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La stagione più difficile del tifoso viola. E' uscito «99 giorni» di Carlo Pallavicino, un libro che racconta il periodo di passaggio da una Fiorentina all'altra


Oltre a costituire il più clamoroso caso calcistico dell'ultimo anno, la Fiorentina rappresenta da mesi un caso editoriale di assoluto rilievo. Ne è testimone il florilegio di volumi usciti in libreria a partire dallo scorso autunno, che ha visto accumularsi contributi di diverso taglio: dalle cronache dei giorni convulsi che portarono alla fine della Fiorentina di Cecchi Gori alle «voci da dentro» del mondo ultrà, dai volumi collettanei alle patetiche autobiografie di cronisti locali. Mancava però un testo capace di raccontare il difficile passaggio da un club all'altro, col vuoto di corredo identitario (nome, marchio, colori sociali) e il cambio di dimensione agonistica (dalla serie A, categoria nella quale Firenze militava fino al maggio del 2002, alla C2, categoria in cui si trovò sbalzata a partire dal settembre successivo) che ne sono derivati. Tale lacuna è stata colmata dal libro di Carlo Pallavicino, 99 giorni. Una stagione con la Fiorentina perduta (Limina, pagine 196, euro 13,50). L'autore, ex giornalista e attualmente procuratore di calciatori del calibro di Rui Costa, Nakata e Seedorf, affronta infatti un percorso a metà strada fra pubblico e privato, fra cronaca e autoanalisi, per raccontare le lacerazioni interiori suscitate dalle vicende del primo anno di «rinascita viola». Tutto il volume è giocato sulla difficile elaborazione di un lutto, e sulla paradossale situazione in cui l'autore si trova nel gestire i mesi successivi alla perdita del «caro estinto». La Fiorentina, come oggetto d'amore, risulta infatti morta in quella tragica data dell'1 agosto 2002; ma si tratta di un «lutto imperfetto», poiché nel giro di pochi giorni un nuovo club prende il posto del vecchio. E a quel punto sorge un problema d'identificazione con un nuovo oggetto d'amore, che ogni tifoso viola affronta e risolve a proprio modo; chi immediatamente, chi concedendosi tempi più lunghi e sofferti. Pallavicino appartiene a questa seconda schiera; e non soltanto evita di nasconderlo, ma costruisce il libro su un conflitto interiore che gli provoca non pochi sensi di colpa. Non a caso sono proprio le parti dedicate alla sofferenza intima quelle nelle quali il libro dimostra una maggiore forza narrativa. In un frammento bellissimo, all'inizio del volume, Pallavicino descrive in modo mirabile il complicato passaggio identitario dalla Fiorentina alla Florentia, e soprattutto dalla grandezza perduta al piccolo cabotaggio di una stagione ai margini del calcio professionistico: «La maglia viola, il nome Fiorentina e l'inno: come il Generale Peròn in esilio, anche noi tiriamo avanti aspettando la carne per l'asado domenicale con il volo del sabato dall'Argentina. Basterà? O il sapore non potrà essere più lo stesso? Non lo so. Adesso mi manca troppo quello che ho sempre avuto per sapere se e come lo riavrò».

Di passaggi come questo 99 giorni è pieno: e a partire da questa puntuale e efficace descrizione Pallavicino centra felicemente l'obiettivo di descrivere un faticoso percorso di riappropriazione. Il volume è scritto con stile elegante e gradevole; e, fatta salva la congrua quantità di refusi che ormai costituisce il marchio di fabbrica della casa editrice aretina, riesce a toccare livelli non comuni di poesia. Come quel capitolo sulla Paradise League che merita di essere riletto dopo essere giunti in fondo al libro.

P.S. C'è un frammento della narrazione che desta curiosità. A pagina 14, Pallavicino racconta la storica serata di Wembley, quando la Fiorentina batté l'Arsenal in Champions League. Quindi parla di un Rui Costa «incazzato non ricordo bene perché». E qui, forse, Pallavicino omette. Viene in soccorso la memoria del tifoso viola, a ricordare l'azione del gol decisivo: Heinrich che conquista palla a metà campo e scappa centralmente, con Batistuta e Rui Costa liberi rispettivamente a destra e a sinistra. Il tedesco passa all'argentino, che segna un gol strepitoso; ma tutti hanno il tempo di vedere, sul lato basso del teleschermo, Rui Costa che quasi non esulta, stizzito per non essere stato servito. Effettivamente, Pallavicino «non poteva» ricordare.

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