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L'Inter, il Subcomandante Marcos e i misteri del 5 maggio
Autore Bartolozzi Bruno, editore Baldini Castoldi Dalai, prezzo 16,50 euro

«L'Inter è la più grande, la più adorata, la meno vincente delle squadre che hanno contribuito a scrivere la storia del calcio del pianeta. La mas digna, secondo il subcomandante insurgente Marcos, leader dei ribelli indigeni». Bartolozzi, ex team manager dell'Inter e profondo conoscitore dei segreti nerazzurri, racconta una storia a due marce, meravigliosa e imbarazzante al tempo stesso. Quella di una società sportiva generosa, del suo presidente filantropo e di uno strano sottobosco resistente. Quella di un popolo fiero e coraggioso, della sua battaglia per la sopravvivenza e dei sogni del suo condottiero.

Una favola di dignità
In un bel libro la storia della strana amicizia tra l'Inter e gli zapatisti

Forse La mas digna - L'Inter, il Subcomandante Marcos e i misteri del 5 maggio, il libro appena scritto da Bruno Bartolozzi, andrebbe letto senza conoscere l'identità dei protagonisti, come se non fosse il racconto di un team manager di una famosa squadra di calcio ma un romanzo epistolare i cui protagonisti sono due popoli lontani e differenti, a pelle inconciliabili: gli indio insurgenti del Chiapas - in rappresentanza di tutta la moltitudine umana in senso rivoluzionario - e il popolo dell'Inter - i più sfortunati e uccellati tifosi di una squadra di calcio. O forse no. Perché quel che stupisce di questo libro - il cui scopo è far luce sul rapporto che dal 2004 si è instaurato tra il subcomandante Marcos e la Beneamata - è che al contrario di quel che si pensi, non tutto intorno al calcio si trasforma giocoforza in spettacolo, non tutto è reclamizzato e riportato dalle cronache, ma che c'è ancora qualcosa che sfugge ai meccanismi della visibilità e dell'industria. Perché è proprio questo meccanismo che trasforma i giocatori in vitelloni edonisti e le squadre in accolite votate ai sotterfugi e al profitto. Non il contrario. Non deve dunque stupire che sia proprio grazie all'idea di un "uomo da copertina" che l'Inter si è meritata, nientemeno che dal Subcomandante in persona, l'epiteto di "mas digna", la squadra più degna.
Il tutto comincia il giorno in cui capitan Zanetti, durante un ritiro nel 2004, legge su internet che nel Chiapas alcuni indigeni delle basi d'appoggio zapatiste sono stati colpiti da militanti del PRD (il partito al governo) con pietre, petardi e armi da fuoco. Stavano rientrando da una manifestazione di sostegno ai loro fratelli di Zinacantàn, privati dell'acqua. Non è la prima volta che capitano simili soprusi. Zanetti si chiede: «Dov'è Zinacantàn?». Il racconto di Bartolozzi comincia qui. Ed è un racconto di presa di coscienza. Alcuni giocatori, tra una partita a biliardino e una telefonata, si mettono intorno a internet. E s'informano. Nasce la necessità di «fare qualcosa», di comunicare un messaggio di vicinanza. Per prima cosa decidono di inviare in Chiapas i soldi delle multe che la società infligge ai giocatori indisciplinati. Quando il nigeriano Martins giunge tardi a un allenamento, l'allenatore Zaccheroni gli fa notare che lui è arrivato la mattina presto e che dovrebbero farlo tutti. La risposta del calciatore, «ma io sono un ragazzo, tu hai 60 anni, la mattina ti svegli prima» (Zaccheroni non aveva ancora cinquant'anni) si trasforma così in un pezzo di acquedotto di Zinacantàn. E nell'inizio dei rapporti d'amicizia tra gli zapatisti e gli interisti. Rapporti che culminano nella sfida lanciata da Marcos con l'usuale missiva in forma floreal-fiabesca: «oltre a salutarvi e a ringraziarvi vi scrivo per sfidarvi formalmente a una partita di calcio fra la vostra squadra e le selezione dell'EZLN. Visto l'affetto che proviamo per voi siamo disposti a non riempirvi di gol e a battervi solo per una differenza reti che non sia esagerata, affinché la vostra nobile tifoseria non vi abbandoni». 
Da quel giorno la vita del team manager cambia. Incominciano i viaggi in Messico, gli accordi con le giunte del Buon Governo, l'invio di aiuti. Una "staffetta" zapatista, Margarita, è ospitata alla Pinetina. Il tutto in gran segreto. La stampa, infatti, non deve sapere quel che accade. Moratti si appassiona alla vicenda, si addolora per le notizie che provengono dal Chiapas e che parlano di continue vessazioni. Si scrivono lettere. Si ricevono risposte. Intanto, però, c'è un campionato da giocare, partite da preparare. Il lavoro del team manager è a stretto contatto con i giocatori. Ragazzi normali e ben disposti, non tutti menefreghisti. Bartolozzi descrive con dovizia di particolari. Come la breve reggenza di Zaccheroni, buon emiliano e allenatore preparato. Come la sua epurazione, precipitosa, a favore di Mancini. Il quale decide il cambio del team manager. E Bartolozzi si ritrova solo col suo Chiapas. Troverà, in cambio, la solidarietà di tutti quelli che amano il calcio e lo utilizzano come arma di diffusione di solidarietà e reciproca conoscenza.
Nella descrizione parallela tra la vita degli zapatisti, la loro forma di governo democratica e consensuale che viaggio dopo viaggio Bartolozzi comincia a conoscere (riportata anche nella forma geografica, con cartine e itinerari) e la vita della squadra milionaria, che si appassiona alla questione dell'acqua zapatista, ma che deve vedersela con nemici e avversari diversi, il libro è davvero unico nel panorama della letteratura pallonara (solitamente asfittica e partigiana). Probabilmente se il tentativo, infruttuoso, di non divulgare la notizia della «sfida del secolo» fosse andato in porto, questo libro non sarebbe uscito e noi non avremmo nemmeno conosciuto la risposta che Moratti manda al governo messicano che proponeva una partita a tre con la nazionale: «abbiamo già preso accordi con le giunte zapatiste. Solo a loro spetta una simile decisione». Non avremmo letto le esilaranti lettere inviate da Marcos, le sue fiabe sull'Inter. E non avremmo conosciuto alcuni retroscena della "tragedia" del 5 maggio, quando l'Inter, con Bartolozzi in panchina al fianco di Cuper, perse uno scudetto già vinto e Moratti sostenne che il migliore in campo era Recoba. Una tragedia che senz'altro scolorisce di fronte ai problemi di altri popoli. E che solo in parte è risarcita dallo scudetto che l'altro ieri l'Inter ha mostrato, per la prima volta dopo 17 anni, sulle proprie maglie. Aspettando che quelle maglie, un giorno, sfidino davvero i rappresentanti dell'EZLN. di Matteo Lunardini

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