Il calcio in testa
Lo sguardo "scorretto" di Vittorio Zucconi sullo sport più amato finisce in libreria. Giocatori, presidenti, business, "soffritti" di interesse
ma anche quelle emozioni che il gioco continua a regalare
"Tutto nacque dalla necessità di
guardare la partite di calcio senza che nessuno mi rompesse le
balle". Quell'idea prese forma in una rubrica, molto
"calcistically incorrect", affidata a Repubblica.it e si
sintetizzò in un titolo, "Il calcio in
testa". Prima in singolo, poi, con l'aiuto, diventato
"indispensabile", di Max, pastore tedesco di provata sapienza
calcistica. Adesso, "Il calcio in
testa", da virtuale, diventa cartaceo e si trasforma in
un libro (Gallucci editore) a firma di Vittorio Zucconi. Il senso è uno
solo: "Vedere se ci sono persone stufe di leggere sempre le stesse
menate, se sia possibile amare il gioco del calcio senza sentirsi idioti
o presi per i fondelli". La risposta sono le decine di migliaia di
mail arrivate all'autore dai tanti malati di calcio sparsi per il mondo.
Perché il calcio è anche questo: rischiare il congelamento "con
il sedere nella neve" per vedere il Milan a San Siro.
Il libro raccoglie, in duecentoventiquattro pagine, il Zucconi-pensiero
sul gioco del pallone: giocatori, presidenti, giornalisti, pay tv,
violenza. C'è tutto. C'è una selezione dei pezzi del "Calcio
in testa" pubblicati su Repubblica.it nel 2003. E c'è
il dizionario del tifoso perfetto: dalla A ("mediocre torneo
calcistico italiano collocato, per necessità alfabetica, prima della
lettera B") alla Z ("l'uomo che ha fatto licenziare Zoff senza
averne nessuna colpa") uscito a puntate sempre sul sito Internet di
Repubblica.
Zucconi parla del mondo del pallone, di quello che non è più un gioco
ma che ancora riesce a regalare emozioni che solo le cose vere riescono
a dare. Certo, lo stadio è ormai diventato "il canale di scolo nel
quale convogliano le acque radioattive di un tempo che ha assunto la
violenza e la prepotenza a proprio modello di comportamento".
Certo, "lo sport professionale, il business assillante della
competizione 'made for tv', sono parte importante e orwelliana del
controllo commerciale e politico di quelle che la sinistra chiamava
'masse' e la destra 'consumatori'. E anche i padroni delle fumerie di
questo oppio si fanno grandi pipate".
Ma, alla fine, bastano le parole dell'autore a spiegare quanta voglia di
calcio ci sia nella testa degli italiani: "Guai a chi ci toglie il
vizio del pallone". E sì che in molti ci stanno provando.
Presidenti senza troppi scrupoli, affaristi che, fiutato il business,
hanno trasformato il gioco del pallone in una miniera (di cui però
stanno esaurendo le riserve), snaturandone i valori originari.
Insomma, che calcio è quello descritto nel libro? E' il calcio del
"Beato Del Piero", del culto della "Santa Moviola".
Un calcio dominato dal business e gestito dai Galliani di turno. Con
giornalisti alle prese con giocatori che ripetono, all'infinito, le
stesse stucchevoli risposte a fronte delle stesse stucchevoli
interviste. Un calcio che vede un presidente del consiglio proprietario
di una squadra, che ha anche un amministratore delegato presidente della
Lega. E così se il Milan vince la finale di coppa Italia che accade?
Accade che "Galliani ricevette dalle mani di Galliani, la Coppa
Italia, che la Lega, diretta da Galliani, consegnò all'amministratore
del Milan, Adriano Galliani". Un vero e proprio "soffritto
d'interessi", sintetizza Zucconi.
Nel libro c'è spazio anche per Maximilian von der Schwarzwald, ovvero
Max, il pastore tedesco di Zucconi. Moltissime mail si rivolgono
direttamente a lui. Che ripaga l'attenzione "indovinando"
pronostici sulle partite di campionato. D'altronde, il bello del calcio
è questo: "Tutti ne possono parlare, perché nessuno è veramente
esperto e quindi nessuno è veramente profano". Legge che,
evidentemente, non vale solo per gli uomini.
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