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Oltre il 90°
A cura di Francesco Caremani, Edizioni Bradipolibri Torino, €. 15,00

Flavio Falzetti è un roccioso mediano in odore di professionismo. Fisicamente forte, ha una buna tecnica e sa impostare la manovra. Leader naturale, i compagni, anche quelli più anziani, guardano a lui come un punto di riferimento. Ha perso un po’ di buone occasioni ma nella Monturanese di fine anni ’90 sta per spiccare il volo verso le categorie che “contano”. La Bestia è la peste di questi tempi, attacca tutti indiscriminatamente e senza un perché. Si parla del cibo, dell’aria, dell’acqua, dello stress, insomma si tira dentro di tutto quando questa malattia arriva come un fulmine. Nel marzo del 1999 Flavio Falzetti e la Bestia iniziano una partita che ad oggi ancora deve finire. Nel libro “Oltre il 90°”, Falzetti parla diffusamente, quasi senza freni di questa partita fatta di sofferenze e dolore, ma piena di orgoglio, coraggio e volontà. Falzetti è un malato come tanti, la Bestia lo sa e lo colpisce senza pietà. Ne distrugge il corpo, ne mina l’animo. È solo un ragazzo, sa che è terreno di conquista, la vittoria sarà facilissima. Ma la Bestia non si accorge che quel ragazzo è un mediano, un tipo che dà tutto in campo per la propria squadra, che non ha paura di niente, cresciuto con il pallone e la voglia di vincere sempre. Messa così, la partita si prospetta da subito lunga, difficile, ricca di capovolgimenti di fronte. La Bestia parte subito con un vantaggio considerevole. Flavio accusa il colpo quando all’Ospedale di Sant’Elpidio al Mare i medici gli diagnosticano il Linfoma di Hodgkin e non può che indietreggiare, chiudersi a riccio per difendersi. Questi sono gli attimi della paura, per una vita che si trasforma, che rischia di finire, che sarà un calvario, nonostante tutto. Ma Falzetti si difende per poco tempo, non ci sta ad arrendersi senza giocare e parte subito al contrattacco. La Bestia è un avversario quasi imbattibile, che attacca senza soluzione di continuità? Vorrà dire che l’unica difesa possibile è un attacco ancora più tambureggiante, quasi sconclusionato, per ricondurre tutto verso un faccia a faccia dove Flavio e la Bestia se la devono veramente giocare. La Bestia debilita Flavio, e allora Flavio non si abbatte, non fa la vittima, la Bestia ti impone la chemioterapia, processione tra veleni iniettati nelle vene e spasmi insopportabili, e allora Flavio si mette in testa di ritornare a giocare a calcio una volta finito tutto questo, la Bestia ti fa sentire al limite dell’umano, senza capelli, gonfio e con poche energie, e allora Flavio va in bici alle Forche Capannine, facendosi chissà quanti chilometri per tornare in forma, la Bestia ti fa “puzzare” la pelle di malattia e di morte, e allora Flavio inizia una nuova vita dietro la scrivania ma sempre nel mondo del calcio. Come fa Flavio Falzetti a giocarsela con la Bestia? Solo se si legge con attenzione il libro si scopre. Flavio ama il calcio di un amore perduto, direi vocazionale, mistico. Si legge dell’affetto per la famiglia, per gli amici e per le cose care, ma le uniche parole di vero amore sono solo per il gioco del calcio. La passione è così travolgente da sfumare i contorni della sua vita, da farla tendere soltanto verso un campo dove si può giocare con la palla. Ecco perché la Bestia non ha vinto la partita contro Flavio, perché non c’è spazio, non ci possono essere pensieri ed emozioni per lei. Tutto è riservato al calcio, che riesce a farlo vivere. 

Falzetti, una sfida oltre la malattia
Un ragazzo come tanti, Flavio Falzetti, un calciatore che lotta contro un terribile male. E culla il sogno di poter esordire in serie A. Ha raccontato la sua pesante esperienza nel libro Oltre il 90°, scritto con Francesco Caremani

