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Sport da praticare quando aboliranno il calcio
Autore Andrea De Benedetti, editore Nero su bianco, prezzo 10,00 euro

"Ogni bel gioco", sapide avventure olimpiche

E' raro che una serie di pezzi giornalistici riescano, ex post, a diventare un libro, eppure è proprio quello che è avvenuto ad Ogni bel gioco. Sport da praticare quando aboliranno il calcio (prefazione di Maurizio Crosetti, Nerosubianco, Cuneo, pp.70, € 10.00), aureo volumetto che Andrea De Benedetti ha messo insieme integrando i suoi commenti alla recente Olimpiade torinese già apparsi sul manifesto. E' una serie ordinata di digressioni, anzi di diversioni, le quali toccano le zone esotiche ovvero arcaiche dello sport ogni volta alla maniera di microracconti e di apologhi, dallo slittino allo snowbord, dal biathlon al nuoto sincronizzato, fino ai cosiddetti sport estremi e passando persino per l'antico gioco della lippa. Crosetti, introducendolo, ne segnala opportunamente l'attitudine lenticolare, minuta («Questa è la storia di un occhio curioso, che ha imparato a guardare come se fosse la prima volta») e sottolinea la fisionomia originale di un osservatore che peraltro si è educato e vive nella medesima città, vertiginosamente geometrica, di Marcovaldo e del Signor Palomar; tuttavia, rispetto a quello dei portavoce di Italo Calvino, l'occhio di De Benedetti ha un moto diverso dalla lentezza ruminante, di torpido metabolismo, da veri e propri eroi del disincanto, e infatti oppone loro una ritmica svelta e volentieri spiazzante. Sintomo, questo, di una perdurante e necessaria passione. Allo stesso modo la sua scrittura va veloce, briosa, senza mai compiacersi, comunque, delle misture citazioniste e postmoderniste con cui oggi, senza volerlo e nemmeno saperlo, tanti rinverdiscono per altra via la prosa d'arte fascistissima degli anni trenta. Insomma non si tratta del solito e astuto blob, montato allo scopo di sedurre e di stupire, ma appunto di una scrittura ben calibrata ed autoregolata. Ciò per dire anche che lo sguardo analitico (interpretativo, e dunque critico) non viene mai meno a De Benedetti, neppure quando il tratto ludico della pagina sembra sovresposto e la tentazione manieristica più incombente: e qui si ritrovano semmai alcune tracce di maestri italiani che di calcio hanno scritto con sovrana leggerezza e insieme con acre ironia, come Luciano Bianciardi, Oreste del Buono e il mai abbastanza rammentato Beppe Viola. Ecco, ad esempio, come De Benedetti riesce a definire quella vera schifezza che è il wrestling senza mai dimenticare, però, che tale schifezza (si tratta infine di uno sport, di uno spettacolo, di una stolta simulazione?) è invece la forma più paradigmatica, qui e ora, del nostro percepire ed esperire: «C'è tutto nel wrestling: i fumetti e la musica, la tivù e i giochi di ruolo, lo sport e la filosofia. Un codice composito e sovraccarico fin dai nomi dei personaggi (...) che evocano un mondo dove si mescolano il pugilato, i Rolling Stones, i film di Schwarzenegger, i supereroi della Marvel, il circo. Postmoderno, kitsch, anzi decisamente trash, il wrestling frulla insieme tutta la cultura pop e la sintetizza in un genere mutante, costretto a rinunciare al suo status di disciplina sportiva per poter offrire tutto il resto». Ed ecco l'incipit del pezzo dedicato al bob: «Da fuori è un guscio. Un guscio lucido massiccio e infrangibile. Dentro, invece, è un ventre confortevole e protetto. L'utero che ci ha ospitati per nove mesi e in cui, secondo Freud e Woody Allen, aneliamo inconsciamente ritornare dal momento stesso in cui ne siamo stati espulsi». Difficile dirlo con maggiore pregnanza, ed eleganza. di Massimo Raffaeli

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