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Racconti non solo di sport
Autore Sergio Giuntini, editore Lampi di Stampa, pp. 160, prezzo €. 13,00

I compagni che tifano
In un libro dello storico Sergio Giuntini, il rapporto blasfemo e funzionale tra sport e politica. Da Gramsci e le biciclette gommate "Carlo Marx" fino alle elucubrazioni ideologiche di un ultrà milanista di sinistra

I fatti di Catania hanno messo le coscienze di ognuno di fronte a un dilemma che pare accompagnare lo sport dalle sue origini: esiste un legame tra la politica e la pratica o la passione sportiva? E se questo legame c'è, lo si deve considerare nocivo, illogico, blasfemo, oppure naturale, funzionale, positivo? Su questo tema il manifesto ha nei giorni scorsi pubblicato lettere appassionate di tifosi che rivendicavano il valore anche politico dello sport, altre di chi invece lo ripudiava, accusandolo di essere riproduttore di violenza e qualunquismo. Da sempre sport e politica dividono intellettuali e semplici appassionati, praticanti con coscienza di classe e coscienziosi praticanti di classe, tutti intenti a capire se l'amore per lo sport possa, almeno teoricamente, collimare con precetti politici forti, oppure se tutti non siano preda di un abbaglio, una di quelle incoerenze di cui è pieno il mondo della complessità e dell'ipocrisia. Eppure nessuno se la sente di negare che sport e politica abbiano avuto pericolosi sconfinamenti di campo. Infiniti sono infatti gli esempi di accadimenti sportivi trasformati in avvenimenti politici, di falli di mano interpretati come nemesi storiche, di kermesse mondiali esaltate a scopo di propaganda. Lo sport fattosi "di massa" possiede le stesse espressioni, forse in forma più caricaturale, della politica aperta alle masse, e ne è prova, negli ultimi anni, il preoccupante travisamento tra il gergo calcistico e quello politico (da quando non «si fa politica», ma «si scende in campo»).
Per non parlare del rapporto tra sport e sinistra, perché lì il terreno da impervio si fa minato. Sembra quasi che i due campi abbiano avuto scarse occasioni di incontrarsi, o, ancorché incontratisi, non si siano voluti bene. In Italia, poi, dove l'interpretazione storica è stata, un tempo, appannaggio di intellettuali di sinistra, mentre lo sport, almeno nelle sue federazioni, era dominato dalla destra, il rapporto si è fatto negli anni ancora più ingarbugliato. Ma è stato sempre così? Compagni di Squadra - Racconti non solo di sport (di Sergio Giuntini, 2006, prefazione di Fausto Bertinotti) descrive, tra realtà storica e immaginazione, il difficile rapporto intercorso, durante tutto il Novecento, tra sport e sinistra, sport e politica, sport e ideologia. Sono dieci piccoli racconti in cui Giuntini, il massimo storico dello sport in Italia, si concede alla narrativa con il gusto per i particolari e per i tempi della storia (così cari a Braudel), dando un esemplare assaggio di come si possa raccontare la Storia con le storie. Storie che ripercorrono il Novecento quasi decade per decade, rivoltandolo nelle sue contraddizioni e infinite elucubrazioni ideologiche, storie nelle quali, subdolo e mai palesato, si cela sempre il quesito (per molti di noi straziante): «Ma che c'azzecca lo sport con la sinistra?». 
Partiamo dall'ultimo racconto del libro che alla luce degli avvenimenti di Catania risulta essere il più attuale. L'ultimo barlume del Novecento, infatti, Giuntini lo dedica ad Alberto, un tifoso milanista delle Brigate Rossonere convinto che il suo tifo per la squadra di Berlusconi possa essere coerente con il suo essere di sinistra. E per suffragare questa tesi tira in ballo Tony Negri, che «negli anni Settanta stava in curva sud a tifare con noi», e «Tifosi rossoneri, tifosi milanisti», la canzone delle Brigate traslitterazione dei Morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei. Un dibattito di soli dieci anni fa che ora pare non toccare più di tanto le coscienze di questo gruppo ultrà. Tanto che alcuni militanti delle Brigate Rossonere si possono esibire in raid stile squadraccia ai danni di un esponente dei Centri Sociali milanese, il Cox 18. Il quale militante, si viene poi a sapere, non fa parte delle Brigate (come vorrebbe logica, visto che questo gruppo ha origini e nome di sinistra), ma aderisce ai Commandos Tigre, noto gruppo ultrà milanista di estrema destra (alla faccia degli scrupoli ideologici). Non possiamo sapere che ne avrebbe detto Alberto - il tifoso rossonero e di sinistra inventato da Giuntini - di questi sconfinamenti di campo. Probabilmente ci avrebbe dedicato infinite discussioni.