La vita vira bruscamente una mattina, in bagno, davanti allo specchio. Con una ghiandola grossa come una noce, alla base del collo, impossibile da ignorare. Era il 1995. Flavio Falzetti, da Norcia, aveva 23 anni, professione: mediano del Gubbio, nel campionato interregionale. Un dilettante professionista, una carriera tra Marche e Umbria, unica puntata «all'estero», Taranto in C2. 
Sul momento, e per i quattro anni successivi, Flavio sceglie di non pensarci, con una motivazione che, a sentirla oggi, ha dell'incredibile: la paura di dover smettere di giocare a pallone.
E così autoderubrica a malanni passeggeri le febbri, i bruciori, perfino quell'altra piccola noce, stavolta spuntata sotto il braccio. Fino a quando non può più fingere, svenendo in campo durante Riccione-Monturanese, diagnosi chiara quanto terribile: linfoma di Hodgkin scleronodulare di tipo 1, basso grado di malignità ma chemioresistente.
I dodici anni da allora trascorsi, sono una lunga e penosa catena di ricoveri, bombardamenti in vena, miglioramenti, cadute, speranze e lacrime. Ma senza mai abbandonare il pallone.
«Ho fatto 44 cicli di chemioterapia, l'ultimo due mesi fa, due anni fa ero paralizzato, eppure non ho mai smesso di allenarmi e, quando ce la facevo, a giocare, almeno una decina di partite a stagione. E solo chi è passato per questo tunnel, sa quanto sia difficile anche solo pensare a queste cose, quando hai la pianta dei piedi bruciata, i tendini debolissimi, i muscoli dolenti. Ho sempre pensato ad allenare prima la testa e poi il fisico».
Non ci sono parole per raccontare un calvario. Al punto che quando Flavio ha incontrato Lance Armstrong - reduce «solo» da sei cicli di chemio - l'ha fatto rimanere a bocca aperta: «Ma come hai fatto?» è tutto ciò che è riuscito a dirgli. «Il dolore che si prova è tanto e si può affievolire, ma non cancellare, non sei attrezzato ad affrontarlo a nessuna età, ma tanto meno se passi da un campo di calcio a un ospedale in meno di 24 ore, da atleta a paziente con dentro una malattia terribile. La gente ti guarda con occhi diversi, sei una persona di serie B. Io invece ho cercato di abbattere tutti i luoghi comuni, allenandomi, facendo sport come e quando e appena potevo, cercando di fare una vita da persona normale».
Crede, con assoluta fermezza, che il suo essere stato mediano in campo l'abbia molto aiutato fuori: «Sei abituato a rincorrere e a contrastare, e così ho fatto e faccio con la malattia. Lei ti tratta male, tu la devi trattare male».
La sua storia, Flavio, l'ha raccontata bene in un libro, Oltre il 90° (edizioni Bradipolibri), scritto insieme al giornalista Francesco Caremani. Ha anche messo in piedi una squadra, ovviamente chiamata «Life» che riunisce calciatori, più o meno famosi, passati per il tunnel della malattia come Ciocci (ex Inter), Sullo (ex Messina), Vinti (ex Perugia), Garritano (ex Torino) ed altri ancora. Il tutto per cercare di dare una speranza a chi soffre di malattie oncoematologiche: «Il messaggio che deve passare è quello che una persona che ha avuto questa esperienza dolorosa, deve ricominciare da dove si era fermata. Chiudersi in sé stessi è l'inizio della sconfitta. Da questa malattia si può uscire, il cancro non è imbattibile. L'importante è che nessuno deve essere lasciato solo». 
Ad ognuno la sua parte, sport compreso. Nel Corridonia, società dell'Eccellenza marchigiana dove Flavio oggi fa il direttore sportivo, hanno messo in piedi un progetto basato sulla prevenzione, che sta dando risultati ottimi: «Ad un nostro ragazzo delle giovanili è stato riscontratao una forma tumorale ai testicoli, presa e curata in tempo, gli è stato risparmiato un mare di sofferenze e di cure, ed oggi è tornato a giocare». 
L'auspicio è che questo screening approfondito diventi obbligatorio soprattutto nello sport non professionistico, minore nella copertura dei media e nei contenuti tecnici, ma maggiore nei numeri e che fa da traino a quello professionistico: «Le società investono in tutti i settori tranne che in quello sanitario. Si spendono soldi in un attaccante o in un allenatore, ma non nel medico. Al punto che molte visite mediche vengono fatte al telefono, i certificati rilasciati senza nemmeno fare i test, un grandissimo business spesso con il trucco, di cui tutti sanno ma di cui nessuno dice. Purtroppo un elettrocardiogramma o una spirometria non servono a nulla, se un ragazzo ha una cardiopatia congenita la rilevi solo con un ecocardiogramma. Mettere un defibrillatore a bordo campo, per le emergenze, è la testimonianza di una sconfitta, significa che hai fallito l'operazione a monte, su tutto ciò che veniva prima».
Come calciatore, Flavio, ritiene di aver raccolto molto meno di quanto avrebbe potuto. E se i bar sono pieni di gente che la pensa in modo analogo, quello che gli avventori che vivono nei rimpianti non possono più sperare, è di debuttare un giorno in serie A. Sogno che Flavio sta coltivando giorno dopo giorno, ora dopo ora, convinto di farcela, neanche a dirlo. Per giocare almeno per 5 minuti nella massima serie serve il tesseramento da parte di una società e il presidente del Brescia, Corioni, sembra aver raccolto la sfida, ad eventuale salvezza ormai raggiunta. Flavio ringrazia e ragiona: «L'ideale sarebbe giocare con la società che vince lo scudetto, perché il messaggio che deve passare sia ancora più potente: io e quelli come me hanno vinto una partita, quella con la malattia, che vale almeno quanto dieci coppe del mondo. Lo sport deve riscattarsi e dare segnali di speranza a chi ha conosciuto o sta conoscendo il dramma sulla propria pelle. Il Brescia va bene lo stesso, sia chiaro». 
Corioni non dimentichi: a salvezza (o retrocessione?, ndr) avvenuta, convochi Falzetti. Ha esperienza da vendere, e non solo di calcio. di Luca Cardinalini

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