La partita dell'addio
Matthias Sindelar, il campione che non si piegò a Hitler
Autore: Nello Governato, Editore Mondadori, pp. 211, prezzo
€. 16,50
I piedi di Mozart che sfidarono Hitler
In un libro di Nello Governato, la tragica storia di Matthias Sindelar, il centravanti ebreo dell'Austria Vienna che rifiutò di vestire la maglia con la croce uncinata del Reich e fu assassinato dalla Gestapo insieme a Camilla Castagnola
Il luogo di risoluzione della storia coincide con un gelido referto obitoriale:
«Precisamente alle 11 del 23 gennaio 1939, i corpi senza vita di Matthias Sindelar e Camilla Castagnola vennero trovati distesi sul letto nel loro appartamento dalla polizia segreta tedesca. Nessuno seppe mai perché fu la Gestapo a scoprire i corpi. Nessuno seppe mai com'erano morti Matthias e Camilla. Non ci fu autopsia, e se ci fu un'inchiesta, cosa di cui è lecito dubitare, non ne venne mai trovata traccia nemmeno alla fine della guerra. Il caso venne chiuso in fretta con la comunicazione ufficiale che parlava di disgrazia. Matthias e Camilla erano morti per il cattivo funzionamento della stufa a gas». Invece è molto probabile che, a meno di un anno dall'Anschluss, Sindelar, uno dei più grandi giocatori di ogni tempo, centravanti dei biancoviola dell'Austria Vienna, alfiere del leggendario Wunderteam allenato da Hugo Meisl, lui che probabilmente era ebreo e sicuramente antinazista, sia stato eliminato insieme con la sua compagna, una ragazza milanese, ebrea anche lei, che insegnava italiano in un liceo di Vienna e l'aveva conosciuto nella sua città ai Mondiali del '34, in ospedale, dopo che Luisito Monti, un oriundo argentino dai modi efferati, lo aveva estromesso nel corso della semifinale contro l'Italia, il cui arbitraggio tutti reputarono uno scandalo, cercando di spezzargli un ginocchio.
Tra Camilla e Matthias l'amore si sarebbe presto trasformato in comunione intellettuale e affettiva, anzi nel connubio di un identico e tragico destino. Ne insegue la vicenda
La partita dell'addio. Matthias Sindelar, il campione che non si piegò a Hitler (Mondadori, «Omnibus», pp. 211, € 16.50), un libro toccante, a mezzo fra il romanzo e il reportage, non solo per quanto racconta ma per il tratto delicato, e insieme appassionato, con cui sa raccontarlo. (E lo firma un autore, Nello Governato, ex calciatore ed ex dirigente, che, senza avere avuto in sorte la classe di Sindelar, biondo come lui, in campo sapeva comunque rammentarne il garbo e il tratto gentile: mezzodestro di classico stile, giocò fra l'altro nella Lazio anni sessanta dei Maraschi, Morrone, Landoni e Zanetti). Di Sindelar restano oggi la tomba, tuttora luogo di pellegrinaggio al cimitero monumentale di Vienna, e rari filmati di repertorio che ne presentano dal vivo l'armonia e l'eleganza o meglio una naturalezza che fanno di lui l'intermedio ideale tra Alfredo Di Stefano e Marco Van Basten. Longilineo, magro, calciatore perfettamente ambidestro, egli nasce a Kozlau, in Moravia, il 10 febbraio del 1903; adolescente, perde il padre caduto sull'Isonzo e debutta nell'Austria di Vienna collezionando campionati, vittorie nella Mitropa Cup e in nazionale. E' un ragazzo semplice ma molto riflessivo, adorato dai compagni, venerato da milioni di tifosi: ha un pupillo, il giovanissimo terzino Sesta, e a sua volta è il beniamino di Schwarz, l'ebreo cosmopolita che presiede il suo club.
