il posto che aveva sempre occupato. E Totti, che da piccolo aspettava Dante come gli altri tifosi, vi depose un fiore e mandò un bacio al cielo. Dante, Geppo, «il Poeta», «Il Coca cola», Fedayn, Rulli, Bellecca ...
Il 10 marzo del 2002, in occasione del derby del poker di Montella, è apparso in tribuna un grande striscione: «A chi ci ha lasciato con la Roma nel cuore». A fianco, i nomi dei tanti tifosi scomparsi. Ma, dice amaro Bocconetti, la magia del muretto, e delle sciarpe fatte a mano dalle nonne oggi è scomparsa. Certo, resta lo storico tifo femminile della Maggica (assente invece nella sezione a schema fisso della collana «Ultimo stadio» in cui le donne figurano solo come fonte di eterno «dramma famigliare»). Romanisti ricorda che, quando vinse la Roma di Falcao, nel 1983, in strada c'erano ancora «le signorine del `42, quelle che avevano festeggiato il primo scudetto, ancora con le bandiere di allora».
Certo, sotto il marchio della mitica Curva Sud, resta ancora la radio di «Marione» e le bandiere dei Fedayn del grande Roberto Rulli «pronto a tifare per la Roma, a sostenere le sue idee politiche ma senza far torto agli altri». Ma ora, l'impronta destrorsa dei «boys», la sorda rivalità fra le tifoserie frammentate, tolgono linfa al cuore di quel popolo giallorosso che ha ballato e cantato insieme al Circo Massimo. Inoltre, la fisionomia architettonica del nuovo Olimpico, dal `90 ha reso «tutto più asettico» e ha messo in evidenza plastica e bulloni. Però, scrive Bocconetti, giornalista del Secolo XIX, «per certi versi è stato un bene: assieme alle emozioni positive sono sparite anche quelle negative. Ora c'è meno tensione in curva, meno risse, e quindi ci sono anche meno pagine brutte da scrivere». Ma è davvero così? Più che risse e violenza sembrano scomparse non solo le grandi passioni degli anni settanta e la magia del muretto, ma anche la poesia dei Mostri di Dino Risi: dove un'emarginato senza una lira in tasca, con gli ultimi spiccioli va alla partita a ubriacarsi con i goal di Manfredini. L'amore per la Maggica scavalca ancora i sette colli?
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