Torna all'elenco dei libriIl ventre di Maradona 
Autore Audisio Emanuela, editore Mondadori, prezzo 15,00 euro, pp. 225

I corpi dei campioni spesso si somigliano: da un secolo all'altro, da un regime all'altro, da una rivoluzione all'altra. I record si fanno con i muscoli della volontà, le imprese con il cuore resistente. Lo sport, sempre e comunque, denuda: rivela segni e ferite, armonie e sconcezze, bellezza e imperfezione.
Dai capelli lunghi di George Best al cerchietto di David Beckham cambiano l'estetica, la moda, l'immagine. E il mondo attorno. Il corpo passa a un altro proprietario: prima c'era il pubblico, oggi c'è il mercato. Ma una cosa non cambia: ai campioni si chiede di essere unici e allo stesso tempo universali, di saper interpretare voglie e tensioni della società, di funzionare come modello di vita e di successo. Quando domandano al grande Emil Zatopek di eliminare quel terribile ghigno, quella smorfia di dolore sul viso durante le gare, risponde: «Non ho abbastanza talento per correre e sorridere nello stesso momento». Lo sport è fisicità, faccia bella e brutta, carne.
II corpo dei campioni comunica grandezze e tragedie. Lo sport non sempre riesce a sequestrare i corpi, a volte li prende in prestito e li piega a uno scopo. Li trasforma in una filosofia, in una volontà politica, in un pensiero che suda e soffre. Come è stato nel caso di Primo Camera per l'Italia fascista, di Heidi Krieger per il socialismo di stato della Germania dell'Est, di George Best per il Sessantotto, di David Beckham per l'industria del glamour.
Emanuela Audisio, con una capacità di raccontare il dolore e la felicità dei grandi campioni che appartiene solo a lei, ci narra del ventre di Maradona, ridotto di dieci centimetri da un intervento chirurgico per permettere al giocatore argentino di dimagrire, ma anche dell'allegria di Valentino Rossi, della rabbia di Jimmy Connors, delle lacrime di Ayrton Senna e della fede di Kakà. E ancora: degli errori di Liston, della verità di Bonatti, della regolarità di Chris Evert e della debolezza di Mitri. E infine del sorriso di Ronaldinho, della caviglia di Totti, del cuore di Jacopucci, dei piedi di Bekele, dei polmoni di Bottecchia, del cervello di Thuram, delle mani di Braddock e delle gambe di Jabbar.
Perchè nei corpi delle stelle dello sport tutto accade e tutto ritorna: imprese e fallimenti, gioie e rancori. Su di loro si è depositato il peso della gloria e il ricordo della grandezza. Forse effimera, eppure magica.


Un corpo ai limiti della materialità
Nel libro "Il ventre di Maradona", la giornalista Emanuela Audisio spreme l'essenza di tanti campioni di varie discipline, da Ayrton Senna a Jack Johnson. Atleti che vanno dall'ordine comune all'olimpo degli eroi, attraverso sofferenze, sacrifici, sforzi

