Buon sangue non mente
Il processo alla Juventus raccontato dal "grande nemico"
di Giuseppe D’Onofrio, editrice Minimum Fax,
pp. 396, prezzo: €. 15,00
Il processo alla Juventus in presa diretta. La vicenda giudiziaria che ha sconvolto il calcio italiano raccontata dall’ematologo Giuseppe D’Onofrio, il perito incaricato di esaminare i campioni di sangue dei calciatori bianconeri e il cui lavoro risultò determinante per mettere alle corde la squadra più blasonata d’Italia. Partendo dalle esternazioni di Zeman che aprirono il caso nel 1998, Buon sangue non mente ripercorre dall’interno una lunghissima stagione di veleni e colpi di scena, dai trionfi juventini degli anni Novanta fino alla sentenza di condanna per frode sportiva del 2004 (poi ribaltata in appello) che da molti venne letta come una tragica presa d’atto sullo stato di salute del nostro sport nazionale. Ma questo libro non si limita alla cronaca dei fatti: è anche la storia del suo autore, un uomo che, da solo, si è trovato suo malgrado a sfidare i piani alti del potere calcistico; e di un processo svoltosi in un clima rovente, che ha visto sfilare in aula star del calcio giocato e satrapi della dirigenza juventina (Vialli e Del Piero, Zidane e Ravanelli, Giraudo e il dottor Agricola). Tra reticenze, deposizioni imbarazzate, dibattimenti ai limiti dell’assurdo, aggressioni, minacce, gogne mediatiche, intimidazioni, Buon sangue non mente esplora con coraggio e passione civile il lato oscuro di un mondo che si vorrebbe scintillante e senza macchie.
Il perito del caso Juventus: dalla difesa all'attacco
Roma. Antonio Giraudo, amministratore delegato della Juventus, dopo la sentenza di appello disse ai giornalisti:
«Ci prenderemo le nostre rivincite. Adesso dovrete stare attenti a quello che avete scritto e pure a quello che
scriverete». Poi aggiunse, a proposito del perito del tribunale:
«Ha dimostrato, con le dichiarazioni sui giornali e con i suoi interventi, una faziosità di cui dovrebbe vergognarsi. Adesso che la giustizia ha trionfato saremo durissimi, per garantire che non ci siano più questi personaggi squalificanti, gente che vive di cose
fasulle». Non l'ha ascoltato, Giuseppe d'Onofrio, ematologo, il perito super partes nel processo. Su quella vicenda, anzi, ha scritto un libro in uscita nei prossimi giorni: Buon sangue non mente, cronaca personale di una storia complicata in cui si alternano figure di ogni genere. Veleni, sospetti, colpi di scena e l'esperienza solitaria di uno studioso catapultato in un mondo estraneo.
E' il 28 maggio 2004. Nell'aula 43 del Tribunale di Torino l'ematologo legge le sue conclusioni: le variazioni dei valori di emoglobina certificate in alcuni giocatori bianconeri tra il 1995 e il 1998 lasciano supporre un intervento farmacologico, come l'uso di eritropoietina. Per la Juventus è un colpo inaspettato. Cambiano i capi di accusa di un processo cominciato due anni prima, ma nato dalle ormai celebri dichiarazioni di Zdenek Zeman nel 1998. E' frode sportiva. Il clima si fa rovente in tribunale, nelle televisioni, nelle radio e nei bar.
A fine novembre arriva la condanna per Riccardo Agricola, responsabile del settore medico della squadra, a ventidue mesi. Dopo la sentenza la reazione juventina monta tra i tifosi, fino in Parlamento. Con un'interrogazione davvero inusuale alcuni deputati di un partito trasversale pro-Juve (da Maurizio Paniz di Forza Italia a Salvatore Buglio dei Ds) chiedono al ministro della Giustizia Castelli,
"verifiche sul comportamento" del pubblico ministero, dei magistrati giudicanti e dello stesso d'Onofrio.
«Dicevano» ricorda il medico «che condannare la Juve era come indebolire il prestigio di un patrimonio
italiano». In appello, alla fine del 2005, per la Juve arriverà l'assoluzione.
