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La faccia imbronciata del pallone di provincia , il bel libro di Claudio Gavioli, ritrae il calcio dal volto umano

 

C'è il Pedretti che, a 32 anni suonati, per un calciatore s'intende, vive tutto casa e famiglia; che quando il bambino si sveglia, lui si alza e lo coccola e «guai a chi gli rompe i coglioni»». Ci sono i «ragazzi di Calabria»: Matteo Serio e Luca Ferrante, sistemati in un desolato appartamento ammobiliato, «squallido mica da ridere»; qualche dirigente dovrebbe occuparsi di loro, «di come vanno a scuola e via discorrendo, ma in realtà non gliene frega niente a nessuno». Anderlini, l'eterna promessa, «tecnica sopraffina, carattere di platino, altruista e generoso». Un matrimonio con una «gnocca» in cerca del campione miliardario, naufragato sotto i colpi dei «cali di tensione e delle assenze epilettiche in campo». 
Poi c'è il mister, tormentato dall'idea dell'esonero, triste e solitario, che fruga tra i ricordi le belle parole dei trattati di psicologia dello sport dove c'era scritto dell'importanza formativa delle sconfitte: «sarà anche vero, ma in questo momento la panca scrostata appoggiata al muro odora di fallimento e gli fa schifo». In attesa del terzo esonero della carriera, il mister è terrorizzato dall'idea di tornare a far la spesa con la moglie, di tagliare il giardino o di passare la domenica «a gironzolare per i campi di calcio come un bambino con il moccio al naso a vedere gli altri che giocano». 

Si respira l'aria dello spogliatoio di provincia nel bel libro di Claudio Gavioli - "Vite all'asta", Limina edizioni 2003; pp.123; euro 12, 90, c'è l'odore della sconfitta e della disillusione. E' l'altra faccia della medaglia del calcio; la parte che non finisce negli spot della Nike né nelle trasmissioni urlate della domenica sera. Una faccia imbronciata e malinconica, in attesa di un deus ex machina che trasformi il ghigno da perdente in sorriso da vincente, i sogni in realtà. Ma così non è, ed allora non rimane altro da fare che sperare in tempi migliori e non pensare troppo al futuro. Ma sullo sfondo c'è anche la passione. Una passione che attraversa l'ultimo dei panchinari, fino a travolgere il cinismo ostentato del direttore sportivo. 

Il libro di Gavioli non è un libro triste, è piuttosto un affresco, schietto ma ironico, sulle zone d'ombra del calcio, la parte invisibile. Quella che si rompe le caviglie e si affanna su un cencioso campo in terra.

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