L'insperato idillio con Camilla ha purtroppo i giorni contati: in contemporanea con l'Anschluss, lei viene sospesa dalla scuola e subisce gli insulti antisemiti dei suoi stessi studenti (qualcosa di inatteso e di stupefacente, tale da evocare le pagine di Gioventù senza dio, crudo fotogramma dell'avvento del nazismo a firma di Odon von Horwath) mentre a lui viene chiesto l'incredibile, cioè svestire la maglia dell'Austria per indossare quella della Germania. La partita della cosiddetta riconciliazione si gioca al Prater il 3 aprile del '38: l'Austria vince per due a zero e Sindelar firma il secondo gol con uno splendido destro ad effetto, da fuori; nel corso della cerimonia finale è l'unico calciatore insieme con Sesta a non alzare il braccio nel saluto nazista. Grande è lo scandalo, che infatti viene preso come una dichiarazione di guerra al nazismo. Per lui e Camilla si tratta dell'inizio della fine. Il nuovo regime ne conosce l'enorme popolarità, l'ineffabile dottor Goebbels lo blandisce, di fatto ricattandolo, in un celebre discorso alla radio: in altri termini, i gerarchi sanno benissimo che agli imminenti Mondiali di Parigi in assenza di Sindelar la Germania allenata da Sepp Herberger può già dirsi spacciata. Perciò il regime controlla la coppia, la irretisce in un gioco di spie, insomma spera fino all'ultimo che il grande Sindelar, detto
"Cartavelina" ma anche "I piedi di Mozart", si decida a vestire la maglia con la croce uncinata del Reich
"millenario". Grazie alla presenza soccorrevole e complice di Camilla (la cui figura di donna fiera e indomita Governato reinventa con grande efficacia) Matthias tiene duro mentre tutto precipita: Sesta viene arrestato, Schwarz fugge a Zurigo, i negozi degli ebrei saccheggiati nella famosa Notte dei Cristalli, mentre si moltiplicano le terribili attenzioni della Gestapo e il telefono di casa registra anonimi messaggi di morte.
Le due ultime apparizioni in pubblico di Sindelar sono, agli occhi dei nazisti, altrettante provocazioni. In giugno Matthias, regolarmente pedinato, va a Parigi per assistere dalla tribuna alla vittoria della fascistissima Italia di Meazza, di Piola e del suo amico Monzeglio, per 4 a 2, sull'Ungheria di Giorgio Sarosi: sui giornali di tutto il mondo esce la foto del ragazzo di trentacinque anni il quale, rifiutando la maglia della Germania, ha potuto permettere che la settimana prima i modesti svizzeri guidati da Rappan, l'inventore del catenaccio, sbranassero senza mercè i fulgidi ariani in maglia bianca selezionati da Herberger. Col solito ed ambiguo beneplacito della polizia politica, Sindelar gioca la sua ultima partita, una sorta di finale interregionale, il giorno di Santo Stefano del medesimo anno a Berlino contro l'Herta; lo stadio, stracolmo, è a poche centinaia di metri dalla Cancelleria in cui dimora il figlio prediletto di Satana, fa freddo, nevischia, e tuttavia
"Cartavelina" sigla alla propria maniera (di slancio, con una levità senza pari) il gol del 2 a 2 che all'Austria Vienna garantisce il primato. Appena di ritorno a casa, l'ultimo mese di vita che rimane a Matthias e Camilla ha quasi cadenza fatale: la Gestapo sembra allentare la presa e volerli finalmente lasciare in pace ma fatto sta che è proprio la Gestapo, nelle circostanze di cui sopra, a
"constatarne" il decesso e a stilare il relativo referto.
I quarantamila viennesi che parteciparono commossi al funerale di Matthias e Camilla non credettero affatto a una disgrazia e, meno che mai, a un suicidio. Così Governato immagina alcune fra le ultime parole del campione:
« - Intendeva dire che sono ebreo. Mia madre non me ne ha mai parlato. Erano altri i problemi. Camilla avrebbe voluto chiedergli se per lui cambiava qualcosa. Non ne ebbe il tempo. Allora per lei le parole di Matthias furono come un fulmine che ti attraversa scaldandoti senza bruciarti: - Ora siamo tutti ebrei». Qualcosa di simile ebbe a dire una volta Bernard Malamud, l'autore di The assistant, quando disse che tutti gli uomini comuni sono ebrei: voleva dire, ovviamente, che tutti prima o poi subiscono persecuzione e che, senza volerlo, si trovano a lottare al prezzo della vita.
di Massimo Raffaeli
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