Tutti i racconti di Giuntini si basano su questo dibattito tra pensare e agire lo sport. Dibattito già in voga agli inizi del Novecento, allorché l'organo dei giovani socialisti Avanguardia poneva al lettore una serie di domande sull'atteggiamento da tenere nei confronti dello sport e che si chiudeva con il referendum (andato avanti per cinque numeri): «Ritenete utile che su Avanguardia si pubblichi una rivista sullo sport?». Si aprì il dibattito (siamo nel 1910) tra antisportismo e sportismo. Poi la questione s'allargò all'Avanti!, dove ad un positivo Ivanoe Bonomi (che ricordava «(...) i contadini del ferrarese del bolognese del ravennate, che pur leggendo la Gazzetta dello Sport sono dei veri rivoluzionari, perché con le loro lotte hanno saputo conquistarsi un tenore di vita alto, tanto da potersi appassionare allo sport») rispondeva Angelica Balabanoff, con un lapidario «la cura dello sport allontana i giovani dalle organizzazioni». E tante grazie. È il periodo d'oro dell'antisportismo socialista, che Giuntini inserisce nel racconto dei Ciclisti Rossi di Turati, gente che con la Bianchi prima e con le "Ciclo Avanti!" gommate "Carlo Marx" poi faceva corse agonistiche e propaganda per il partito. Poi l'antisportismo decadde ma il dibattito no, come spiega un'appendice al libro (dedicata ad alcuni interventi del periodo 1918-1924, dove un accorato Antonio Gramsci spiegava: «Gli italiani amano poco lo sport; gli italiani allo sport preferiscono lo scopone. All'aria aperta preferiscono la clausura in una bettola-caffè, al movimento la quiete intorno al tavolo»). Infine arriva il fascismo. E qui il racconto di Giuntini è dedicato all'Apef, l'Associazione Proletaria di Educazione Fisica (la società sportiva aperta nel 1920 per «l'educazione fisica proletaria») nella cui sede si leggeva Sport e proletariato, un settimanale del '23 che, come dice il protagonista del racconto di Giuntini, «se i fascisti non l'avessero chiuso in fretta e furia, chissà, forse, avrebbe potuto convincerli, i compagni, che si poteva esser socialisti, comunisti, anarchici e, insieme, fare del calcio, dell'atletica leggera, correre in bicicletta, andare allo stadio a tifare Milan oppure Ambrosiana». L'Apef ebbe l'ardire, davvero beffardo, di vincere addirittura una medaglia d'oro alle Olimpiadi di Berlino, quelle di Hitler e di un'asfittica rappresentanza mussoliniana. Che infatti, invece del proletario Beppe Tonani, vincitore nel sollevamento pesi con la maglia dell'Apef, preferì celebrare il senz'altro più "italianamente corretto" Ugo Frigerio, trionfatore nella marcia. Ma a quell'anno terribile, il libro di Giuntini dedica un altro bellissimo racconto. È la storia della Olimpiade Popular, l'evento organizzato nella Catalogna liberata con lo scopo di boicottare quella nazista di Berlino e alla quale andò una ventina di atleti italiani antagonisti. Doveva essere inaugurata il 19 luglio, al Montjuich, ma quel giorno arrivarono le falangi franchiste e gli atleti si videro costretti ad abbandonare i giavellotti, le racchette e i palloni per imbracciare moschetti e fucili. Altre storie sono dedicate a D'Inzeo, il vincitore a Roma di una medaglia d'oro nell'equitazione, che viene riconosciuto da un tifoso come il capitano che aveva lanciato la cavalleria contro i compagni a Porta San Paolo. Un riconoscimento che gli vale una presa immediata di coscienza sul valore di quelle Olimpiadi.
Dunque, un secolo lungo e pervaso di elucubrazioni ideologico-sportive il Novecento. Elucubrazioni che Sergio Giuntini snocciola attraverso dieci piccoli esempi in cui i protagonisti cercano di far quadrare la teoria (politica) con la pratica (sportiva), la propria passione per il calcio ("sovrastruttura del capitalismo") e per qualche campione ("merce reificata") con i propri scrupoli e ideali. Davvero un'altra epoca, il Novecento. Oggi di simili dibattiti non si occupa più nessuno. Finito il Novecento, si volta pagina. Basta elucubrazioni. Ma che nostalgia. di Matteo Lunardini

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