Tra la visuale sul singolo, al microscopio, della psicologia e quella macro della sociologia, Emanuela Audisio preferisce la prima nel suo Il ventre di Maradona (Mondadori pp. 225, euro 15), collezione di figure auliche dello sport. Storie di proletari senza rivoluzione come Al "Panama" Brown e John "Jack" Johnson, che nello sport fecero la loro rivoluzione, pugili e calciatori, alpinisti e piloti, che hanno prestato, e in molti casi dissipato, il corpo allo sport per diventare miti, icone, monumenti nazionali come Paavo Nurmi. 
Sfuma la stratificazione sociale - Kakà è atipico fra i calciatori brasiliani venuti dalla favela, borghese di buona famiglia compito come un chierichetto - e si schiaccia la Storia lungo le sue epoche in virtù di una focale che stringe sui protagonisti, li vivisezione con meticolosa osservazione che ne rivela vertigini e bassezze, fragilità e destini, stordimenti e perdizioni, sconcezze proprie e altrui, straordinarie doti fisiche sospinte dai più diversi background psicologici. Con certosino metodo filologico, la Audisio scava biografie di campioni dello sport cesellandole con la sua capacità di distillarne sofferenze e dolori. Ricostruisce cronache in retrospettiva, affinandole di un pathos che ne restituisce il dramma, scandito come in sequenze cinematografiche: sceneggia la vita rocambolesca di Al Brown, pugile panamense tra gli anni '20 e '30, eroe nazionale, journeyman per soldi e necessità, bohemien, amico di Cocteau e di Coco Chanel. Dai suoi campioni spreme l'essenza. Ne escono ritratti che sono l'opposto di agiografie, nei quali si leggono vizi, imperfezioni e ferite, anamnesi di figure fuori e sopra la Storia. Densi di antropologia fisica: perché lo sport, visto dietro la lente di ingrandimento de "Il ventre di Maradona", è fisicità, muscoli e forza, nervi e valicamento del limite, aggressione al mondo e ai suoi elementi mediante la materia della propria carne (l'ossessione del dominio dell'aria di Patrick de Gayardon, che ne morirà; quella dell'apneista Pipín per gli abissi che costerà la vita a sua moglie), fino all'abuso del corpo e all'estremo sacrificio. 
Metafisica attraverso il corpo, suo valore e funzione che trascendono l'umanità dell'atleta dall'ordine comune all'olimpo degli Eroi. Come nel mondo classico. Sculture di Fidia issate sul Partenone. Ecco collocato, in questa galleria di protagonisti, un attore; corpo sublimato in mito irrevocabile, figura eletta postuma a campione di tutte le trasgressioni nel cinema come nello sport come nella vita: James Dean corridore si immola con la sua nuova Porsche sulle ali della velocità del vivere, benché una clausola del contratto che lo scritturava al terzo film Il Gigante gli proibisse di partecipare a gare automobilistiche. Come in una tauromachia di sé stesso (e Dean prima di morire aveva sul comodino Morte nel pomeriggio di Hemingway e la lirica A las cinco de la tarde di Garcia Lorca dedicata al torero Sánchez Mejías), il sacrificio esorcizza la morte al culmine della gloria raggiunta con La valle dell'Eden e Gioventù bruciata. 
Lo sport dà e toglie. Può condurre al cielo degli allori, della fama, del successo; ma può precipitare agli inferi dell'oblio e dell'autodistruzione. Dalle stelle alle stalle, come Tiberio Mitri, e anche alla tomba. E se nella scomparsa di Dean e Senna la fine costruisce il culmine di un Epos, in quella di Alem Techale, campionessa juniores dei 1500 collassata in allenamento col fidanzato Kenesise Bekele, può lasciare vuoti incolmabili da titoli e medaglie. Vuoti che però diventano moventi per correre e nuotare nell'acqua della vita e dello sport sua metafora ma anche elegia, secondo la Audisio, il bello dello sport: «come gli squali dobbiamo continuare a nuotare». Anche oltre il senso di colpa: il corpo-strumento spinto a sfidare limiti, vette e abissi - il mondo esteriore - per ricomporre quello interiore sconvolto dal Chaos della tragedia. Capire perché a -170 il mare non si prende la vita di Francisco "Pipín" Ferreras allo stesso modo che si è preso quella della moglie Audrey Mestre in una vicenda-fotocopia del film di Luc Besson The Big Blue, ispirato al duello tra Enzo Maiorca e Jacques Mayol, che aveva perso il padre palombaro e dopo aver scandagliato in fondo alle acque del suo inconscio la frontiera tra Bios e Thanatos aveva finito per appendersi a una trave in casa sua a 56 anni. O riportare più volte la propria coscienza sulle pareti del Nanga Parbat, sapendo sopportare 35 anni di sospetti prima che la montagna restituisca, assieme al corpo del fratello Günther, la verità che Reinhold Messner quel giorno non lo aveva abbandonato. 
«La vita è insensata - scrive Audisio - lo sport anche, ma ha una sua semplice onestà: ti fa fare cose che non credevi più di saper fare. Ricordi, riprovi, riesci». Citius, altius, fortius. Trascendere il finito. Eppure lo sport è anche il disvalore denunciato da Emanuela Audisio negli orrori del doping di Stato diretto dallo Sportführer della Ddr, Manfred Ewald. Per Heidi Krieger lo sport non ha nulla di bello: oggi Heidi è Andreas, indotto alla transessualità per via farmacologica, un corpo sequestrato alla ragion di Stato e violentato al pari di quello di centinaia di bambine-atlete la cui salute è stata devastata da steroidi e testosterone.
Corpi di campioni espropriati dallo Stato, o dal mercato. I pugili guidano la fila. Soldi che corrono mentre si cerca il riscatto da una vita impossibile, Sonny Liston bruto per brutalità ricevuta di lumpen e razzismo. Aggressori per esser stati aggrediti, come Mike Tyson al quale la Audisio dedica in vocativo una lettera d'addio alla vista dell'ex-fiera del ring stesa a gambe aperte dopo il ko subìto lo scorso anno da Kevin McBride. Riscatti espropriati e riscatti fatali: Jacopucci pugile comunista getta il cuore oltre la vita in un combattimento di troppo per dimostrare che aveva fegato; la sua morte nel '78 varrà almeno una normativa più sicura per la boxe in Italia. 
Campione sul campo e di dissipazione di sé stesso: chi più di George Best? Con lui se ne va un paradigma, un popolo intero assiste alle esequie, con l'idolo, dello spirito stesso del '68. E se allora c'era Gianfranco Zigoni hippy del gol, oggi ci sono Totti con la sua caviglia nazionale, Ibrahimovic, Thuram e la premiata ditta Beckham-Victoria Adams. L'addome ridotto chirurgicamente a Maradona appare un simbolo di crisi da superproduzione. E il calcio ha i suoi riscatti riusciti: si leggono nel volto gioviale di Ronaldinho rimasto indenne ai traumi e alla povertà e in quello di Cristiano Lucarelli figlio di camallo e bandiera del popolo di sinistra. Aleida Guevara, la figlia del Che, a Livorno chiede di conoscerlo, sarebbe piaciuto a mio padre - dice - che aveva un passato da portiere: «sì - scrive la Audisio - ma lui magari si sarebbe vergognato di fargli gol». di Marco Perisse

La gloria dello sport passa spesso attraverso il corpo dei campioni: attraverso la forza e la sofferenza, la leggerezza o l'irriducibile peso. Il corpo di Maradona, ingrassato man mano che il suo declino sportivo e personale proseguiva, è un simbolo di come per la carne degli astri sportivi passi tutto il successo, lo spettacolo e la gloria, ma anche la corruzione e la rovina di un'epoca, di un paese o di un popolo. Partendo dalla storia del campione argentino l'autrice racconta il mondo dello sport da una prospettiva nuova. Dal corpo di Cannavaro, che per scherzo si lascia riprendere mentre un medico gli inietta medicinali sospetti, a quello di Valentino Rossi, leggero e flessuoso, veloce e invincibile.

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