«Ho cercato di raccontare l'esperienza personalissima di un fatto pubblico. Con l'obiettività di un osservatore che però partecipa. Qualcosa di ben diverso dal distacco dello
storico». D'Onofrio si muove tra le montagne di documenti che affollano il suo studio. Romano, 55 anni, professore di ematologia all'Università Cattolica di Roma e appassionato di letteratura (un suo libro di poesie, Prigioniero del nero, è stato pubblicato due anni fa da Lepisma), pesa le parole.
«Durante il lavoro per la perizia e nei mesi successivi, sentivo il bisogno di raccontare tutto. Mesi e mesi di accuse, polemiche, tentativi di screditarmi. E il viaggio all'interno di un mondo in cui le pressioni sono enormi. Annotavo ogni cosa, mettevo da parte ogni giornale, poi il libro si è scritto da solo, è stato come una
terapia».
Durante la terapia, il lettore è accompagnato a conoscere personaggi principali e secondari del calcio italiano. Allenatori, medici, giocatori, giornalisti, politici. Seguiti attraverso le parole registrate degli atti e delle interviste, essi appaiono come marionette che danno vita a un colossale spettacolo. Come Gianluca Vialli che , interrogato, a un certo punto risponde:
«Non sempre ho un'opinione su tutto quello che
dico». O come Franco Carraro, presidente dell Gigc, che durante la testimonianza al processo, dichiara al giudice:
«Mah, guardi, non c'è dubbio che il calcio è uno sport a squadre, e tale
rimane».
«Gli amici mi chiedevano: ma chi te l'ha fatto fare? Certo, sentirsi dire che la mia era la perizia non di un ematologo ma di un ultrà romanista mi ha offeso profondamente.
In generale, hanno tentato di screditarmi andando a cercare nelle mie perizie passate e confrontando dati che non si potevano mettere l'uno accanto all'altro. Io ho solo scritto una perizia. Non avevo interessi né aspettative e, quando la sentenza d'appello ha portato all'assoluzione non ho provato nulla, nessuna delusione, nessun rancore. quel che mi interessa è la verità. Il 3 aprile su una rivista scientifica è uscito l'articolo di un team di medici danesi in cui si dice proprio quello che dicevo io, ossia che variazioni dell'emoglobina analoghe a quelle descritte (ossia del 15 per cento) sono indicative di manipolazioni del sangue. Questo è il punto, poi nelle sentenze io non entro. Certo, se lei mi chiede come io sia uscito da questa vicenda non posso mentire: diciamo che ora la Juventus mi sta un po' più antipatica. E dire che era la mia squadra da bambino, finché i miei compagni e la voglia di partecipare non mi mossero verso la Roma, nel '66, dopo uno scudetto vinto rocambolescamente dalla Juve. Ma sono un simpatizzante, un moderato. Una volta sono andato allo stadio per vedere la Roma e invece giocava la
Lazio...»
Non sarà un appassionato di calcio, d'Onofrio, ma esperto lo è diventato per necessità. Ha letto tutto di quel che accadde a partire dal giorno in cui Zeman sostenne che
«bisognava uscire dalle farmacie». «Quando mi diedero l'incarico mi misi al lavoro su quel che era successo, da Zeman ai primi due anni del processo. Vede, si tende a parlare solo di doping, ma quello che è sconcertante è l'uso dei farmaci, in generale. Tutto quello che veniva somministrato ai giocatori senza prescrizione medica. In tribunale i medici della Juve hanno detto che segnavano su un'agendina...E il filmato in cui Cannavaro fa una flebo e dice
"Guardate, mi stanno ammazzando?".
In questo senso nessuno può dire che Zeman avesse
torto».
Ma Zeman non ha allenato più una grande squadra, d'Onofrio non è stato più richiamato in Figc dove lavorava nella Commissione Antidoping. Vendetta?
«Non posso dirlo. Non ho ricevuto minacce o telefonate anonime come Guariniello. Di sicuro, non stavo bene a Torino. Dopo le udienze scappavo via con un senso di turbamento. Quando Agricola uscì dall'aula facendomi le boccacce e mandandomi bacini mi sembrò così assurdo che pensai di averlo sognato. Invece era vero, e i giornali lo scrissero il giorno
dopo». di Matteo Nucci dal
Venerdì di Repubblica
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